Avidio Cassio era nato a Cirro, in Siria. Il padre, Avidio Eliodoro, aveva iniziato la sua brillante carriera come procurator ab epistulis Graecis sotto Adriano, per continuare a ricoprire quella stessa carica sotto il suo successore, Antonino Pio, almeno fino al 1421. In ogni caso Avidio Eliodoro, oltre alla sua importante procuratela, fu anche un raffinato uomo di lettere, amico di alcuni dei rappresentanti più insigni della seconda sofistica, gli stessi di cui si circondava Adriano; tuttavia, a un certo momento, Avidio Eliodoro cadde improvvisamente in disgrazia presso il suo Augusto, che fino ad allora lo aveva protetto, al punto che lo stesso Adriano giunse ad «attaccarlo con lettere che lo infamavano molto»2.
Ma fu solo sotto il successore di Adriano, Antonino Pio, che la carriera di Avidio Eliodoro ricevette un innalzamento della più grande importanza se, dalla procuratela ab epistulis Graecis, passò al fastigio più alto cui potesse aspirare un membro dell’ordine equestre: la prefettura d’Egitto, provincia eminentemente pericolosa e gravida di rischi per chi dovesse curarne l’amministrazione, in base alle stesse caratteristiche degli Egizi, così come esse sono riferite ancora una volta dalla Historia Augusta, che in questo caso le attribuiva però al giudizio di Aureliano3. Mentre Avidio Eliodoro doveva conoscere bene quella turbolenta provincia grazie – com’è chiaro – appunto alla sua vicinanza alla Siria e ai rapporti commerciali che univano da tempo immemorabile quei due settori dell’impero, rimane comunque incerto l’anno esatto del suo ingresso in carica, il 137 o il 1384.
È stato anche supposto, e molto probabilmente non a torto, che Avidio Eliodoro potesse anche fregiarsi di ascendenze addirittura regali: nel caso specifico, grazie ad Antioco IV di Commagene, attraverso Avidius Antiochus, figlio a sua volta di Hieronymus e di Laodice. In effetti può ritenersi sicuro che Avidius dovesse essere il gentilizio di Hieronymus, dal momento che esso compare nella formula onomastica del figlio Avidio Eliodoro in connessione con il gentilizio Iulius. È molto probabile pertanto che il collegamento tra Antioco IV di Commagene e Avidius Antiochus debba ricercarsi in Laodice, nome che riconnette la donna alla dinastia dei Seleucidi: e doveva trattarsi di una connessione da cui i re di Commagene traevano chiaro e grandissimo motivo di orgoglio5.
Dunque, nonostante ancora una volta l’Historia Augusta (sulla scia evidentemente di Mario Massimo) attribuisse ad Avidio Cassio il rango certo non molto lusinghiero di «uomo nuovo»6, poiché i due figli di Avidio Cassio avevano nome rispettivamente Avidius Heliodorus e Avidius Maecianus, la circostanza che lo stesso Avidio Cassio fosse figlio di Avidio Eliodoro deve ritenersi sicura, elevando molto, di fatto (nel momento in cui il padre era appartenuto all’ordine equestre, giungendo – come si è visto – sotto Antonino Pio fino alla prefettura d’Egitto), le stesse ascendenze dell’usurpatore.
Evidentemente, nel caso specifico, ad aver inventato l’ascendenza di Avidio Cassio dai Cassii di epoca repubblicana (e, più in particolare, di quel Cassio implicato insieme a Bruto nelle idi di marzo) deve essere stato Mario Massimo, con la sua tipica tendenza – su cui si è già più volte richiamata l’attenzione – volta a mescolare notizie vere alle fandonie più spudorate. Ammesso che Avidio Cassio avesse voluto veramente ripristinare l’antica repubblica, non sarebbe ricorso a un’usurpazione che di fatto avrebbe reso lui stesso un Augusto, egli che, sempre secondo l’Historia Augusta, non avrebbe esitato a sostenere che non «esisteva nulla di più disgustoso del nome di imperatore». Nel corso dell’impero di Antonino Pio e poi del suo successore Marco Aurelio, il figlio di Avidio Eliodoro aveva percorso a tutti gli effetti una splendida carriera. Sotto Antonino Pio il suo ruolo nella repressione della rivolta in Egitto, come ha supposto Maria Laura Astarita, non deve essere stato secondario. Quindi lo stesso Antonino Pio lo introdusse in senato per adlectio (come si è visto già nei casi degli «amici» di Marco Aurelio, si trattava di una sorta di altissima «promozione»), e lo introdusse, quale segno della distinzione più alta, tra gli ex-pretori, in modo che potesse divenire al più presto legato di legione e dunque esponente di spicco tra i viri militares (i comandanti di eserciti)7.
