MADRE DI ROSPI

                            (Mother of Toads, luglio 1938)

 

«Perché devi sempre scappare, piccolo mio?»

La voce di Mere Antoinette, la strega, era un amoroso gracidare. Sbirciò Pierre, l'apprendista della farmacia, con occhi fissi e a palla come quelli di un rospo. Le pieghe sotto il suo collo si gonfiarono come la gola di un grande batrace. Le sue dita corte e grassocce, aperte sul grembiule macchiato, sembravano avere strette membrane tra le prime falangi.

Pierre Baudin, al solito, non rispose, ma distolse lo sguardo da Mere Antoinette con aria di impazienza. La sua voce continuò, rauca e suadente:

«Stasera fermati per un po', mio grazioso orfano. Al villaggio nessuno sentirà la tua mancanza. Ed al tuo padrone non importerà.»

Pierre scosse la testa col disdegno di un giovane Adone. La strega aveva il doppio dei suoi anni, e le sue malìe erano troppo disgustose e goffe per tentarlo, anche solo per un istante. Era schifosamente grassa e sfatta, e la sua pelle aveva un malsano pallore. Eppure aveva fama di aver oscurato le attrattive di una fattucchiera ben più giovane e più bella. La sua stregoneria la rendeva temuta tra gli abitanti di quella remota provincia, in cui era ancora diffusa la credenza in filtri e incantesimi.

La gente di Averoigne la chiamava La Mere des Crapauds, Madre di Rospi, un nome datole per più di un motivo. Le rane si accalcavano innumerevoli intorno alla sua capanna: si diceva che fossero sue parenti, e giravano foschi racconti sulla relazione che intrattenevano con la strega e sui doveri che assolvevano al suo servizio. A questi racconti si prestava tanta più fede a causa di quelle vistose caratteristiche da batrace del suo aspetto.

Il giovane provava ripugnanza per lei, come per le rane pigre e mostruosamente grandi che qualche volta aveva calpestato nel buio, sul sentiero che dal villaggio di Les Hiboux conduceva alla sua capanna. Adesso poteva sentir gracidare alcune di queste creature e, stranamente, gli sembrava

che lanciassero un'eco semi-articolata delle parole della strega.

Presto si sarebbe fatto buio, rifletté. Il sentiero lungo le paludi non era piacevole da percorrere di notte, ed egli provava una doppia ansia all'idea di andarsene.

Continuando a non rispondere all'invito di Mere Antoinette, allungò una mano per prendere l'ampolla triangolare, nera, che lei gli aveva messo davanti sul tavolo sudicio. L'ampolla conteneva un filtro dallo strano potere che il suo padrone. Alain le Dindon, lo aveva mandato a prendere.

Le Dindon, il farmacista del villaggio, era solito servirsi di nascosto di certi dubbi medicamenti che gli venivano forniti dalla strega, e Pierre era stato mandato spesso con simili commissioni alla sua capanna nascosta tra gli alberi.

Il vecchio farmacista, che aveva un umorismo rozzo e volgare, spesso si burlava di Pierre a proposito della predilezione di Mere Antoinette per lui.

Ricordando certi scherni allusivi, sottili oltre la decenza, il ragazzo si alzò di scatto, come per andarsene.

«Rimani,» insisté Mere Antoinette. «La nebbia è fredda sulle paludi, e si addensa in fretta. Sapevo che stavi per venire, e ho riscaldato per te una bella brocca del vino rosso di Ximes.»

Tolse il coperchio di un vaso di terracotta, e ne versò il contenuto fumante in una grande tazza. Il vino rosso-porpora spumeggiò allegramente, e un odore forte e piacevole di spezie riempì la capanna, facendo svanire gli sgradevoli odori che provenivano dal calderone ribollente, le salamandre rinsecchite, le vipere, le ali di pipistrello, la nauseabonda gramigna che pendevano dalla pareti, e il puzzo delle candele nere di pece e sego, che bruciavano sempre, di notte e di giorno, nell'interno buio della capanna.

«Lo berrò,» disse Pierre, un po' di malavoglia. «Voglio dire, se non contiene nessuna delle vostre miscele.»

«Non è un gran vino, ma è vigoroso, invecchiato con spezie d'Arabia,» gracchiò la strega con modi insinuanti. «Ti riscalderà lo stomaco... e...,» aggiunse qualcosa di impercettibile mentre Pierre accettava la tazza.

Prima di bere, respirò i vapori della bevanda con un po' di cautela, ma fu rassicurato dal suo piacevole odore. Sicuramente non c'era nessuna droga, nessun filtro preparato dalla strega: per quanto ne sapeva, i suoi preparati dovevano avere un cattivo odore.

Esitò ancora, come se fosse messo in allarme da qualche premonizione.

