Ringraziamenti

 

Nessun libro con una gestazione di oltre cinque anni può vedere la luce senza il sostegno e l’incoraggiamento di numerose persone, ed è con piacere che in questa sede esprimo la mia gratitudine verso coloro che tanto la meritano.

Quest’opera parla della mia famiglia, e la riconoscenza maggiore va senza dubbio, ora come sempre, a i miei cari: in primo luogo ai miei genitori, Marlene e Jay Mendelsohn, che hanno incoraggiato sin dall’infanzia i miei puerili entusiasmi (il «tavolo di Atena»; le escursioni fotografiche nei cimiteri) e che sin da allora hanno condiviso senza riserva tempo, ricordi e molto altro; poi ai miei fratelli e ai parenti acquisiti, i quali, come queste pagine hanno mostrato, sono stati non solo fautori entusiastici ma partecipanti attivi e costanti al Progetto Bolechow: Andrew Mendelsohn e Virginia Shea; Matt Mendelsohn e Maya Vastardis; Eric Mendelsohn;Jennifer Mendelsohn e Greg Abel.

Sarebbe un’ingiustizia, comunque, tralasciare di esprimere in particolar modo la mia più sincera gratitudine a Matt, sin dal principio validissimo collaboratore di questo progetto; i racconti narrati nel libro si devono a lui quanto a me, e non solo perché esso è in gran parte frutto del suo straordinario talento. Quando dico che ha un modo splendido di vedere le cose, non mi riferisco unicamente al suo occhio professionale; alla fine, la sua profonda umanità traspare nei testi come nelle fotografie. Tra tutti i tesori scoperti durante questa ricerca, lui è il più prezioso.

I sopravvissuti di Bolechow conosciuti nel corso di due anni non sono, a rigore, componenti della mia famiglia, ma ormai mi è difficile non considerarli tali; non c’è bisogno di ripeterne i nomi, visto che l’intero libro è una testimonianza della mia gratitudine nei loro confronti, per la loro superba e munifica ospitalità, per la generosità dimostrata nel condividere con me il tempo e i ricordi, impresa non sempre facile. Ciò nondimeno voglio ricordare qui altri amici e parenti per l’ospitalità e l’amicizia dimostratami: Susannah Juni; Malka Lewenwirth; Debbie Greene a Sidney; e a Stoccolma i nostri cugini Mittelmark, Renate Hallerby e suo marito Nils, che mi hanno manifestato grande calore e disponibilità malgrado il poco tempo trascorso insieme. Amici e parenti in Israele mi sono stati particolarmente vicini con la loro preziosa ospitalità, incoraggiamento el’entusiasmo che mi hanno trasmesso, e sono profondamente grato a tutti loro. Un ringraziamento particolare va a Linda Zisquit a Gerusalemme, per l’affettuosa perseveranza nell’aiutarmi a reperire alcune informazioni essenziali. Allan e Karen Rechtschaffen e Marilyn Mittelmark Tepper hanno condiviso con me dei ricordi di fondamentale importanza durante i deliziosi fine settimana trascorsi tra cugini, e a Edward («Nino») Beltrami devo un’importante intuizione.

Al lettore di questo libro sarà apparso chiaro che il sottoscritto ha beneficiato di una straordinaria ospitalità a Bolekhiv, in Ucraina, per la quale esprimo la mia riconoscenza, come anche per quella dimostratami in altri luoghi. Tra tutti gli ucraini che mi hanno aiutato,nessuno è stato così generoso, entusiasta, e non da ultimo di così valido aiuto quanto Alex Dunai di L’viv, per quasi dieci anni mio braccio destro nel progetto del quale quest’opera rappresenta il culmine. Gli sono infinitamente grato per i suoi sforzi instancabili. Ha cominciato la collaborazione da collega prezioso, e insieme alla sua famiglia è diventato un caro amico.

Un’inestimabile assistenza tecnica e per le ricerche di archivio mi è stata fornita da un gruppo di giovani di talento, i cui contributi sono felice di segnalare: Nicky Gottlieb, per la sua eccezionale abilità di risalire ai giorni della settimana di un qualsiasi anno; Henryk Jaronowski, al quale sono debitore di alcune fotografie di fondamentale importanza; Arthur Dudney, senza la cui traduzione dal polacco mi sarei sentito perduto; e i miei beniamini, Morris Doueck e Zack Woolfe: «imparerai dai tuoi allievi».

Sono inoltre profondamente grato ad Ariel Kaminer del New York Times Magazine per l’aiuto nella pubblicazione dei miei primi scritti su Bolechow, che tanto successo hanno riscosso.

