Cuore di Foglia
La camera profumava di sandalo e miele. Quando Nair con un gesto deciso della mano scacciò due dei servitori che ancora si attardavano attorno al suo principe, non aveva idea di cosa avrebbe fatto.
Mojheardean era seduto su una panca e gli dava le spalle, i capelli umidi sciolti sulla schiena, la testa inclinata. Qualcosa nella sua immobilità gli suggerì che doveva avere gli occhi chiusi e ciò nonostante avesse avvertito la sua presenza. Lo faceva sempre. Lo sapeva.
La camicia sottile che indossava era intrisa d’acqua, incollata alla pelle, seguiva la linea elegante dei suoi muscoli lunghi e della fine ossatura. Poteva intravedere anche alcune delle cicatrici che segnavano la superficie altrimenti perfetta della sua schiena. Nair sapeva di essere marcio, egoista fino al midollo, tanto da non sentirsi neppure in colpa per un istante pensando che in fondo amava quei segni. Adorava fino alla più piccola parte di lui. Quegli sfregi crudeli, che aveva visto imprimersi nella sua anima per un tempo lunghissimo, appartenevano anche a lui. Ne aveva sofferto e aveva goduto
di quella sofferenza.
Erano suoi, proprio come l’uomo che li portava.
«Quindi sei di nuovo qui.»
Con tutto quello che gli pesava sul cuore, aveva scelto di tenergli il muso per la sua assenza?
«Ne dubitavi?» Eppure era stato chiaro. Sarebbe tornato per lui. Sempre.
Nair si avvicinò ancora, aveva fretta di toccarlo ma non sapeva come avrebbe accolto il suo tocco. Non aveva scordato lo sguardo d’accusa che gli aveva rivolto nella sala del trono.
Mojheardean si voltò per affrontarlo, scavalcando la panca con entrambe le gambe ma rimanendo seduto.
Che fosse una misera panchetta di legno o un trono maestoso, non faceva differenza per lui. Era un principe e lo sarebbe stato sempre. Mo rimase a osservarlo in silenzio, le belle sopracciglia corrucciate sul suo sguardo denso di stelle.
Nair si chiese se fosse davvero necessario passare attraverso le parole, avrebbero potuto rispondersi nel modo più facile e sincero che conosceva. Sarebbe stato tutto più semplice. Si mise le mani in tasca per giocherellare con l’accendino e sorrise. Un sorriso piccolissimo, quasi un mero pretesto, un modo per prendere tempo.
Lo avrebbe supplicato di punirlo anche in quello stesso istante, non gli interessava neppure la ragione.
«Non puoi andartene senza una spiegazione e tornare quando ti pare e piace,» lo redarguì il principe. Concedendogli infine di sapere cosa lo indispettisse tanto. Era completamente matto.
«No?»
Mo si limitò a sollevare il mento e a corrugare ancora di più la fronte. «In futuro dovrai comunicare a Rijghar i tuoi movimenti. Dobbiamo sapere dove trovarti in caso di necessità. Se non ti sta bene, negozierò con Mabliereen un altro ambasciatore.»
Nair sentì il sorriso che gli si allargava sulla faccia e fece ancora un passo, fino a trovarsi così vicino da sentire il calore della sua pelle, poi s’inginocchiò ai suoi piedi. L’umidità della stanza da bagno penetrò attraverso i suoi jeans così come la pietra dura e ruvida. Il suo signore sedeva rigido, le labbra strette e le narici leggermente allargate per assecondare un respiro sempre più veloce.
«Non avrai un altro ambasciatore, Mo,» sussurrò, «e non parlerò con il tuo comandante, parlerò con te.»
Nairnering sollevò una mano fino a portarla a lato del suo volto, la sua guancia che si adattava alla perfezione al palmo, ma questo lo sapevano già. Col pollice gli disegnò il contorno delle labbra, che subito si dischiusero, abbandonando finalmente quella piega innaturale e fastidiosa.
«Se hai finito, possiamo passare direttamente alla parte in cui mi faccio perdonare,» gli disse.