Avidio Cassio aveva proseguito quella che potrebbe definirsi la sua irresistibile ascesa anche sotto i successori di Antonino Pio, durante il «doppio principato» di Marco e Lucio Vero. Si è già lungamente sottolineato il ruolo fondamentale svolto dallo stesso Avidio Cassio nel corso della campagna partica di Lucio Vero. E, tuttavia, fu appunto nel corso di quella stessa campagna che le attitudini di Cassio insospettirono Vero, al punto da indurlo a scrivere a Marco una lettera in cui lo informava dei suoi sospetti:
Tuttavia che egli tramasse insidie contro Vero lo dimostra una lettera di Vero, che ho inserito. Dalla lettera di Vero: «Avidio Cassio è avido dell’impero, come io ne ero convinto e come lo si sapeva già sotto il regno del mio avo, tuo padre: vorrei che tu lo facessi sorvegliare. Non gli piace nulla di quanto facciamo, prepara forze non piccole, irride alle nostre lettere. A te ti chiama la piccola vecchia filosofa, a me un buffone debosciato. Da parte mia non lo odio, ma stai attento a provvedere bene a te stesso e ai tuoi figli, conservando un tipo di questo genere tra coloro che ti circondano, uno che i soldati ascoltano con piacere e con piacere vedono»8.
Si tratta evidentemente di un falso: Vero, che aveva allora Avidio Cassio al suo fianco, avrebbe richiesto a Marco Aurelio di farlo sorvegliare, mentre a sua volta Marco in quegli stessi anni risiedeva – com’è chiaro – a Roma e dunque a tutti gli effetti era per lui impossibile farlo, soprattutto in base alla circostanza che in quel medesimo periodo Avidio Cassio non poteva certo essere annoverato – come pretenderebbe invece l’Historia Augusta nella lettera attribuita a Vero – tra «coloro che ti circondano», con esplicito riferimento a Marco, dal momento che Cassio allora era appunto al seguito di Vero. Tuttavia, in questo falso molto palese, esistono anche indubbi elementi di verità: nonostante la grande durezza dimostrata da Avidio Cassio nei confronti dei soldati, che tutti consideravano una sua caratteristica peculiare, risulta anche vera la circostanza del suo seguito enorme presso le truppe, un seguito che si era guadagnato anche in precedenza, condividendone i pericoli e la vita sul campo di battaglia. Altrettanto veritiero appare il suo giudizio su Marco – che secondo Lucio Vero avrebbe definito «piccola vecchia filosofa» – dal momento che riteneva che Marco, troppo occupato appunto dalla filosofia, avrebbe trascurato i problemi militari, tanto da inviare come comandante della grande campagna partica suo «fratello» Lucio Vero. Marco Aurelio rispose comunque allo stesso Lucio Vero, ma forse in un modo che dovette deludere profondamente quest’ultimo:
Risposta di Marco a proposito di Avidio Cassio: «Ho letto la tua lettera che è più quella di un uomo inquieto che quella di un imperatore e che non si addice ai nostri tempi. Se di fatto sono gli dei a volerlo imperatore, non potremmo ucciderlo, neppure se volessimo. Infatti tu conosci quanto diceva il tuo bisavolo [Traiano]: ‘Nessuno ha mai ucciso il suo successore’. In caso contrario, cadrebbe da solo nei lacci fatali del suo destino senza che noi ci mostriamo crudeli nei suoi confronti. Aggiungi che non possiamo accusare uno che nessuno accusa e che i soldati amano. Del resto, nei processi di lesa maestà l’ordine delle cose è questo: che passino come vittime anche colpevoli accertati. Di fatto tu stesso sai quanto avrebbe detto il tuo avo Adriano: ‘La condizione degli imperatori è miserevole, poiché non si crede ai tentativi di usurpazione se non quando essi sono stati assassinati’. Da parte mia, preferisco attribuire questa frase non ad Adriano, ma a Domiziano, che si dice sia stato il primo ad averla pronunciata. Poiché, anche se vere, le parole dei tiranni non hanno quell’autorità che loro converrebbe. Segua pertanto il suo destino, dal momento che è anche un buon generale, severo, forte e necessario allo Stato. Quanto a dire, come fai tu, che bisogna ucciderlo per proteggere i miei figli, essi muoiano pure se la vita di Cassio è più utile allo Stato di quella dei figli di Marco»9.
