16
Un peccato poco originale
Mab strinse le dita e sentì lo scricchiolio del breve messaggio che le si accartocciava in pugno. La missiva di Nair era arrivata appena in tempo, solo qualche minuto prima che il Consiglio generale si riunisse per l’udienza col Cerchio. A corte le cose stavano diventando esplosive, proprio il genere di situazione che preferiva, non fosse che i suoi metodi, a quanto pareva, non erano ben visti dai membri del Consiglio. La fugace sensazione, come di una carezza lieve, la impietrì. Lui era lì, da qualche parte, nascosto in bella vista, invisibile come uno spettro. Sapeva, con ogni fibra del suo essere, che Rainering non le aveva dato ascolto. Non se ne era mai andato, maledetto testardo. Mab si costrinse a non cercarlo tra la folla. Se Rain non intendeva farsi vedere non l’avrebbe visto comunque.
Stare seduta sul suo scranno, mentre tutte le pedine di quella battaglia di parole entravano e si posizionavano sulla scacchiera, diventava di minuto in minuto più difficile. Anche mantenere una parvenza di calma e sussiego non era qualcosa in cui sapeva eccellere.
Mab era una pessima regina, o almeno così credeva. Ma quelli erano tempi in cui la sua gente aveva bisogno di una guerriera e non di una semplice guida benevola. Forse, in quello, Rain aveva visto giusto. Il pensiero la colpì con forza, tanto che quasi cedette all’istinto di frugare tutti gli angoli, tutti i volti nella sala, alla ricerca del suo. Alla ricerca di una chioma candida come neve e di occhi neri, troppo profondi.
Che fosse maledetta, avrebbe voluto averlo lì, al proprio fianco. Sapeva che non avrebbe risposto alle sue domande, o alle sue accuse, non si sarebbe giustificato, non avrebbe… Sarebbe stato semplicemente lì, accanto, a mettere se stesso tra lei e qualunque cosa capace di nuocerle. Per quanto irritante e insopportabile da ammettere, in quel preciso momento, non avrebbe desiderato altro che lui fosse insieme a lei.
Ma lui era lì, da qualche parte, a vegliare nell’ombra. Facendola sentire una perfetta idiota.
Non capiva cosa fosse più fastidioso: se il fatto che lo desiderasse accanto, nonostante l’avesse cacciato, o che lui l’avesse ignorata, infischiandosene dei suoi ordini.
Stupida che non era altro.
Un sussurro alla sua destra la dispensò da ulteriori riflessioni. «Ha lasciato che lo avvistassero al confine settentrionale, due degli uomini si sono distaccati per fornirgli copertura e una scorta adeguata è già per strada, pronta ad affiancarlo.»
«È solo?»
«Sì, signora.»
«Dannato idiota,» sibilò tra i denti.
«È il modo in cui lavora. È sempre stato così e tu lo sai meglio di me.»
Raeden si raddrizzò per scrutare con aria preoccupata l’uomo che stava facendo il suo ingresso in quel momento. Prima che il marciume all’interno del Cerchio si palesasse, Manliddon era stato una specie di eremita. Uno studioso dedito all’unico scopo di un’esistenza spirituale, ogni volta che faceva il suo ingresso a corte era oggetto delle più fantasiose speculazioni. Come era prevedibile, si era dissociato dalle azioni deprecabili di quelli che definiva pochi rami marci all’interno del Cerchio. Aveva cominciato a presentarsi in pubblico, a parlare alla gente ristabilendo in molti l’idea di una struttura virtuosa, quella del Cerchio, anche se fallibile come ogni altra.
Il suo abbigliamento era dignitoso ma non ricco, i suoi tratti puri rispecchiavano la bellezza delle statue degli Antichi che adornavano la sala del trono di Luce. Mab sapeva che era visto da molti come colui che avrebbe rimesso in sesto il Cerchio e riportato l’equilibrio. Osservò gli sguardi pieni di speranza di coloro che erano stati nelle fila del Cerchio e che avevano subito un duro colpo con la sua caduta. Vide il sospetto sul volto di alcuni dei consiglieri anziani della Corte della Luce. La diffidenza tra i due schieramenti non era una novità, era un gioco di potere che facevano da secoli. In ogni caso, per Mab non era una questione di potere, non lo sarebbe mai stata. Voleva fare giustizia, eliminare il marcio e, già che c’era, fare piazza pulita dei metodi brutali che il Cerchio sembrava preferire nel trattare coi prigionieri. Aver visto il Rovo di Morte andare in cenere non era stato abbastanza. Non avrebbe più permesso che le pene e la reclusione dei criminali rimanesse loro esclusivo appannaggio.