Mo spalancò la bocca, desiderio e sdegno che si contendevano il suo sguardo dalle sfumature infinite. Il Luminoso penetrò con le dita tra quelle labbra morbide, dopo gli fece scivolare la mano attorno alla nuca, portando quel volto adorato abbastanza vicino da inalare il suo stesso respiro. Abbastanza da depositare ciò che aveva da dirgli direttamente sulla sua bella bocca oltraggiata.
«Ho pensato a questo ogni istante che ho passato lontano,» mormorò, prima di approfittare della sua resa quasi immediata e baciarlo.
Mojheardean si spinse sulla sua bocca senza nessuna esitazione, scivolando a terra tra le sue gambe: lo tirò a sé con entrambe le mani, dita che gli scavavano tra i corti capelli. Un disastro che aveva creato lui stesso.
Nair emise un gemito di protesta quando il principe si sottrasse alla disperata voracità della sua bocca. Aveva gli occhi luminosi e profondissimi, persi. Si costrinse ad assecondare quel momento, rimase immobile e quasi fu
troppo quando il suo adorato signore dei Grigi cercò rifugio nel suo abbraccio.
Non avrebbe potuto spiccicare parola neppure se avesse voluto. Qualcosa di gigantesco gli si stava allargando tra la gola e il petto. Quasi stentava a respirare.
Si strinse addosso quel regalo tanto prezioso quanto immeritato. Uno dei tanti.
Mojheardean mugugnò qualcosa sulla stoffa della sua camicia, quindi inspirò a fondo tra le sue braccia. Cosa avesse detto non sembrava avere importanza.
Stettero così, mentre Nair gli faceva scorrere le mani sulla schiena, lungo i fianchi snelli, sulle cosce, calmando quell’angoscia sottile, quell’emozione soverchiante che esplodeva tutte le volte che si trovavano di nuovo a respirare la stessa aria. Quella cosa terribile e bellissima che aveva il potere di alienarli a qualsiasi ragione o senso di realtà. Fece scorrere le mani sulla sua pelle, nutrendo finalmente quella bestia famelica, alimentando il desiderio, scacciando la paura.
Mo posò dita delicate ed esitanti sui suoi fianchi; un tocco leggerissimo, una carezza timida, troppo, persino per lui.
«Puoi prendere quello che vuoi di me. Anche tutto. Non c’è nulla che io voglia negarti,» sussurrò Nair.
«Non puoi parlare sul serio.» Mo si sciolse dall’abbraccio per guardarlo negli occhi: Nair non avrebbe potuto immaginare ciò che scorse nelle sue iridi pallide come nebbia, il suo principe però sembrò trovare la propria risposta.
«Vieni. Non ho intenzione di rotolarmi su un pavimento duro e bagnato,» gli disse con voce roca e colma di emozione, facendosi indietro per alzarsi in piedi.
Lo seguì con lo sguardo mentre senza più voltarsi si dirigeva verso la camera da letto. Cercò di ingoiare il nodo strettissimo che gli stringeva la gola. Si sollevò su gambe malferme e immaginò che avrebbe anche potuto raggiungerlo strisciando, nel caso.
Mo lo stava aspettando ai piedi del suo letto mostruoso, i capelli sciolti sulle spalle, la camicia aperta sul petto magro ma definito. Non c’era più traccia nella sua costituzione di quanto patito nelle prigioni del Cerchio. A parte le cicatrici, quelle spiccavano come scie argentee sulla pelle olivastra. Nair lo guardò negli occhi splendenti: avrebbe venerato anche la più piccola di loro. Con poche falcate lo raggiunse, gli posò le mani ai lati del collo poi le fece scivolare sotto la stoffa, allargandola fino a farla scivolare a terra.
Fu allora che li vide: l’impronta appena sbiadita di un morso sulla spalla e il segno inconfondibile di profondi graffi sul bicipite.
«Ti ha toccato!» sibilò, mentre qualcosa di mortale, simile a veleno, prendeva a scorrergli nelle vene.
«Sì.»
«Hai lasciato che ti toccasse.»
«Sì.»
Sentiva solo il proprio cuore che batteva. Tra le costole, nella gola, nella mente. La paura aveva artigli gelidi e più dolorosi di una lama.
Se fosse andato via? Se non avesse capito? Come avrebbe potuto spiegare? Come dirgli che aveva immaginato il suo sapore per tutto il tempo, che era la sua pelle quella che aveva desiderato, la sua bocca a essergli mancata finché non aveva detto basta.
