Fa caldo, eminenza

Da Monaco in carrozza verso Roma, 1763

«Rauzzini!»

«Eminenza…»

Von Rodt non dice, mi guarda stizzito.

Un colpo di tosse al mio fianco.

«Sua eminenza il cardinale vuole che voi chiudiate il deflettore della berlina». La voce unta del suo segretario che siede alla mia destra mi sorprende per l’aceto del fiato.

Benedetto Grazzelli si chiama, un padre camilliano che ci accompagna da Monaco di Baviera, servo inutile, senza la Grazia che inopportunamente si insinua nel suo cognome.

Eseguo e chiudo.

Il cardinale Franz Konrad von Rodt apre la tabacchiera, una presa e lo sniffo con consueto starnuto nel fazzoletto lurido.

Trattengo il fiato, mi stomaca il suo odore.

«Fa caldo, eminenza».

Allora apro e respiro.

La carrozza corre veloce.

Sento la risata di Pinuccia, cavalca con un giovane stalliere del cardinale, mi affianca, mi sorride.

Le sorrido.

«Rauzzini!»

Il cardinale mi guarda severo senza parlare.

«Eminenza…»

Resto perplesso guardando il naso del cardinale allungarsi tra gli occhi piccoli e incolori.

«Eminenza…?»

Mi fissa senza parlare.

«Se mi posso permettere, nella mia umiltà credo che sua eminenza ritenga sconveniente questo eccesso di confidenza verso la servitù».

Ancora l’acetone del giovane segretario mi raggiunge inopportuno, come il suo commento.

Io sono Venanzio Rauzzini, ho sedici anni e sono in una carrozza cardinalizia che veloce attraversa l’Italia. Io sono Venanzio Rauzzini, luminosa stella del firmamento dell’opera. Sono Venanzio Rauzzini e manco avermi strappato i coglioni mi ha fermato. Sono…

«Rauzzini, voi avete sentito parlare di Mozart?»

Quanto puzza.

«No, eminenza, chi è?»

Sbadiglia.

Non dice… aspetto una risposta…

«Eminenza… mi dicevate di questo… Mozart…»

«SCHH…»

Ancora quell’alito di morto.

«Signor Rauzzini, lasciate dormire sua eminenza, non lo infastidite con inutili chiacchiere».

«Veramente stavo rispondendo a sua eminenza».

«SCHH…»

«E VAFFANCULO!» urlo.

Benedetto Grazzelli, segretario del cardinale, mi fissa stupito, è magro, giovane, con una stranissima bocca carnosa.

Mi fa ridere il suo labbro inferiore che trema indignato.

«Siete volgare».

Mi avvicino col viso, sorrido e sussurro:

«Vaffanculo» gli soffio sul naso.

Si gira di scatto.

Dio che puzza, riapro il deflettore, respiro e guardo fuori.

La carrozza finalmente esce da un lungo tratto nel bosco, una luce meravigliosa vespertina e calda bagna un fondovalle erboso ricoperto di smeraldi.

Il cardinale Franz Konrad von Rodt mugugna e sposta la testa dall’altra parte dello schienale del sedile.

Dorme e russa. Perde muco dal naso, sposto lo sguardo e vedo una cartellina di cuoio da cui escono fogli di musica.

Sciolgo i lacci, afferro la partitura.

«Non vi permettete, Rauzzini, di toccare i fogli privati di sua eminenza».

Afferro i fogli, leggo W. Amadeus Mozart, li prendo, poi mi giro verso il Grazzelli:

«Adesso vi invito a dormire come fa il nostro cardinale, in caso contrario vi verrò a visitare questa notte nella vostra stanza, l’ultima volta che sono stato nel letto di un uomo era per sventrarlo… e non nel senso in cui a voi piacerebbe». Sorrido cattivo: «Ho impiegato mesi a togliermi l’odore del sangue e della merda che gli ho cavato con le mie mani».

Ora il labbro gli trema vistosamente accompagnato da tutta la mandibola.

Guardo i fogli: minuetto in fa maggiore, poi la firma: Wolfgang Amadeus Mozart.

Comincio a leggere. Leggo e il mio ritmo interno si sposa a quello del mondo che mi circonda, a quello del galoppo dei cavalli. Un miracolo. Non ho mai capito come un quadrupede come il cavallo, animale in cui la simmetria è sovrana, possa ritmare il suo galoppo in ritmo ternario, come se avesse tre zampe, e così i ferri degli zoccoli sulla strada battono la misura di tre quarti del minuetto in fa maggiore. E mi commuovo.

«Rauzzini».

«Eminenza».

Benedetto Grazzelli mi strappa i fogli di mano: «Cardinale» dice, «sono desolato dall’impertinenza del signor Rauzzini, che con quell’arroganza propria degli artisti si è rifiutato di riporre le carte nel suo involto».

Mi guarda con labbro e mandibola saldi stavolta.

«Rauzzini, chiedete scusa a sua eminenza per aver osato toccare la sua personale cartella».

Il volto di von Rodt si apre in un sorriso inaspettato per il suo servo.

«Come avete trovato la composizione?» mi domanda.

«Deliziosa eminenza, come se fosse…»

«Perfettamente a tempo, vero?» mi guarda e sorride.

«Si, perfettamente a tempo… col mondo».

La frase mi esce così senza averla calcolata.

«Esatto» dice.

Un colpo di tosse, un alito di morto: «Eminenza, non trovo che vada premiato un simile e inaccettabile comportamento».

«Avete ragione, padre Grazzelli, come sempre. Per questo motivo il Rauzzini potrà tenere il minuetto in fa maggiore del Mozart, così che ogni volta che leggerà questa composizione potrà ricordarsi della sua mancanza e che questi fogli siano un monito».

Ora il labbro e il mento del Grazzelli riprendono a tremare indignati.

«Rauzzini, vorrei che voi poteste incontrare il Mozart».

«Ne sarei onorato, in quale corte lavora, in quale teatro?»

«Nessuno».

Il cardinale prende i fogli tenuti inopportunamente dal suo servo sciocco.

Me li porge.

«Perché?»

Si stringe nel suo mantello, appoggia la testa al sedile di pelle imbottito, sbadiglia:

«Perché ha otto anni».