Allora ricordò che l'aria del tramonto era davvero fredda, e che le brume si erano addensate furtivamente dietro di lui mentre veniva alla dimora di Mere Antoinette. Il vino gli avrebbe dato la forza di affrontare il cupo ritorno a Les Hiboux. Lo bevve in fretta, a grandi sorsi, e posò la tazza.

«È davvero un buon vino,» dichiarò. «Ma ora devo andare.»

Proprio mentre parlava, sentì diffondersi nello stomaco e nelle vene il calore dell'alcol, delle spezie... di qualcosa di ancora più ardente.

Sembrava che la sua voce fosse strana e irreale, come se cadesse da un punto al di sopra di lui. Il caldo crebbe, montandogli dentro come una fiamma dorata alimentata da magici olii. Il suo sangue, un torrente ribollente, scorreva sempre più tumultuosamente attraverso le sue membra.

C'era un rimbombare profondo e sordo nelle sue orecchie, una sorta di abbacinamento nei suoi occhi. La capanna sembrava dilatarsi, mutarsi straordinariamente intorno a lui. Ora riconosceva a stento i suoi squallidi arredi, il suo minaccioso scompiglio, su cui le candele nere diffondevano un torrido splendore.

Gli venne in mente, per un attimo, che tutto questo era il frutto di un ambiguo incantesimo, una malìa prodotta dal vino della strega. La paura lo prese ed ebbe voglia di scappare. Allora, proprio accanto a lui, vide Mere Antoinette.

Per qualche istante si meravigliò di averla trovata vecchia, grassa e repellente:

perché ora gli sembrava di guardare Lilith, la prima strega. Il corpo sformato era diventato voluttuoso, la bocca pallida,  dalle labbra grosse, lo allettava con

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la promessa di un'abbondanza di baci che nessun'altra bocca avrebbe potuto concedere. Sapeva perché quel magico caldo saliva sempre più forte, sempre più ardente dentro di lui...

«Ti piaccio ora, piccolo mio?», chiese lei...

Pierre si svegliò in un'alba cinerea, quando i lunghi ceri neri si erano già consumati fino a sciogliersi nei loro boccioli. Con la testa confusa, nauseato, cercò invano di ricordare cosa avesse fatto, dove fosse. Poi, voltandosi, vide stesa sul letto accanto a lui una cosa che somigliava all'impossibile mostro di un incubo, dall'aspetto di rana e grande come una donna grassa.

Le sue membra somigliavano vagamente a gambe e braccia femminili. Il suo corpo bianco e foruncoloso premeva e si addossava a lui, ed egli sentì la rotonda mollezza di qualcosa che somigliava ad un petto.

La nausea lo invase, mentre gli tornava la memoria di quella notte di delirio.

La strega lo aveva perfidamente ingannato, ed era rimasto vittima dei suoi malefici incantesimi.

Gli sembrò di essere oppresso da un incubo che pesava su tutto il suo corpo. Chiuse gli occhi, non potendo più sopportare la vista di quella cosa ripugnante che era Mere Antoinette nelle sue sembianze reali. Lentamente, con uno sforzo prodigioso, si tirò via dall'orribile forma che lo schiacciava.

Quella rimase immobile, senza dare segni di risveglio, e Pierre scivolò in fretta dal letto.

Di nuovo, spinto da un malsano incantamento, lanciò uno sguardo alla cosa stesa nel letto - e vide solo le grosse forme di Mere Antoinette.

Forse l'essersi visto accanto una grossa rana era stata solo un'illusione, una specie di sogno che si era prolungato nella veglia. Il suo orrore oppressivo si dissolse in parte, ma aveva ancora lo stomaco stretto da un nauseabondo disgusto nel ricordare la lascivia cui si era abbandonato.

Temendo che la strega potesse svegliarsi da un momento all'altro e cercasse di trattenerlo, sgusciò senza far rumore fuori dalla capanna. Era mattino inoltrato, ma si stendeva dovunque una nebbia fredda e stinta che avvolgeva le paludi e i canneti e pendeva come una cortina spettrale sul sentiero che doveva seguire per tornare a Les Hiboux. Agitandosi e ribollendo, la nebbia parve muovere verso di lui con dita pronte a ghermire, non appena si avviò sulla strada di casa. Rabbrividì al suo tocco, chinò il capo e si strinse nel mantello.

Come per impedirgli di proseguire, la nebbia turbinava incessantemente, muovendosi in spire, fremendo, sempre più fitta. Egli riusciva a scorgere solo a pochi passi il sentiero stretto e tortuoso davanti a sé. Era difficile ritrovare i paesaggi familiari, difficile riconoscere i vimini e i salici che si profilavano all'improvviso davanti a lui come grigi fantasmi, per scolorire di nuovo nel nulla biancastro non appena andava avanti. Non aveva mai visto una nebbia simile: era come i fumi accecanti e soffocanti di mille calderoni rimestati da una strega.