Manliddon si volse verso di lei e le indirizzò un lieve cenno del capo, il suo sguardo atteggiato a una maschera benevola la percorse col dovuto rispetto ma si soffermò un po’ troppo sulle armi che portava attaccate alla cintura. Dopo quell’ispezione, il suo volto si fece severo, dimostrando di essere molto meno ben disposto nei suoi confronti. E sembrava intenzionato a renderlo noto a tutti gli astanti.
Voleva giocare la carta della sua grettezza e inadeguatezza a rivestire il ruolo? Che si accomodasse pure: era d’accordo con lui. Mab gli sorrise apertamente, tanto da costringerlo a piegare il capo in segno di deferenza. Era pur sempre la sua regina e nessuno si era lasciato sfuggire la critica malcelata sulla sua bella faccia. Rain l’aveva addestrata bene a quel gioco: una cosa noiosa le scaramucce di corte ma poteva condurle, eccome se poteva.
Mab attese che l’uomo sollevasse il capo, poi scrutò i presenti senza lasciare trasparire quasi nulla del fastidio che tutta quella dannata sceneggiata le provocava. Dopo qualche istante, annuì verso la Consigliera Anziana, che si alzò in piedi e prese parola. «Il Consiglio si unisce oggi al cospetto di Mabliereen della Luce Ardente per esporre quanto emerso dalle indagini che hanno portato alla caduta del Cerchio.» La donna s’interruppe e alzò una mano, tacitando il brusio che si era alzato nella sala. «Grazie alle prove in nostro possesso, formalizzeremo le accuse contro alcuni degli esponenti che sono stati a capo del Cerchio e chiederemo a questo Consiglio riunito di condividere qualsiasi notizia circa la reliquia chiamata Vetronero.»
Il vociare sommesso nella sala non era nulla rispetto alle grida che provenivano dall’esterno. Mab sapeva che fuori dalle mura del palazzo si era riunita una piccola folla. La sua gente avrebbe voluto essere presente in massa, ma tutto il Consiglio si era detto contrario a una cerimonia pubblica.
Raeden gesticolò pochi ordini concisi e alcuni soldati si distaccarono per dare supporto alla guardia all’esterno.
«Questa ha l’aria di essere una vera e propria crociata, Consigliera,» si impose una voce tra la folla. «Trovo piuttosto distruttivo gettare un’intera istituzione nel fango per l’operato discutibile di pochi membri.» Manliddon si alzò in piedi dal seggio che aveva occupato, il suo volto percorse l’intera sala, lo sguardo suggeriva alla perfezione quanto quelle parole lo addolorassero e sconfortassero. «La nostra cultura si fonda sull’equilibrio…»
«Operato discutibile?» lo interruppe Mab, ogni sillaba uscita dalla sua bocca si cristallizzò nell’aria, gelida, come fiori di neve. «Il capo eletto del vostro ordine si è macchiato di una colpa atroce e tu lo chiami operato discutibile?» tuonò. Era abituata a trattare coi soldati, non con i cortigiani, ma a quanto pareva riusciva a suscitare in loro lo stesso effetto. Ogni paio d’occhi nella sala si voltò verso di lei.
«Le azioni del mio predecessore erano dettate da una mente affaticata e corrotta. Egli era, evidentemente, precipitato nella follia. Questo non significa che tutto sia compromesso.»
«Predecessore? Sei tu dunque il nuovo capo del Cerchio?»
«Sono io,» confermò con calma, il suo volto non tradì alcun compiacimento e Mab dovette dargli atto di saper condurre il gioco fin troppo bene. Non sarebbe stato facile ottenere ciò che voleva, se Manliddon fosse riuscito a ristabilire l’aura di perfetta rispettabilità del Cerchio.
«Sono felice di constatare allora che la tua mente non è né affaticata, né corrotta. Converrai con me che la necessità di fare giustizia e smantellare ogni possibile residuo del marciume, onde evitare che qualcuno possa indulgere in qualche… operato discutibile, sia imperativa.»