A parte un carteggio chiaramente apocrifo, la circostanza che va fortemente messa in rilievo è invece un’altra, e va sottolineata con tutta l’importanza che le è dovuta. Di fatto, evidentemente, quella che si è soliti definire l’usurpazione di Avidio Cassio aveva motivi estremamente seri o addirittura impellenti non appena si guardi alla gravissima situazione in cui versava l’impero intorno al 175, appunto l’anno in cui Avidio Cassio tentò la conquista del potere. Quando Lucio Vero, nella sua falsa lettera a Marco Aurelio, accusava Avidio di considerarlo una «piccola vecchia filosofa», forse in un caso come questo lo stesso Avidio non sarebbe stato completamente nel torto, molto probabilmente anche a giudizio di numerosi Romani e soprattutto agli occhi di molti alti esponenti degli stessi ambienti militari. In effetti, sempre nel 175, c’era stato un nuovo e poderoso attacco di Sarmati, benché Marco fosse ormai deciso a ridurre il loro territorio, come quello dei Quadi, a province romane: un sogno evidentemente mai realizzato, sebbene ancora una volta l’Historia Augusta ne attribuisse il fallimento appunto ed esclusivamente alla rivolta di Avidio10.
Già Augusto infatti non aveva tardato a comprendere che non solo era impossibile ma anche troppo dispendioso per l’erario romano creare nuove province al di là del Reno per giungere fino all’Elba (come aveva fatto, poco prima di morire, Druso Maggiore, figliastro di Augusto in quanto figlio di Livia), soprattutto per gli stanziamenti legionarii che dovevano controllarle e i rifornimenti di viveri che sarebbero stati necessari al loro sostentamento. Una situazione identica si sarebbe verificata di nuovo, qualche decennio più tardi, sotto Tiberio, almeno secondo Albinovanus Pedo, non solo un valorosissimo uomo d’armi, ma anche ai suoi tempi un poeta famoso e rinomato. In effetti, in un suo poema epico, di cui sono pervenuti solo ventitré esametri e in cui esaltava le imprese di Germanico, figlio naturale di Druso Maggiore e figlio adottivo di Tiberio, Albinovanus Pedo cercava comunque di fermare l’impeto guerriero del suo «eroe» Germanico indirizzandogli questi versi, estremamente significativi per il problema che qui si discute: «Cerchiamo popoli posti sotto l’altra parte del polo? / Cerchiamo un altro mondo dove non soffiano i venti? / Sono gli dei a richiamarci indietro e a proibire agli sguardi dei mortali / di vedere dove finisce la natura: perché con i nostri remi / violiamo acque sacre e turbiamo / la divina quiete delle dimore degli dei?»11.
Evidentemente Avidio, quando tentò di prendere il posto di Marco a capo dell’impero, da buon esperto di problemi militari non intraprese tanto una rivolta contro lo stesso Marco Aurelio in quanto imperatore, che ormai dopo la morte di Lucio Vero deteneva come unico Augusto l’impero romano, quanto, piuttosto, nei confronti del Marco Aurelio politico, di cui – com’è chiaro – non condivideva evidentemente le scelte di conquiste al di là del Reno per giungere fino all’Elba, come del resto non le aveva condivise neppure a suo tempo Lucio Vero mentre era ancora in vita, per creare appunto le due «fantomatiche» province di Marcomannia e Sarmazia, di fatto mai realizzate.
Tuttavia, a proposito di questa usurpazione, il problema più «scabroso» e ancora quello più discusso (tanto dagli storici antichi quanto da quelli moderni) è il ruolo svolto da Faustina, la «dote» dell’impero di Marco. Nel tentativo di chiarire un simile problema, si può ricorrere in primo luogo al racconto che ne faceva, a qualche decennio di distanza, Cassio Dione, pervenuto purtroppo solo nel sunto del suo più tardo epitomatore:
Cassio però fece un terribile sbaglio, ingannato da Faustina; costei infatti, che era figlia di Antonino Pio, vedendo che suo marito era malato e poteva morire da un momento all’altro, aveva paura che il regno potesse passare in altre mani, dal momento che Commodo era ancora troppo giovane e di natura troppo semplice, e che lei stessa potesse ridursi alla condizione di privata cittadina. E fu di nascosto che indusse Cassio a fare preparativi per prendere lei stessa [in moglie] e il trono, se fosse capitato qualcosa ad Antonino. Mentre rifletteva su questo progetto, gli giunse la notizia che Marco era morto, dal momento che simili fatti sono sempre soliti essere riferiti nel modo peggiore; e subito, senza attendere che quella diceria fosse confermata, egli [Avidio Cassio] aspirò al regno, come se fosse stato acclamato imperatore dai soldati che si trovavano in Pannonia. E, benché non molto dopo avesse appreso la verità, non si tirò più indietro, ma in breve conquistò alla sua causa tutti i territori a Sud del Tauro, e si preparava a conquistare il potere con la guerra12.