 

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Sebbene non ne fosse del tutto sicuro, Pierre pensava di aver coperto metà della distanza che lo separava dal villaggio. Allora, all'improvviso, cominciò ad incontrare le rane. La nebbia le aveva nascoste finché Pierre non era arrivato loro vicino. Deformi, stranamente grandi e gonfie, mentre passava stavano rannicchiate lungo il sentiero, oppure gli saltellavano davanti indolentemente, sbucando dall'oscurità ai due lati della strada.

Parecchie andavano a sbattere pesantemente e orribilmente contro i suoi piedi. Senza volerlo ne calpestò una, scivolando sulla fetida melma che aveva prodotto, e per poco non andò a finire lungo disteso nel pantano. Ne vide nereggiare le acque buie e melmose, quando si rialzò barcollando.

Volgendosi per riprendere il sentiero, schiacciò altre rane, riducendole ad una poltiglia schifosa. Il terreno fangoso ne era pieno. Gli saltellavano contro, uscendo dalla nebbia, e i loro corpi viscidi colpivano le sue gambe, il suo petto, la sua stessa faccia. Venivano fuori a frotte, come una legione guidata dal diavolo. Sembrava che nei loro movimenti, nella violenza dei loro assalti, ci fosse un intento maligno, un perfido scopo.

Pierre non riusciva a fare un passo avanti sul sentiero, ma barcollava avanti e indietro, agitandosi alla cieca e coprendosi il volto con le mani.

Fu preso da un inspiegabile panico, da un orrore misterioso. Era come se fosse ripiombato nell'incubo in cui si era ritrovato al risveglio, nella capanna della strega.

Le rane venivano sempre dalla direzione di Les Hyboux, come se volessero ricondurlo alla dimora di Mere Antoinette. Rimbalzavano contro di lui come una grandine mostruosa, come proiettili scagliati da demoni invisibili.

Il terreno ne era ricoperto; lanciandosi, i loro corpi riempivano l'aria.

Una volta, per poco, Pierre non affondò in quell'ammasso di carne.

Il loro numero sembrava crescere: scrosciavano su di lui come una perniciosa tempesta. Si perse d'animo, si arrese, e cominciò a correre alla cieca, senza accorgersi di aver abbandonato il sentiero. Perdendo ogni senso dell'orientamento nel frenetico desiderio di sfuggire a quelle miriadi inverosimili, si spinse tra i profondi canneti e i falaschi, su un terreno che tremolava come gelatina sotto di lui.

Alle calcagna aveva sempre il molle e pesante ricadere delle rane, che qualche volta si alzavano all'improvviso davanti a lui come un muro, per sbarrargli la strada e costringerlo a prendere una direzione laterale. Più di una volta lo allontanarono dal limitare di sabbie mobili nascoste, nelle quali altrimenti sarebbe caduto. Era come se stessero portandolo deliberatamente, di concerto, ad una meta destinata.

All'improvviso, come se si sollevasse un pesante tendaggio, la nebbia si diradò, e Pierre vide davanti a sé, nel dorato bagliore del sole del mattino, i giunchi verdi e fitti che circondavano la capanna di Mere Antoinette. Le rane erano tutte scomparse, anche se avrebbe potuto giurare che solo un attimo prima gli saltellavano intorno a centinaia.

 

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Con un incontrollabile senso di panico, capì di essere ancora in potere della strega, e che le rane erano davvero sue parenti, proprio come credeva tanta gente. Esse gli avevano impedito la fuga e lo avevano ricondotto a quell'immonda creatura... donna o batrace, o entrambe le cose... a colei nota come La Madre dei Rospi.

Pierre si sentiva come uno che ad un tratto precipiti in sabbie mobili nere e senza fondo. Vide la strega uscire dalla capanna e farglisi incontro. Le sue dita grassocce, unite da pieghe di pelle biancastra simili alle membrane dei palmipedi, erano tese e strette intorno ad una tazza fumante. Come dal nulla, si alzò un improvviso soffio di vento, che portò alle narici di Pierre il caldo e familiare aroma speziato del vino drogato.

«Perché te ne sei andato così di corsa, piccolo mio?» La domanda della strega aveva un tono amoroso e carezzevole. «Non ti avrei lasciato andare senza un'altra tazza di quel buon vino rosso, scaldato e aromatizzato per rinvigorirti... Vedi, l'ho preparato per te... sapevo che saresti tornato.»