«Parli di giustizia ma devo ricordarti che colui che mi ha preceduto è stato trucidato sommariamente e che l’uomo che ha perpetrato quel delitto infame gode del tuo appoggio.»
«Alistair St. Clare ha agito di sua iniziativa e, da quello che ho appurato, in difesa della sua vita e indirettamente di quella della sua compagna. È sopravvissuto al Rovo di Morte e si è detto disponibile a testimoniare contro il Cerchio.»
«Quello che ha fatto quel demonio è inqualificabile!» intervenne, con voce rotta, una donna dal fondo della sala. Il suo sfogo raccolse parecchi consensi sussurrati.
«Quello che ha fatto il succhiavita ha reso possibile la sopravvivenza di una fanciulla della nostra stirpe! Una Figlia della Foglia, un dono rarissimo della Grande Madre.»
«Sì, ma cos’è adesso? Un abominio!» gridò qualcun altro.
Mab sentì più che mai il desiderio di poter usare le maniere forti per far entrare un po’ di buon senso nella testa di certe persone. Asini coi paraocchi!
«La ragazza non è cambiata poi così tanto. Quello che era è sepolto in profondità ma non è perduto.»
«Come può non essere perduto? Come può non essere compromesso, macchiato da…»
«Capisco la tua angoscia, Atalaila, ma credo che dovresti vederla prima di perdere qualsiasi speranza. Non è più colei che amavi. Ma ciò che era esiste in lei più di quanto osassimo sperare.»
La donna annuì mestamente poi sembrò afflosciarsi, trovando rifugio tra le braccia del proprio compagno. Mab incrociò lo sguardo acuto e splendente di Manliddon: le sue labbra strette in una linea sottile esprimevano la sua insoddisfazione, aveva compreso che il dolore di una madre sarebbe stato molto più influente della giusta indignazione che andava millantando. Senza volerlo Atalaila aveva segnato un punto in loro favore, riportando sotto gli occhi di tutti cosa aveva comportato il discutibile operato di Aarewen.
«Allora mi rivolgo a te, Manliddon, in qualità di nuova guida del Cerchio, perché tu voglia accordare piena collaborazione a questa indagine. Voglio che i miei uomini abbiano accesso a ogni stanza e a ogni carta nelle sedi del Cerchio.»
«Ci sono luoghi che non possono essere violati. Stai chiedendo molto. Ci sono segreti che non riguardano questa corte e che non devono essere svelati.»
«Non sono interessata ai vostri rituali misteriosi o alle vostre cerimonie occulte. Voglio perquisire le celle di custodia, gli appartamenti privati e visionare i vostri registri.»
«È una violazione non da poco quella che mi imponi, regina Mabliereen,» rispose mesto, quasi imbarazzato da quelle richieste improprie.
Il povero capo del Cerchio vessato dalla regina brutta e cattiva. Mab decise di rincarare la dose, già che c’era. «E voglio anche che venga identificato e interrogato chiunque avesse un rapporto di qualsiasi genere con Aarewen.»
«Non dovresti pronunciare il suo nome!» L’uomo sussultò, come se l’avesse colpito.
La regina ignorò il brusio crescente, poteva sentire le ondate di disapprovazione venire dalla stragrande maggioranza degli astanti. Pronunciando il nome del defunto consigliere a capo del Cerchio aveva commesso una vera e propria infrazione all’etichetta e non solo. Denotava una totale mancanza di riguardo. Avrebbe potuto essere un passo falso, ma non c’era modo che potesse mostrare un segno di rispetto qualunque verso l’uomo che aveva buttato una delle loro Figlie della Foglia nelle mani rapaci di un folle assassino.
Ormai era chiaro anche ai sassi che non avrebbe osservato tutte le maledettissime formalità. Nella sua mente si formò l’immagine del volto di Rain, dello sguardo che avrebbe avuto: esasperato dalla sua imprudenza e dal suo essere terribilmente inopportuna. Aveva amato moltissimo quello sguardo quando pensava che, in ogni caso, lui fosse dalla sua parte.
Sconfitta dalla tentazione, lasciò vagare gli occhi sulla folla, ma non c’era segno di lui. Esattamente come doveva essere. Stolta che era.