Un piccolo gruppo di amici è stato decisivo per il compimento di questo lungo progetto: Chris Andersen, Glen Bowersock e Christopher Jones, István e Gloria Deák, Diane Feldman, Lise Funderburg e John Howard, Bob Gottlieb e Maria Tucci, Renée Guest, Jake Hurley, Lily Knezevich, Laura Miller e Stephen Simcock. Donna Masini è stata quanto di meglio si possa desiderare in un amico; Patti Hart si è dimostrata di inestimabile aiuto. Myrna e Ralph Langer e tutta la famiglia hanno sempre manifestato un grande affetto per me e i miei cari, non risparmiando gli incoraggiamenti, particolarmente preziosi durante questo lavoro;sono particolarmente lieto di aver trovato in Karen Isaac una corrispondente IM valida e cordiale. Il mio debito verso Froma Zeitlin, che sono sempre felice di riconoscere, dovrebbe risultare evidente da queste pagine; non avrei potuto scrivere questo libro senza di lei – e adire il vero senza suo marito, George, mio generoso ospite da lungo tempo e di recente infaticabile compagno di viaggio a Vienna, in Israele e in Lituania. I miei viaggi con Lane Montgomery sono stati ideali; le sono infinitamente grato per il contributo fornitomi nel secondo viaggio compiuto insieme, di grande impatto emotivo. Sin dall’inizio di questo progetto, Nancy Novogrod e suo marito, John – che ha ascoltato i miei racconti sui viaggi in Galizia in modo estremamente partecipativo – sono stati fonte di preziosissima amicizia e incoraggiamento. Mettendomi nei suoi panni di editore sono anche riconoscente a Nancy, per la sua pazienza e indulgenza nel consentirmi di completare questo libro, concedendomi il tempo di cui avevo bisogno; Bob Silver della New York Review of Books è stato parimenti generoso sotto questo aspetto, come sempre in molti altri.

Ma nessun amico è stato così decisivo per la stesura di quest’opera quanto Louis e Anka Begley. Sottovaluterei il loro aiuto se affermassi che hanno condiviso con me tanti aspetti fondamentali; non da ultimo, offrendomi la loro ospitalità durante la settimana cruciale in cui ho portato a termine il mio lavoro.

Sin dall’inizio, questo libro è stato il frutto di una collaborazione piacevolissima con il mio editor, Tim Duggan, e gli eventuali meriti li devo in gran parte a lui. L’entusiasmo con cui ha accolto l’idea del progetto,la pazienza dimostrata mentre il suo campo d’azione si ampliava per dimensioni e tempo, la sua impeccabile professionalità, l’abilità con cui ha contemperato un’acuta sensibilità editoriale con la profonda comprensione dei fini che mi proponevo, hanno reso la stesura di questo libro un evento gioioso e, in ultimo,un’esperienza da cui ho appreso molto. Lo ringrazio per questo. Devo aggiungere che non poco del piacere di aver lavorato con lui è dovuta all’eccellente aiuto, infaticabilmente cordiale e immancabilmente efficiente, fornitomi dalla sua assistente, Allison Lorentzen, alla quale sono estremamente grato.

Vorrei terminare dove ho cominciato. Avevo appena finito le superiori quando Lydia Wills mi accolse e mi indicò la direzione giusta, e da allora la nostra collaborazione professionale ci ha procurato tanto orgoglio e parecchie soddisfazioni – come del resto la nostra amicizia. Sin dall’inizio è sempre stata convinta che dovessi scrivere questo libro, ed è grazie a lei che ha visto la luce; dunque, il merito di quest’opera è suo quanto mio.

 

I lettori che mi hanno seguito sin qui avranno ormai familiarità con la signora Frances Begley, nata Franciszka Hauser, e con il mio smisurato affetto per lei. Ma ci sono anche altri che desidero commemorare, non limitandomi a citarne il nome. Sarah Pettit è stata per prima cosa il mio editor, quando cominciai a scrivere il libro; ma presto il rapporto di lavoro ha lasciato il posto a una profonda amicizia. Le sue molteplici, straordinarie qualità – brillantezza intellettuale, sensibilità letteraria, acume professionale, gusto sopraffino, fine ironia che a mala pena mascheravano un’indole sentimentale, persino poetica, la sua bellezza, le sue passioni – sono state elogiate ovunque, come si confà a chi ha raggiunto tali risultati in così breve tempo. La sua scomparsa dovuta a un linfoma nel gennaio del 2003, a soli trentasei anni, fu e continua a essere una tragedia non solo per i suoi amici intimi. Mi limiterò a dire che è stata la prima e più appassionata sostenitrice di questo libro, e per me è davvero doloroso constatare che sunt lacrimae rerum, perché non potrà mai vedere il risultato del progetto la cui nascita salutò con altruistico entusiasmo in un momento in cui una mancanza di interesse per tutto ciò che non fosse il suo stato di salute sarebbe stata più che perdonabile. È stata e sarà sempre la mia cara ragazza.

Vorrei inoltre ringraziare le seguenti istituzioni e le persone che mi hanno concesso il permesso per la riproduzione di fotografie e la pubblicazione di citazioni di documenti in loro possesso:

 

Beth Hatefutsoth, il museo Nahum Goldmann della Diaspora ebraica, Tel Aviv, Esposizione permanente(pp. 478 e 482); il Museo ebraico di Praga (p. 404); Yad Vashem, il memoriale per i martiri e gli eroi dell’Olocausto, Gerusalemme (pp. 300-303, 326-329, 497); Lane Montgomery (p. 679); e Henryk Jaronowski (pp. 412 e415).