Mentre parlava, gli si accostò timorosamente, lanciandogli occhiate languide, e tese la tazza verso le sue labbra. Gli strani fumi del vino gli diedero il capogiro ed egli volse via la testa. Sembrava che un sortilegio avesse paralizzato i suoi muscoli, perché quel semplice movimento gli richiese uno sforzo straordinario.

La sua mente, tuttavia, era ancora lucida, e lo riprese la nausea rivoltante di quell'alba da incubo. Rivide la grande rana che giaceva accanto a lui al suo risveglio.

«Non berrò il tuo vino,» disse con fermezza. «Sei una strega schifosa, e mi fai ribrezzo. Lasciami andare.»

«Perché ti faccio ribrezzo?», gracchiò Mere Antoinette. «Io posso darti tutto quello che ti danno le altre donne... ed anche di più.»

«Tu non sei una donna,» disse Pierre. «Sei un'enorme rospo. Ti ho visto nel tuo vero aspetto, questa mattina. Preferirei annegare nelle acque della palude, piuttosto che stare ancora con te.»

Prima che Pierre avesse finito di parlare, nella fattucchiera avvenne un indescrivibile cambiamento. La lusinga scomparve dai suoi tratti pallidi e grossolani, che apparvero per un attimo assolutamente disumani. Gli occhi le si gonfiarono, sporgendo orribilmente, e tutto il suo corpo si dilatò, come sotto l'effetto di un veleno.

«Vattene, allora!», sputò la strega con gutturale violenza. «Ma presto ti pentirai di non essere rimasto.»

La strana paralisi aveva lasciato i muscoli di Pierre. Era come se la rabbiosa ingiunzione della strega fosse servita ad annullare un insidioso maleficio già in atto per metà. Senza un'occhiata né una parola di commiato, Pierre volse le spalle e fuggì a passi lunghi e frettolosi, quasi una corsa, verso il sentiero per Les Hiboux.

Aveva percorso poco più di un centinaio di passi, quando ricominciò ad alzarsi la nebbia. Si levava in grandi spirali dai margini ai suoi piedi.

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Quasi in un istante il sole, offuscandosi, si mutò in un livido disco argentato e

scomparve. In alto, i cieli blu si perdevano in un nulla pallido e ribollente.

La nebbia nascondeva il sentiero, tanto che a Pierre parve di camminare sull'orlo di un bianco abisso, che si muoveva con lui.

Come viscide braccia di spettri, le cui dita irrigidite dal gelo della morte accarezzavano e ghermivano, le magiche brume stringevano Pierre sempre più da presso. Gli si addensavano nelle narici e nella gola, colavano come un abbondante sudore dai suoi abiti. Lo soffocavano col fetore di acque marce e fanghiglia putrida... e con un tanfo come di corpi in liquefazione, che si alzava da qualche punto della palude.

Allora, sbucando dalla bianca quiete, le rane assalirono Pierre come una solida ondata, innalzandosi sulla sua testa, e spazzandolo via dal sentiero nel ricadere sopra di lui con la forza di un mare in tempesta.

Egli, sguazzando e dimenandosi, cadde nell'acqua pullulante di un'infinità di batraci. Una fetida melma gli riempiva il naso e la bocca mentre si sforzava di uscire dall'acqua. Questa, comunque, gli arrivava solo al ginocchio, ed il fondo, per quanto limaccioso e viscido, lo sorresse quando si rimise in piedi.

Attraverso la nebbia, riuscì a distinguere vagamente il margine da cui era caduto. Ma, quando cercò di raggiungerlo, si accorse che per un orribile mistero i suoi passi venivano impediti dal pullulare di rospi. Centimetro dopo centimetro, mentre un inesorabile panico si impadroniva di lui, combatté per conquistare la solida riva. Le rane saltavano e ricadevano intorno a lui, in un moto confuso e vorticoso. Turbinavano come un viscido risucchio intorno ai suoi piedi ed ai suoi stinchi. Strisciavano e si agitavano in ondeggiamenti ripugnanti contro le sue ginocchia, intralciandolo.

Comunque, lentamente e con sforzo, riuscì ad avanzare, finché le sue dita distese riuscirono ad afferrare i rigidi falaschi che pendevano bassi dalla riva. Allora, dalla sponda avvolta nella bruma, si abbatté su di lui un secondo diluvio di quei rospi demoniaci, e Pierre fu trascinato inesorabilmente all'indietro, nelle sudice acque.

Trattenuto sul fondo dai brulicanti ammassi di rospi, annegando nella nauseante oscurità dell'acqua melmosa, Pierre si afferrò debolmente ai suoi assalitori. Per un attimo, prima che giungesse l'oblio, le sue dita trovarono i contorni di una forma mostruosa, che somigliava ad una rana... ma era grande e pesante come una donna grassa.

 

FINE

(Trad. Daniela Galdo)

 

 

 

 

 

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