«Aarewen non merita di essere riconosciuto nel silenzio.» La voce di Nairnering Cuordifoglia fendette il vociare sommesso, anticipando qualsiasi altra replica appesa alle bocche scioccate dei vari appartenenti al Cerchio o al Consiglio della regina. «Le prove dei suoi numerosi crimini si stanno sommando e, quando arriveremo a toccare il fondo, il suo nome verrà pronunciato con quanta più rabbia possibile.» Avanzò attraverso il palco reale fino ad affiancarla. Era vestito di nero dalla testa ai piedi, con abiti che sembravano essergli stati cuciti addosso tanto erano stretti.
«Giungi appena in tempo, spero tu abbia buone notizie,» lo salutò Mab.
«Dipende da come le vedi.»
«Aggiornami.»
«Adesso?»
«Li ho sconvolti tutti, abbiamo qualche minuto prima che si riprendano.»
Nair la graziò con uno dei suoi sorrisi accecanti. Per la Madre, le era mancato. Non era contenta che se ne stesse da solo alla corte di Pietrabuia. Mojheardean poteva ancora rivelarsi identico a coloro che l’avevano preceduto. Ed era preoccupata oltre ogni dire per i sentimenti che colui che riteneva alla stregua di un fratello provava per l’ambiguo principe dei Grigi. Non riusciva a capacitarsi che il nuovo sire di Pietrabuia potesse desiderare altro al di là della vendetta.
«Alla corte dei Grigi abbiamo acciuffato un mannaro ramingo, era da solo e piuttosto mal ridotto. Sostiene di essere stato prigioniero di alcuni fae della Luce e di aver subito delle torture. Dice che ce n’erano altri imprigionati come lui, tutti di razze diverse. Umani, mannari e anche Sidhe. Fa pensare a un commercio di schiavi.»
«Una storia interessante, ma non può essere tutto. Cos’altro?»
Nair la guardò negli occhi e scosse la testa, mentre un’espressione amara gli tendeva le labbra. «Il mio principe ritiene che le mie maniere potrebbero turbare troppo il giovane mannaro. Non ha lasciato che lo interrogassi.»
«Il tuo principe?»
«Non essere gelosa, Mab, tu sarai sempre la mia regina,» disse, avvicinando il volto al suo.
«E tu non offendere la mia intelligenza,» lo liquidò, non si sarebbe lasciata sviare, non ne aveva il tempo. «Cosa succede tra te e Mojheardean di Pietrabuia? Non sei costretto a rimanere con…» Mab s’interruppe quando lo vide incupirsi. Era un argomento di cui avevano discusso in precedenza: non era per lei o per il regno della Luce che si era insediato tra i Grigi. Questo ormai lo sapeva bene.
«Mo vede nel ragazzo una copia di se stesso. Lo crede una vittima e l’ha preso sotto la propria ala. Sembra convinto che, una volta guadagnata la sua fiducia, il giovane lupo gli dirà tutto. E potrebbe anche avere ragione, solo che qualcosa non mi convince. Il dannato mannaro è troppo elusivo e non ha detto una parola su come sarebbe riuscito a fuggire. Ma è incredibilmente bravo a farsi compatire e ha occhi solo per il suo salvatore.» Nair si passò una mano tra i capelli corti e disordinati, la frustrazione traspariva da ogni suo gesto. Era nervoso e covava una rabbia sottile.
«Forse è il suo rapporto col sire di Pietrabuia a turbarti,» gli disse. I mezzi termini non erano mai rientrati nel loro rapporto.
«Credi che non lo sappia? Che non ci abbia pensato?» Nair sbuffò, poi distolse lo sguardo da lei e ammiccò verso la sala dove Consiglieri e membri del Cerchio stavano discutendo. Con un fianco si appoggiò, senza troppa grazia, allo schienale dello scranno della Luce: neanche lui sembrava propenso a osservare l’etichetta. Non lo era mai stato. «St. Clare è d’accordo con me,» disse infine, aggirando la questione.
«Ma davvero?»
«Riguardo al ragazzo. È anche molto soddisfatto perché tutto sta andando secondo i suoi piani.»