Immobile davanti a lui, Nair aveva le labbra tese, gli occhi fissi su quei segni che ora sembravano più sporchi e luridi di tutte le cicatrici che si portava addosso. Il lupo l’aveva marchiato. Forse con intenzione. Perché aveva capito quello che lui stesso si era impedito di sperare.
Quello che non aveva compreso di poter perdere.
«Perché t’importa, Nairnering Cuordifoglia? Occhi di neve,
non avrei dovuto?» chiese con un filo di voce, cercando di nascondere quella disperazione.
Nair fissò lo sguardo nel suo, la rabbia stava lasciando il passo a una sorta di determinazione. C’era una lotta selvaggia che si stava scatenando dentro il Luminoso. Mo ne seguì il corso trattenendo il respiro, poi inspirando a tratti l’aria che si stava profumando di clorofilla, osservando con la coda dell'occhio i rampicanti che si agitavano attorno agli stipiti delle finestre.
«Hai ragione. Non mi devi devozione,» dichiarò infine Nair con voce neutra. Aprendo una ferita bruciante da qualche parte dentro di lui.
Mai il principe di Pietrabuia si era sentito più miserabile.
Ora Nairnering sembrava distante più di quanto fosse mai stato.
Poi le sue mani tornarono su di lui, sorprendentemente delicate, quasi riverenti. Gli scivolarono sul ventre, tiepide e leggere, carezze capaci di strappargli il cuore. Con le dita risalì il suo petto e si fermò ai lati del collo, i pollici sulla gola, dove il suo cuore scandiva un ritmo impossibile. Gli scostò i capelli lontano dal volto e lo guardò, la rabbia era sparita, seppellita, oscurata. Tanto da fargli pensare di essersela solo immaginata. Non fosse stato per il velo di dolore sceso sugli occhi di Nair, l’avrebbe pensato quasi indifferente.
Mo serrò le palpebre, era così che poteva andare? Si sarebbe dato a lui senza avere nulla in cambio? Sentì le sue labbra contro la curva del collo, morbide, appena umide. Lasciarono una scia rovente che gli tolse il fiato, scatenando una serie di fitte che gli attraversarono i lombi. Quello che aveva provato sentendo le mani del lupo su di sé non era niente. Un niente che adesso pesava come piombo sui loro cuori.
Le dita del Luminoso gli disegnarono cerchi sulla pelle, volute e linee infinite. Rincorrendo brividi, scartando strati su
strati di protezioni e corazze. Il bisogno di lasciarsi andare completamente cominciò a divoralo dall’interno. Proprio mentre il suo fae della Foglia faceva penetrare le dita tra la stoffa dei suoi calzoni e la curva dei fianchi. Mentre si riempiva della sua pelle e gli assaggiava infine la bocca dischiusa in un gemito roco e disperato.
«Va tutto bene,» gli assicurò Nair. «Penserò io a tutto.»
Mo inspirò l’aria che sembrava a un tratto insufficiente, profumava di lui e ne voleva il più possibile. Spalancò le labbra quando l’altro con la lingua ne stuzzicò i contorni, quando ne saggiò la morbidezza. Sentì la carezza frastagliata dei suoi denti sulla pelle sensibile e già gonfia. Rispose al bacio con una disperazione che avrebbe dovuto essere sufficiente a sostituire qualsiasi parola.
Quando Nair lo lasciò per scivolare in basso con le labbra sul suo collo, sciogliendo con dita agili il nodo che gli teneva i pantaloni sui fianchi, Mo avrebbe voluto urlare come in agonia. Non aveva finito di spiegare. Non aveva finito di nutrirsi della sua bocca.
Nairnering lo spinse sul letto facendo cadere i troppi cuscini di seta e broccato, liberò le sue caviglie dalla stoffa aggrovigliata dei pantaloni poi fu su di lui. Il contatto con i suoi abiti, i bottoni, le fibbie dure e la stoffa rigida dei jeans era stranamente conturbante.
Era ancora vestito. Dalle caviglie al colletto, appena allentato, della camicia scura che indossava. Il suo peso era una sensazione deliziosa mentre si strusciava su di lui con piccoli movimenti circolari dei fianchi, mentre con la lingua ridisegnava i contorni delle pieghe della sua pelle, mentre gli succhiava tra le labbra il piccolo lobo dell’orecchio.