Tuttavia, molti secoli prima che Ernest Renan tentasse anch’egli di discolpare la moglie di Marco da ogni suo eventuale ruolo in questa usurpazione, era stato sempre e comunque il «redattore-falsario» dell’Historia Augusta (nel caso specifico piuttosto la sua fonte: ancora una volta Mario Massimo, quasi contraddicendo, ma volutamente, in questo caso addirittura se stesso) a intessere la Vita di Avidio con lettere, evidentemente false, che avevano anch’esse lo scopo quasi paradossale di discolpare Faustina da ogni suo eventuale coinvolgimento in quell’usurpazione, mostrandola anzi estremamente preoccupata per il pessimo corso che quegli avvenimenti avevano preso mettendo nel più serio pericolo il trono del marito:
Se qualcuno desidera conoscere tutta questa storia, legga il secondo libro di Mario Massimo sulla vita di Marco, dove si racconta che dopo la morte di Vero Marco governò l’impero da solo. Fu allora infatti che Cassio si ribellò, come documenta una lettera inviata a Faustina, di cui riporto questa parte: «Vero mi aveva scritto la verità a proposito di Avidio, che desiderava impadronirsi del potere. Suppongo del resto che tu abbia ascoltato quanto hanno detto su di lui gli inviati di Vero. Parti dunque per la nostra villa di Alba in modo tale che, con l’aiuto degli dei, si possano prendere tutte le disposizioni e non temere nulla». Questa lettera ci dà la prova che [Faustina] non era al corrente di nulla, sebbene Mario, al fine di infamarla, pretenda che Cassio si sia impadronito del potere con la sua complicità. Del resto, conosciamo la risposta di Faustina al marito con cui lo istiga a vendicarsi contro di lui [Avidio Cassio] con la massima severità. Estratto della lettera di Faustina a Marco: «Come tu mi chiedi, sarò domani nella nostra villa di Alba; ma, se tu ami i tuoi figli, ti esorto a perseguire nel modo più severo questi ribelli. I comandanti e i soldati hanno assunto tante cattive attitudini che, se tu non li schiacci, saranno loro a schiacciarti». Un’altra lettera sempre di Faustina a Marco: «Mia madre Faustina, durante la rivolta di Celso, aveva esortato tuo padre Pio a manifestare la propria sollecitudine in primo luogo nei confronti dei suoi, poi degli estranei. Infatti un imperatore non è pio se non pensa a sua moglie e ai suoi figli. Guarda all’età del nostro Commodo. Il nostro genero Pompeiano è troppo vecchio e per di più uno straniero. Rifletti bene a che farai di Avidio Cassio e dei suoi complici. Non risparmiare uomini che non ti hanno risparmiato e che, se avessero vinto, non avrebbero risparmiato né me né i nostri figli». [...] È chiaro da queste lettere che Faustina non è mai stata complice di Cassio, se richiedeva anche e gravemente la sua messa a morte e se sollecitava Antonino, incline alla pacificazione e alla clemenza, alla necessità della vendetta. La lettera seguente farà conoscere quanto rispose Antonino: «Mia cara Faustina, tu sei troppo inquieta e ti fai troppi scrupoli per tuo marito e i nostri figli. Ho riletto infatti nella villa di Formia la lettera con cui mi spingi a infierire contro i complici di Cassio. Io in verità risparmierò i suoi figli, i suoi generi e la moglie, mentre scriverò al senato per chiedere di non infliggere proscrizioni troppo severe e pene troppo crudeli. Infatti, agli occhi del popolo, nulla può rendere più grande un imperatore romano che la sua clemenza. Essa ha reso Cesare un divo, essa ha consacrato Augusto, essa in particolare ha fatto sì che tuo padre fosse onorato con il nome di Pio»13.