Mab resistette alla tentazione di sfregarsi le tempie, dove un dolore pulsante stava prendendo piede sulla sua concentrazione. «Che sarebbero?»
«Lasciargli in pasto il mio principe e stare a guardare fino a quando il maledetto lupo scoprirà le carte,» le rispose sprezzante Nair. Nessuna incertezza su come considerasse i propositi del succhiavita.
«Ritieni Mojheardean tanto ingenuo?»
«Sì, no. Non lo so.» Sospirò. «A volte ho l’impressione che stia usando il randagio come scudo, per tenermi alla larga,» concluse e Mab avrebbe voluto possedere la capacità di confortarlo. O anche solo di rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene, proprio come Nair faceva con lei da quando erano stati presentati la prima volta.
«Andrà tutto bene, Mab,» disse puntualmente il suo vecchio amico, con un sorriso sghembo.
La regina dei Luminosi incontrò il suo sguardo e lo vide sorridere, lo stesso sorriso scaltro della loro infanzia, quando ancora gli credeva. Quella forza straordinaria che non l’aveva mai abbandonato. Adesso però quel sorriso e quella forza sfioravano appena i suoi occhi pallidi. Era…
Il suono improvviso di vetro che s’infrangeva distolse entrambi da quello scambio silenzioso. Una delle delicate vetrate che decoravano il lato esterno della sala andò in frantumi in una luminosa pioggia di schegge variopinte. Il silenzio nella sala divenne solido per poi implodere con altrettanta intensità in una cacofonia di grida sconnesse, una volta dissipato lo stupore iniziale. Nair si mosse rapidamente verso il fondo della sala, mentre Raeden percorreva il lato opposto nella stessa direzione: qualcosa era stato gettato all’interno della sala del trono di Luce. Mab si allontanò dalla seduta e impugnò la spada, le spalle coperte da quattro delle sue guardie.
«Via! Tutti a terra!» L’ordine sbraitato venne da Nairnering che stava tornando indietro in fretta. Mab lo vide afferrare quante più persone possibili e spingerle verso il basso, mentre il pavimento sotto di loro tremava e la stanza si riempiva di fumo.
«Mab!»
Qualcuno urlò il suo nome ma il boato dell’esplosione aveva incrinato le sue orecchie sensibili, con la mente faticava a connettere i suoni con le immagini. Vedeva gente emergere dalla nuvola densa e dai detriti, il sangue che fioriva sulla pelle e sui vestiti imbiancati dalla caligine. Grida e lamenti bucavano a tratti la bolla insonorizzata nella quale sembrava caduta. I suoi timpani ronzavano in modo fastidioso mentre girava su se stessa per verificare l’entità del danno inflitto.
Un ordigno esplosivo nel Palazzo della Luce. Mabliereen scosse la testa, i fae non facevano esplodere le cose.
Qualcosa di grosso e veloce la colpì, facendola piegare sullo stomaco, poi venne tenuta contro un torace robusto. Con la testa completamente avvolta dalle braccia del suo aggressore, avvertì appena il fischio, seguito da uno spostamento d’aria, di un dardo che passava nel punto esatto in cui si era trovata. Subito Mab fu trascinata a terra e fatta strisciare fino a un angolo protetto.
L’esplosione era stato un diversivo. Avrebbe dovuto saperlo, fu il suo pensiero confuso.
«Stai bene?» Riconobbe le parole ma la voce suonò aliena.
«Rain?» articolò ancora istupidita, sconvolta per esserselo ritrovato davanti. Doveva riprendersi, e anche in fretta.
Lui la guardò spazientito, come se la sua presenza lì fosse più che ovvia, poi prese a tastarle braccia e gambe, evidentemente alla ricerca di traumi e fratture. Mab scacciò la sua mano quando cominciò a risalire sull’addome verso il petto. Il suo tocco era quasi impersonale ma su di lei aveva un effetto destabilizzante che in quel momento preferiva evitare con tutta se stessa. Le sue dita delicate le cinsero le guance rigate di lacrime che non aveva sentito scorrere e solo allora si accorse di avere gli occhi che bruciavano. Rain la guardò con intensità, sentiva il suo sguardo più di quanto avvertisse il tocco lieve dei suoi polpastrelli sulla pelle sensibile ai lati della bocca. Poi lui percorse il suo labbro superiore con una carezza così impercettibile da farle pensare di essersela immaginata e il suo cuore prese a scalpitare. Mab fu sommersa da una marea altissima e rovente, fu troppo.