Mo gli infilò le dita tra i capelli e gli tirò indietro la testa, voleva i suoi occhi, voleva guardarci dentro e confessare la verità. Qualunque essa fosse.
Invece lasciò che il suo sguardo pallido gli bruciasse
l’anima, che Nair seppellisse il volto nella curva della sua gola e gli strisciasse sul corpo, disseminando una scia di piccoli baci lungo il ventre teso, fino a lambire la sua carne gonfia e smaniosa. La fitta di piacere lo lasciò incapace di articolare qualunque cosa non fosse un suono confuso e dolente. Il calore della sua bocca lo sorprese, stordendolo e spazzando via ogni pretesa di ragione.
Si sollevò su un gomito e tese una mano per affondare le dita tra i suoi capelli di seta grezza. Voleva toccare una qualsiasi parte di lui, anche il più piccolo brandello. Voleva morire di quel piacere e rinascere per darglielo indietro mille volte tanto.
«Nair!» piagnucolò, un suono ridicolo, indegno del sire di Pietrabuia. E in quel momento si rese conto di essere solo Mo. L’essere selvatico che Nair gli stappava da sotto pelle. Mo nella sua bocca, tra le sue braccia, dentro di lui. Dove voleva essere, tanto a fondo da non poter più essere scacciato.
Era spaventoso e sublime.
Sentì la carezza affilata dei suoi denti e il tocco leggermente ruvido della lingua a lenire quell’accenno di dolore sulla pelle ipersensibile. Avvertì la seta delle sue labbra attorno, che stringevano dove ne aveva bisogno, accogliendolo morbide e sode. Le sue mani aperte sulle cosce, le dita che lo tenevano, poi i palmi che scorrevano accompagnando i movimenti sempre più frenetici dei suoi fianchi.
«Nair!» ripeté senza fiato, in un grido strozzato, e l’altro alzò gli occhi, trafiggendolo con un piacere inimmaginabile, bevendo fino alla più piccola goccia di beatitudine che era riuscito a strappargli.
Lo sguardo di Nair era tempesta. L’emozione gonfiò mentre il corpo di Mo si quietava, alimentata da quel vento immaginario, da quel vortice impossibile da domare. Il principe la cavalcò, con la certezza quasi assoluta di vedersi distrutto, annientato dalla fame implacabile che lo dominava.
La stessa forza distruttrice di un tornado, impossibile da tenere tra le mani, da serbare nel cuore. Inspirò a fondo, cercando di portare energia alle membra fiacche, ai muscoli flosci e alla mente ancora preda di quel piacere violento.
Quell’istante d’infinito si accartocciò e Nairnering si nascose dietro le palpebre serrate, abbandonò la testa, le spalle tese, il torso che si espandeva al ritmo accelerato del respiro, mentre un ciuffo dei suoi capelli gli solleticava il ventre. Nair staccò le mani dalla sua pelle per andare a stringere tra le dita le lenzuola, quasi fossero l’ultimo appiglio. La sua pelle, chiarissima contro la stoffa scura degli abiti che lo imprigionavano, riluceva leggermente, come la pallida emanazione di un eccesso di energia. Sembrava un miraggio, una visione. Quando alla fine risollevò lo sguardo, le sue iridi avevano il colore di nuvole temporalesche: scure e vorticose.
Mojheardean si contorse sotto quello sguardo, mentre il suo corpo, tutt’altro che sazio, pregustava ancora il tocco dell’amante, mentre qualcosa dentro di lui gridava per il bisogno di toccarlo a propria volta. E decise, in quel momento perfetto, che avrebbe preso tutto. Tutto e ancora di più.
Il Luminoso distolse di nuovo gli occhi, poi lentamente, come se le sue membra fossero troppo pesanti, si scostò per andarsi a sedere sul bordo del materasso. Il suo profilo sfumato dalla luce fioca delle lanterne lo faceva assomigliare a un fantasma.
Che si fosse immaginato tutto?
Mo si rannicchiò sul fianco mentre cercava d’interpretare i suoi gesti, i movimenti nervosi delle mani, le parole che non stava dicendo. L’inesperienza e la sua stessa fragilità a imprigionarlo.