Si è in presenza evidentemente di una divergenza, nella stessa Historia Augusta, tra il «redattore-falsario» e la sua fonte principale, Mario Massimo: ma si tratta sicuramente di una «divergenza» che ha tutte le caratteristiche di essere solo fittizia se lo stesso «redattore-falsario» (nel caso specifico il senatore, vir clarissimus, alla pari di Mario Massimo, come si autodefiniva nell’intestazione) Vulcacio Gallicano, «biografo» peraltro solo di Avidio Cassio, dichiarava di aver utilizzato, a proposito di questa usurpazione, come propria fonte esclusivamente i due libri della Vita di Marco approntati da Mario Massimo. È appunto una «divergenza» solo apparente che è necessario comunque tenere in grandissimo conto, dal momento che su questo punto – la circostanza che Faustina stessa fosse coinvolta nell’usurpazione di Avidio Cassio – il biografo senatore Mario Massimo, accusato dal «redattore-falsario» (il senatore Vulcacio Gallicano) di voler infamare a bella posta la memoria della moglie di Marco, era assolutamente d’accordo con lo storico senatore Cassio Dione, secondo il quale – come si è visto dal passo riportato in precedenza – sarebbe stata la stessa Faustina a indurre Avidio Cassio all’usurpazione14.
Del resto, a parte il ruolo, che potrebbe definirsi quasi episodico, attribuito eventualmente alla moglie di Marco Aurelio, lo stesso Marco, subito dopo la morte di Lucio Vero e mentre egli era già fin troppo occupato sul fronte del Reno e del Danubio, aveva affidato a suo tempo ad Avidio Cassio un comando speciale su tutto l’Oriente, di fatto un vero e proprio imperium maius (un comando superiore a quelli di tutti gli altri governatori delle province orientali) e che in effetti autorizzava Avidio a intervenire autonomamente in quelle province: un segno dunque non solo importantissimo ma evidentemente anche incontrovertibile della più totale fiducia che Marco riponeva allora in Avidio15. Un simile imperium maius gli conferiva – com’è subito chiaro – poteri speciali non solo rispetto – come si è visto – ai governatori delle province orientali quanto soprattutto sui diversi comandanti delle legioni stanziate in Oriente, che in seguito avrebbero dovuto rivelarsi a tutti gli effetti di importanza fondamentale nel 175, l’anno, che potrebbe dirsi fatidico, del suo tentativo di usurpazione.
In effetti Avidio aveva a sua completa disposizione tutte le legioni stanziate in Oriente: esse erano in Siria, la sua provincia d’origine, la III Gallica, la IV Scythica e la VI Flavia; in Palestina la VI Ferrata e la II Fretensis; in Arabia la III Cyrenaica e infine in Egitto la II Traiana16. Mentre si è praticamente all’oscuro per il 175 sul ruolo svolto allora dai governatori di Siria, Palestina e Arabia, non tardò invece a passare decisamente dalla parte di Avidio Cassio il prefetto d’Egitto Gaio Calvisio Staziano, che emise addirittura un editto con cui lo stesso Avidio veniva proclamato imperatore.
È adesso comunque necessario passare a un settore dell’impero vitale per Marco Aurelio: la Pannonia. Poiché erano appunto, e forse soprattutto, le legioni stanziate in quella provincia quelle da cui Avidio – come avrebbe sostenuto poco più tardi Cassio Dione – avrebbe preteso di essere stato acclamato imperatore. Esse consistevano nella II Traiana (dislocata in precedenza in Egitto), la III Cyrenaica (in Arabia), la X Fretensis (in Palestina), la XII Fulminata e la XV Apollinaris (in Cappadocia). Le precedenti dislocazioni di queste legioni nel loro complesso non potevano non dimostrarsi estremamente positive per le aspirazioni all’impero dello stesso Avidio. Esse infatti erano tutte legioni che a suo tempo, dal 162 al 166, avevano combattuto in Oriente durante la guerra partica di Lucio Vero, dove il ruolo di Avidio Cassio – come già si è visto – era stato assolutamente determinante per gli stessi esiti di quella campagna17.
Nel racconto che ne faceva poco più tardi Cassio Dione, Marco Aurelio sarebbe venuto a conoscenza dell’usurpazione di Avidio Cassio attraverso Publio Marcio Vero, governatore allora della Cappadocia. Quest’ultimo da parte sua si sarebbe anche premurato di distruggere alcune carte che Avidio Cassio aveva lasciato in Siria e che di fatto avrebbero potuto comprometterlo:
Intorno allo stesso periodo di tempo morì Faustina, sia per la gotta di cui soffriva, sia in qualche altro modo, per evitare di essere coinvolta nel complotto di Cassio. Nondimeno Marco distrusse tutte le carte che aveva trovato negli scrigni di Pudente, senza leggerle per non venire a conoscenza di nessuno dei cospiratori che avevano scritto contro di lui e per non essere costretto suo malgrado a nutrire odio nei loro confronti. Esiste in effetti una storia diversa secondo la quale Vero, che era stato mandato prima in Siria, di cui si era assicurato il governatorato, trovò queste carte tra le cose di Cassio e le distrusse, pensando che questa procedura fosse probabilmente la più gradita all’imperatore, ma che, anche se ne fosse risentito, era preferibile che morisse egli solo piuttosto che molti altri.