Gli afferrò i polsi e allontanò le sue mani da sé, quel tanto che bastava a eliminare ogni traccia di contatto. Lo vide stringere i pugni, sentì i tendini tirare sotto le dita e scorse una luce pericolosa in fondo a quelle iridi nere più del nero. Rain respirava col naso, veloce come un mantice, e Mab sentì qualche specie di emozione elettrica emanare da lui. Abbassò il capo, eludendo il suo sguardo, e vide le sue spalle sussultare mentre cercava di dominare qualunque cosa l’avesse colto. Mab strinse le dita sui suoi avambracci, trattenendolo e allo stesso modo tenendolo a distanza, combattendo con altrettanta tenacia il grumo di paura che prese a espandersi nel petto. Non aveva mai visto Rain perdere il controllo.
Non immaginava neanche lontanamente che fosse possibile. Il terrore che lui potesse andare in pezzi, che potesse perdere quella forza granitica di cui non riusciva a fare a meno, le esplose in petto facendo più danni che l’ordigno che aveva sconvolto la sala del trono di Luce.
«Riprenditi soldato!» gli intimò, la voce rotta dalla paura non ancora dissolta e da una nuova sensazione di gelo strisciante.
Rain sollevò gli occhi nei suoi e il bagliore che prima vi aveva solo intravisto era diventato una luce rossa, che si andava allargando dal centro della pupilla.
«Rain!» Il richiamo di Nair che correva verso di loro sembrò sortire qualche effetto. Rain batté le palpebre e, quando Mab tornò a guardare nei suoi occhi, erano quelli di sempre.
«Fratello? State bene?» domandò Nairnering, accovacciandosi accanto a loro e posando entrambe le mani sulle spalle dell’altro mentre forzava perché si voltasse verso di lui. Dall’intensità con cui lo scrutava sembrava fosse a conoscenza di qualunque cosa non andasse in lui. Mab lasciò andare la presa che ancora teneva serrata su Rainering e si fece indietro. Il mal di testa che prima l’aveva solo minacciata era diventato un dolore acuto e pressante.
I gemelli si fronteggiarono qualche istante e, mentre lo sguardo di Nair sembrava preoccupato, l’espressione sul volto del fratello era perfettamente neutra. Poi, senza una parola, Rain si scostò per alzarsi in piedi e le porse una mano affinché facesse altrettanto, gli occhi sempre rivolti verso quelli del gemello. A Mab sembrò che cercasse di proposito di evitare il suo sguardo.
«Cos’era?» chiese Rain con voce roca al fratello, il suo profilo altrimenti perfetto era turbato da un taglio netto che dal sopracciglio destro arrivava a lambire l’attaccatura dei capelli. La regina dei Luminosi si torse le mani per evitare di toccarlo. Voleva scuoterlo, dannazione, e scoprire cosa diavolo gli prendeva.
«Una granata,» rispose Nair. «Raggio d’azione limitato, tanto fumo e poco arrosto.»
«Un diversivo,» commentò Mab.
«Sì, ovviamente.»
Rain annuì poi spostò lo sguardo verso l’assembramento di persone che ricevevano assistenza dopo l’esplosione.
«Hanno lanciato quella cosa attraverso la vetrata e…» lo esortò la regina, voleva arrivare a capo di quella faccenda e lo voleva subito.
«No, quello era un masso. La bomba è stata lanciata da qualcuno dall’interno,» rispose Nair con gli occhi puntati sul volto del fratello.
«Un diversivo nel diversivo?» domandò Mab, mentre il ronzio nella sua testa aumentava ancora.
«Ai fae non piace giocare con le cose che esplodono. Chi diavolo c’è dietro questa storia?»
«Le granate sono in dotazione all’esercito umano e ai…»
«Lupi mannari. Quei figli di puttana ci stanno riprovando,» lo interruppe Mab con rabbia crescente.
«Oppure è quello che vogliono farci credere,» intervenne Rain con lo sguardo rivolto alla sala.
Mab annuì, poi piantò bene i piedi per terra: se i maledetti mannari cercavano rogna, con lei l’avrebbero trovata eccome.