Sentì freddo ma non si coprì, si limitò a respirare e aspettare. Almeno per un po’. Nairnering sembrava in lotta con se stesso e gli avrebbe concesso ancora un minuto prima di dirgli quello che voleva. Un tempo in cui anche lui avrebbe
raccolto il coraggio.
«Devi fare attenzione a non cadere da quassù e romperti l’osso del collo,» osservò il Luminoso prima di passarsi entrambe le mani sulla faccia. I capelli, che gli aveva tagliato in modo tanto rozzo, spuntavano in tutte le direzioni dandogli un aspetto deliziosamente selvaggio. Mo non vedeva l’ora di farci scorrere le dita.
«Pensavo di farmi costruire una piccola scala, in effetti,» si ritrovò a replicare. Si staccò dalla coltre di cuscini per avvicinarsi, un po’ interdetto da quell’ammonimento e confuso dalla piega che stava prendendo la situazione.
Nair sobbalzò al tocco della sua mano sulla spalla e s’irrigidì ancora mentre gli si accostava e rubava un po’ del calore che emanava. Il suo calore e il suo profumo unico. Mo inspirò e posò entrambe le mani su di lui, appoggiandosi alla sua schiena gli fece scorrere le dita sulla nuca, tra i ciuffi scombinati della chioma color inchiostro. Scivolò con i polpastrelli sulla gola e lo sentì deglutire mentre la stoffa della sua camicia gli strusciava contro il ventre, facendogli desiderare di vederla sparire. Era il momento di sentire la sua pelle, solo la sua pelle, dappertutto.
«Mo… è meglio che…»
Il sire di Pietrabuia s’immobilizzò, il Luminoso fece per alzarsi ma lo trattenne contro di sé. «Vuoi andare via?»
Nair sospirò e Mo sentì il suo corpo sgonfiarsi sotto di sé, mentre il cuore mancava un battito e una sensazione amara risaliva bruciandogli in gola.
«Io…»
«Perché?» gli chiese allora. Mo strinse tra le dita la stoffa che gli cingeva le spalle, ignorando i bottoni che cedevano sul davanti. Cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che quello che avevano condiviso non era altro che un modo per compiacerlo? Per alleggerire la coscienza del Luminoso? Per “servirlo” come era solito dire. «Perché sei venuto qui questa sera?» sibilò.
«Rispondi!»
Nairnering si mosse velocemente, in un attimo Mo si ritrovò supino a guardare negli occhi stravolti del suo fae della Foglia. «Sono dove avevo bisogno di essere!» gli sputò a un soffio dal naso.
«Perché?»
«Perché ti voglio! Sempre, senza tregua. Perché non ho pace, mai, se non…» Nair chiuse la bocca di scatto, i suoi occhi erano specchi argentei in cui Mo vedeva un se stesso che non avrebbe mai sospettato esistere. Che fosse dannato, non aveva bisogno di null’altro. Gli fece scivolare le mani dietro la nuca e reclamò quella bocca dalla piega amara. Ogni bacio era una preghiera, ogni carezza una pretesa. Aveva detto di essere suo. Adesso era disposto a crederci, deciso a far valere ogni diritto che gli aveva concesso.
«Mi vuoi?» sussurrò tra le sue labbra. Nair rispose a quella che suonava come un’invocazione con un gemito profondissimo della gola. Il sire di Pietrabuia godette di quel lamento, si crogiolò nel suo bisogno disperato. Lo stesso che lo coglieva senza mai sopirsi del tutto.
Lo voleva. Nairnering della Foglia lo voleva tanto quanto lui lo desiderava.
Mojheardean spinse sul suo torace, facendo leva finché il Luminoso non rotolò di lato e poi sulla schiena. Nair sorrise appena a quello sfoggio e fece per sollevarsi prima che lui glielo impedisse, portando tutto il peso sul suo petto.
«E io
ti voglio qui. Esattamente dove sei,» lo ammonì. Mojheardean si scostò osservando compiaciuto quel corpo lungo e aggraziato, disteso per lui sulle coltri del proprio letto. Così andava bene. Bene davvero. «Adesso voglio guardarti.»