Al contrario, per tutto questo suo operato Publio Marcio Vero sarà molto ben ricompensato con avanzamenti di carriera già sotto Marco Aurelio, e quindi con un secondo consolato ricoperto durante l’impero di Commodo18.
Marco Aurelio inizialmente tentò evidentemente di tenere nascosta ai soldati, che combattevano ai suoi ordini sul fronte danubiano, la rivolta di Avidio Cassio, di cui tuttavia alla fine fu costretto a metterli al corrente. Le ragioni di questo iniziale silenzio dell’Augusto hanno una spiegazione molto semplice. A spingere Marco al più assoluto silenzio fu appunto il timore che anche le truppe di stanza in Pannonia potessero passare dalla parte dell’usurpatore. Solo in un secondo momento, almeno secondo il senatore Cassio Dione, Marco avrebbe indirizzato loro un discorso: era un discorso molto lungo che lo stesso Augusto avrebbe pronunciato allo scopo dunque di commuoverli perché fossero al suo fianco lealmente nella repressione di quella pericolosissima rivolta. Un simile discorso, che è impossibile sostenere con sicurezza se sia mai stato pronunciato da Marco, è riportato ancora una volta, come si è già detto, da Cassio Dione:
Compagni di battaglie, sono venuto davanti a voi non per esprimere indignazione, ma per lamentare il mio destino. Perché adirarsi con il Cielo che è onnipotente? Ma forse è necessario per coloro che si imbattono in una sfortuna immeritata indulgere a lamentarsi; e questo ora è il mio caso. Non è spaventoso essere costretti a combattere guerra dopo guerra? E non è orribile essere coinvolti in una guerra civile? E non sono entrambi questi mali superati in spavento e orrore quando si scopre che non esiste più lealtà tra gli uomini? Di fatto il mio migliore amico ha tramato una congiura contro di me ed io sono stato costretto a combattere non di mia volontà, sebbene non avessi fatto nulla di sbagliato o di male. D’ora in poi quale lealtà, quale amicizia può essere ritenuta sicura dopo quello che ho sperimentato? Non è venuta a mancare ogni fiducia, ogni confidente speranza? Ora, se fosse in causa solo il pericolo per me, lo avrei ritenuto cosa di nessun conto (poiché non presumo di essere immortale). Ma si è trattato di una pubblica secessione o, piuttosto, di una rivolta e la guerra riguarda tutti noi. Avrei voluto, se fosse stato possibile, invitare qui Cassio e discutere di fronte a voi o al senato la vicenda che ci divide, e io gli avrei ceduto volentieri il potere supremo senza combattere, se questo si fosse risolto in un bene per lo Stato. Poiché è per il bene dello Stato che io continuo a lavorare faticosamente e a sottopormi ai pericoli, e ho passato tanto tempo qui, lontano dall’Italia, benché ormai sia vecchio e debole, incapace di prendere cibo senza dolore o sonno senza ansia.
Tuttavia, dal momento che Cassio non accetterebbe mai di adottare questa via (poiché come potrebbe confidare in me, dopo che egli mi ha tanto mancato di fiducia?), io infine, commilitoni, debbo rallegrarmi. Poiché di sicuro i Cilici, i Siriaci, i Giudei e gli Egizi non sono mai stati superiori a voi e non lo saranno mai, perfino se potessero radunare molte decine di migliaia di uomini più di noi, e ora essi ne hanno raccolti di meno. E neppure lo stesso Cassio sembra meritare una qualche considerazione da parte mia ora, per quanto sembri possedere alte qualità di comando e per quanto abbia conseguito all’apparenza molti successi. Un’aquila non ha paura quando comanda un esercito di cornacchie né un leone quando ne comanda uno di cerbiatti; ed è per questo che siete stati voi a portare a termine le guerre arabiche e partiche, non Cassio. Di nuovo: anche se egli è celebre per le sue imprese contro i Parti, voi allora avevate Vero, che non sembra avesse successo inferiore al suo, ottenendo molte vittorie e acquisendo molte terre. Cassio ha già sicuramente cambiato opinione alla notizia che sono vivo, perché ha fatto quello che ha fatto solo presumendo che io fossi morto. Tuttavia, anche se persiste sulla sua strada, quando saprà che ci stiamo avvicinando, di sicuro si ricrederà, sia che abbia paura di voi sia che abbia rispetto per me.
