Anne non poteva credere alle sue orecchie

Nei pressi di Parigi, campagna, 1763

Anne, nonostante la giovane età, di cose ne aveva già sentite tante, eppure non poteva credere alle sue orecchie. Il pianto del neonato che proveniva dalla stanza dove, per tutta la notte, levatrice e partoriente avevano faticosamente dato il loro meglio nel mettere al mondo una nuova vita, ecco, quel pianto era veramente esagerato.

Decise di bussare, prima timidamente, poi con maggior forza.

«Sono Anne, lor signore, sono io, la balia, posso entrare?»

Niente, nessuna risposta proveniva dall’interno, solo l’urlo potente che fuoriusciva vigoroso dai polmoni di quel piccolo essere, un piccolo essere che, ragionevolmente, entro qualche minuto, Anne avrebbe dovuto attaccare al suo seno.

‘Bene’ si disse, facendosi forza, sarebbe entrata comunque, con o senza permesso, anche perché suo marito, che era uomo impaziente e spesso brutale, la stava aspettando fuori sul carro, per condurla a casa insieme al neonato.

Quando Anne entrò, fu ai suoi occhi che non poté credere.

Nella stanza, nel disordine di pezze e pentole, tra le lenzuola buttate a terra e le due suore dai lunghi veli fluttuanti che come neri sparvieri volavano attorno al letto dove, stravolta dalla fatica, la partoriente cercava di riprendersi bevendo un po’ di vino dolce… del neonato non c’era traccia.

Eppure il pianto, che faceva vibrare le pareti con la sua potenza, persisteva.

‘Dov’è il piccolo mostro?’ si chiese Anne, guardandosi intorno ansiosa, mentre le donne sembravano ignorare la sua presenza.

Finalmente lo sguardo della giovane contadina intercettò una piccola porta che, con ogni evidenza, dava su un’altra camera. Era da quella che proveniva il gemito straziante del neonato. Anne si avviò decisa verso la porticina, fece capolino e vide la levatrice piegata sul tavolo, affannata a fasciare la creatura dai polmoni soprannaturali.

«Scusate, mia signora, sono la balia, posso vedere il piccolo?» urlò Anne.

La donna si voltò:

«Alla buon’ora! Avvicinatevi e datemi una mano, presto».

Così, finalmente, la giovane balia ebbe modo di vedere la ragione di tutto quello strepitare: i neonati erano due.

‘Oh bella!’ si disse Anne. Questo non era nei patti.

Il pensiero andò immediatamente al suo piccolo Michel che la aspettava a casa: il latte non sarebbe bastato. Lei aveva già visto una situazione del genere; sua zia Amelia, la sorella minore di sua madre, aveva partorito tre gemelli l’estate precedente, per fortuna che due di loro erano morti, uno dopo una settimana e l’altro dopo quindici giorni, perché quella povera donna si era ritrovata in breve mezzo morta e prosciugata come una fontana in inverno.

«Signora, come farò?» chiese urlando alla levatrice.

«Come sarebbe come farete?» s’impazientì questa.

«Il latte, non ho abbastanza latte, ho anche il mio piccolo a casa, non ho latte per tre neonati».

«Non vi preoccupate, la donna che avete visto nel letto è una grande signora, vi troverà una seconda balia. Adesso però non è il momento di lamentarsi, dobbiamo finire questo lavoro, mia cara, e portare a vedere le piccole alla madre».

«Sono femmine?»

«Femmine, identiche come due gocce d’acqua e potenti come regine, mia cara, siete una donna fortunata ad avere l’onore di allattarle, come io sono onorata di averle fatte nascere».

La levatrice gliene porse una, era rossa di capelli: «Questa si chiama Fedora».

«È stata baciata dalla fiamma» disse Anne.

«Cosa volete dire?» chiese la levatrice.

«I capelli sono rossi come il fuoco, dalle mie parti in questi casi si dice: grande fortuna e pessimo carattere».