Nairnering piegò il capo in un lieve cenno di assenso poi si portò le dita al colletto della camicia e cominciò a sbottonare i pochi bottoni sopravvissuti. Le dita veloci e bianchissime sulla
stoffa scura, la sua pelle che riluceva in contrasto, mano a mano che veniva svelata.
«Adorerei essere il tuo giocattolo, mio sire. Sai come si gioca questo gioco?» gli domandò in un roco sussurro.
Mo si protese e gli posò le mani sulla cintura, tastò coi polpastrelli la fibbia di metallo e ne percepì il lieve potere urticante. Se avesse dovuto tenere quel metallo addosso per troppo tempo sarebbe stato doloroso. Come era possibile che per lui non lo fosse?
«Brucia,» mormorò, strofinando tra loro i polpastrelli indolenziti.
«Sì,» rispose Nair sostituendo le dita alle sue sulla fibbia per slacciarla, «ci si fa l’abitudine.»
«Per quale motivo la porti?» gli domandò. Il Luminoso non rispose ma afferrò la sua mano e se la portò alla bocca, poi accolse le sue dita tra le labbra e ne accarezzò i polpastrelli con la lingua per lenire il lieve dolore. La sua pelle pulsò, tra quelle labbra e tra le gambe. Era di nuovo artigliato dal bisogno.
Si era di nuovo lasciato distogliere.
Nairnering lo lasciò andare e, sollevando i fianchi, fece scorrere i pantaloni lungo le gambe fino a rimanere perfettamente nudo. Mo si fermò a contemplare quella visione, mentre l’altro uomo si sistemava con la schiena sui cuscini in una posa che non poteva essere scambiata per null’altro che un’offerta.
«Allora? Giocherai con me?»
Mo fece scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo, aveva delle linee bellissime e colori stupendi. Indugiò appena, poi le sue mani seguirono lo stesso percorso degli occhi, accarezzando, imparando a memoria ogni distesa e avvallamento. La pelle liscia sui fianchi, qualche virgola argentata dove, tempo prima, una lama ne aveva scalfito la perfezione setosa. S’inginocchiò tra le sue gambe e gli allargò
le cosce, fece scorre i palmi delle mani lasciandosi accarezzare dalla peluria quasi invisibile e si abbassò col viso a un soffio dal suo ventre per sorbire il suo odore. Avvertì con soddisfazione il respiro di Nair diventare più veloce e tastò con la punta della lingua il suo sapore, dove era più intenso.
«Mi insegnerai come si fa?»
«Cosa?» domandò il Luminoso con voce incrinata.
«Come si gioca.»
Il fae sbuffò una risata che si sgretolò in un rantolo quando Mo tentò di replicare la magia che gli aveva regalato poco prima, accogliendo la sua carne nella bocca con troppa esitazione.
«Sì,» mugugnò Nair e Mo decise di prenderlo sia come una risposta che come un invito a continuare. Lo gustò con meticolosa devozione, sentendo la sua pelle pulsare e il corpo fremere sotto le mani. Nair s’inarcò e gemette poi lo chiamò, l’affanno nella sua voce era una musica meravigliosa. Qualcosa che avrebbe voluto sentire sempre.
«Mio… mio adorato principe,» sussurrò mentre le sue dita gli si tuffavano tra i capelli per costringerlo a guardarlo, a specchiarsi nei suoi occhi belli e feroci.
In quelle iridi pallide la voluttà si mescolava con un dolore quasi puro, qualcosa che stentava a comprendere, qualcosa che aveva solo intravisto in precedenza.
Si lasciò vincere dalla stretta delle sue mani e gli scivolò lungo il corpo fino ad allineare il volto al suo, finché i loro fianchi non combaciarono, cullandosi a vicenda. Mo sentì il calore del suo fiato sulle labbra gonfie. «Tuo,» gli baciò sulla bocca. Non aveva quasi emesso suono ma doveva aver capito, doveva, poiché gliel’aveva impresso sulla pelle.
«Tuo,» esalò Nair prima d’impossessarsi ancora della sua bocca. Le sue mani erano ovunque, le dita che esploravano recessi custodi di piaceri inaspettati, stappavano brividi, alimentavano un fuoco che non voleva trovare pace.