Di una cosa sola ho paura, commilitoni, per dirvi tutta la verità: che egli stesso si uccida, perché ha vergogna di venire di fronte a noi o anche a un altro che sappia che sono venuto e sono già pronto a muovere contro di lui. Infatti, allora sarei privato di un premio grande, sia della guerra che della vittoria, un premio che nessun essere umano ha ancora mai ottenuto. Qual è questo prezzo? Perdonare un uomo che mi ha recato torto, rimanere amico di uno che ha tradito l’amicizia, continuare ad aver fiducia in chi ha rotto la mia fiducia. Tutto questo forse vi sembrerà incredibile, ma non debbo smettere di crederlo. Poiché non tutta la bontà è completamente finita tra gli uomini, ma in noi esiste ancora quanto resta dell’antica virtù. E se qualcuno non ci crede, anche per questo il mio desiderio è reso più ardente, per mostrare che gli uomini possono veder compiuto quanto nessuno poteva credere che fosse accaduto. Pertanto possa essere questo l’unico profitto che posso far derivare dai mali attuali, se potessi sistemare bene questa vicenda e mostrare a tutto il genere umano che esiste una maniera giusta anche quando si tratta di guerre civili19.
Questa citazione molto lunga dello storico-senatore Cassio Dione del discorso di Marco ai suoi soldati prima di muovere contro Avidio Cassio si presentava come necessaria per un motivo molto semplice, anche se forse troppo spesso trascurato. A partire dalla discussione, anch’essa almeno in apparenza ipertrofica, attribuita sempre da Cassio Dione ad Augusto, Agrippa e Mecenate sulla migliore forma di governo da dare allo Stato dopo la fine delle guerre civili20, purtroppo si dimenticano facilmente due elementi, entrambi di rilievo fondamentale: da un lato che Cassio Dione amava imitare Tucidide intessendo tutta la sua Storia romana di discorsi (veri o falsi che fossero), d’altro lato che, appunto in qualità di senatore, Cassio Dione ha potuto facilmente consultare gli «atti del senato» (acta senatus) e che il discorso di Marco Aurelio, tenuto ai suoi soldati sul fronte danubiano, se mai fu pronunciato, dovette essere sicuramente trasmesso a Roma in modo tale che anche il senato potesse prenderne conoscenza21.
Per quanto riguarda la composizione delle truppe al seguito di Avidio Cassio (secondo Cassio Dione, Cilici, Siriaci, Giudei, Egizi), come ha già osservato Maria Laura Astarita, lo storico di età severiana non può evidentemente riferirsi agli eserciti che in effetti furono schierati nel loro complesso dalla parte di Avidio Cassio, poiché – com’è ben noto – la Cilicia era una provincia priva di stanziamenti militari, mentre è molto più probabile che lo stesso Avidio abbia provveduto a rifornirsi di truppe nelle province che già erano sotto il suo controllo22. In una situazione che non tarda ad apparire tanto complessa e in qualche modo fluttuante, l’unico dato sicuro è l’adesione alla rivolta di Avidio Cassio degli eserciti stanziati in Oriente, mentre si potrebbe anche pensare a un’adesione, impedita di fatto, delle truppe della Pannonia, dove Marco era comunque presente23.
Molto probabilmente, per l’imperatore-filosofo l’effetto più grave e assolutamente devastante provocato dall’usurpazione di Avidio Cassio fu la circostanza che essa lo costrinse ad abbandonare immediatamente il fronte danubiano per accorrere in Oriente a sedare la rivolta. Con un’avvertenza ulteriore, e anch’essa di estremo rilievo: che neppure il fronte danubiano poteva dirsi ancora sotto il pieno controllo romano. Una volta avvertito della sedizione, lo stesso senato si premurò immediatamente di dichiarare Avidio Cassio «nemico pubblico» (hostis publicus) e di far arrestare alcuni senatori ritenuti suoi complici, in una Roma anch’essa in preda al panico e al terrore nell’attesa di un arrivo, evidentemente assolutamente improbabile, dell’usurpatore, tanto da spingere Marco a dotarla in sua assenza di chi provvedesse, mentre era lontano, alla «tutela della città». La scelta di chi dovesse provvedere alla «tutela della città», dislocando truppe dall’Illirico fino a Roma, cadde, poiché chiaramente voluta dallo stesso Marco, sulla persona di Gaio Vettio Sabiniano24.