«Voglio…voglio te, devi dirmi … come,» gli ordinò Mo in maniera del tutto sconclusionata, ma in qualche modo l’altro dovette capire.
Nair lo accompagnò alla scoperta del proprio corpo, gli svelò ogni mistero e, quando finalmente il piacere esplose tra le sue mani in lunghi fiotti caldi, lo tramutò in un’offerta. Usando il risultato di quel piacere per preparare se stesso ad accogliere il suo desiderio. Quella volontà che stava straziando Mo dal bisogno di averlo, di essere dentro di lui, tanto in fondo da non poter tornare indietro.
Quando lo guidò a prendere possesso del suo corpo fu quasi troppo da sopportare; quando lo vide sforzarsi di tenere gli specchi luminosi e pallidi della sua anima aperti per lui, fece quasi troppo male.
Qualunque cosa fosse successa, qualsiasi mondo avessero trovato fuori da quella stanza, adesso Mo era in lui. E non lo avrebbe lasciato.
Nairnering stette con la mano sospesa sul volto addormentato del principe di Pietrabuia. Il suo
adorato principe. Che aveva preteso in quel suo modo deliziosamente altezzoso che gli insegnasse come prenderlo, che l’aveva guardato mentre usava il piacere con cui l’aveva deliziato per rendere il proprio corpo accogliente abbastanza, per fare sì che potesse scivolare dentro di lui senza avvertire dolore. Quel dolore che aveva tante volte rincorso e desiderato. Un dolore che non avrebbe lasciato intromettersi tra lui e il suo principe.
Non doveva esserci più spazio per la pena tra loro, ce n’era stata fin troppa. Mo si meritava solo il piacere, tutto quello che poteva dargli e quello che avrebbe preteso da lui.
Con un sospiro fece scorrere le dita lungo le linee sottili delle sue sopracciglia, che fremettero appena al contatto, la sua bocca s’imbronciò e Nair si piegò per risucchiare quella
carne dolce tra le proprie labbra.
Mojheardean brontolò qualcosa poi aprì gli occhi assonnati, sorpresi di trovarsi specchiati nei suoi, pallidi e freddi.
«Mab vuole partire all’alba. Devo raggiungerla per discute alcune cose prima che vada.»
Mo sembrava leggermente confuso e si lasciò rubare un altro bacio, solo dopo replicò: «Vengo con te.»
Nair scosse la testa poi stiracchiò le membra intorpidite, non aveva voglia di lasciare il calore del suo corpo ma prima di ogni cosa veniva la sicurezza del suo principe, e questa poteva venire solo grazie a una buona pianificazione e all’eliminazione di un certo mannaro. Se avesse scoperto che il fottuto lupo era invischiato in quella faccenda…
«Resta a letto, non hai riposato abbastanza,» disse, mentre l’altro sbadigliava dietro una mano.
«Ma…»
Nair si liberò delle coperte e scese da quell’orribile letto cominciando a raccattare i propri indumenti. «Tornerò tra poco e allora mi dirai cosa ti turbava tanto ieri sera.»
«Sei dannatamente prepotente per essere al mio servizio, come sostieni,» lo rimbeccò Mo ricadendo sui cuscini.
Nairnering sorrise mentre si infilava la camicia sotto quello sguardo attento e lievemente risentito, poi si avvicinò al letto e si fermò a un soffio dal suo bel naso aristocratico. «Facciamo così: dentro quel letto sarò sempre e comunque il tuo schiavo adorante, ma fuori lascerai che mi occupi delle mie faccende, senza interferire.»
«Mi sembra un compromesso per nulla soddisfacente!» s’indignò il suo principe.
«Va bene, potrai comandarmi: a letto, sulla poltrona del tuo studio, nella vasca da bagno, in terrazzo…» enumerò Nair, mentre il suo sorriso si allargava sempre di più in proporzione all’espressione sdegnosa di Mojheardean.
Si avventò su quella bocca prima che potesse replicare e la
baciò come aveva sempre desiderato fare.
Quando si staccò da lui, Mo aveva un’aria frastornata ma languida, la luce nei suoi occhi era calda e densa di promesse. Nair non si meritava neppure un sorso di quel sentimento che gli stava scaldando il petto. Ma il suo principe sì, e glielo avrebbe dato tutto.
Gli avrebbe dato ogni cosa.