Molto probabilmente, come già si è sottolineato e come in precedenza è stato supposto da Anthony Birley, il dissenso più grave, anzi quello dirimente, tra Marco Aurelio e Avidio Cassio aveva come perno principale l’opportunità o meno di continuare le sfibranti campagne che Marco, imperterrito, aveva intrapreso ormai dal lontano 169 sul fronte del Reno e su quello del Danubio. Di fatto, se a partire dal 169 si era trattato di campagne assolutamente necessarie per impedire ai barbari di penetrare in Italia (come invece di fatto essi fecero: si pensi solo all’assedio di Aquileia e al saccheggio di Opitergium), negli anni successivi lo stesso Marco non aveva esitato a portare avanti una vera e propria politica che non si tarderebbe a definire imperialistica al di là dei confini del Reno e del Danubio. Evidentemente Avidio Cassio, nei confronti di questa politica dell’Augusto, aveva fautori anche tra i consiglieri di Marco, nel suo consilium principis, sempre al fine di mettere termine a quelle campagne sfibranti. È di nuovo l’Historia Augusta a fornire una simile notizia, evidentemente di importanza fondamentale: «Molti dei suoi amici però lo avevano spesso indotto a lasciar perdere le guerre e a venire a Roma, ma lui non tenne conto dei loro consigli e rimase sul fronte, e non fece ritorno prima che la guerra non fosse completamente conclusa»25.
L’imperatore-filosofo fu dunque costretto subito a lasciare la guerra contro i Sarmati, che aveva combattuto per lunghissimi, anzi si potrebbe dire innumerevoli, anni. Ora il suo scopo prioritario era quello di precipitarsi immediatamente e in tutta fretta su un fronte opposto e a lui finora sconosciuto: in Oriente, dove la situazione stava evidentemente precipitando. Con un’avvertenza ulteriore: che se il filosofo, che ormai era anche l’unico Augusto di un impero immenso, aveva sostenuto a chiare lettere nei suoi Pensieri il proprio disgusto per la cattura di ogni essere animato, considerando «ladroni» veri e propri tutti coloro che si dedicavano a una simile pratica, di questi stessi «ladroni», almeno per quanto riguardava i Sarmati, egli stesso doveva considerarsi a tutti gli effetti un esponente di spicco26.
Si è molto discusso, a partire ancora una volta dalla Historia Augusta, su quale percorso abbia seguito Marco per giungere in Oriente dalla lontanissima Pannonia: soprattutto a proposito di Antiochia, città nella quale si è supposto egli abbia avuto modo di soggiornare due volte, la prima durante il percorso che doveva condurlo in Egitto dalla Pannonia, la seconda – almeno a mio avviso – per una visita non solo assolutamente improbabile, ma anzi da escludersi con estrema decisione. Una simile improbabilità diviene assoluta certezza in base a una notizia fornita ancora una volta dall’Historia Augusta:
Diede il suo perdono a tutte le città che avevano parteggiato per Cassio, perdonò perfino gli Antiocheni, che avevano molto sparlato contro Marco a favore di Cassio. A questi ultimi però vietò gli spettacoli, le pubbliche riunioni e ogni tipo di assemblee, promulgando contro di loro anche un editto severissimo. Che li considrasse sediziosi, è chiaro anche dai propositi indirizzati da Marco ad alcuni amici e riportati da Mario Massimo. Infine, mentre si dirigeva attraverso la Siria, non volle visitare Antiochia27.
Per quanto riguardava gli abitanti di Antiochia, si trattava di una vendetta da parte di Marco Aurelio evidentemente gravissima, che corrispondeva per quella città a una sorta di marchio indelebile. Essa infatti veniva privata per sempre e a tutti gli effetti – si trattava di una delle città più importanti dell’Oriente ellenistico – di quanto ogni città greca (sia della Grecia vera e propria sia dell’Asia Minore) aveva per lunga tradizione di più caro: i suoi spettacoli, cui i cittadini amavano assistere, le assemblee dove forse ancora si discuteva almeno di politica locale e soprattutto ogni genere di riunione collettiva. L’ostilità di Marco nei confronti degli Antiocheni richiama irresistibilmente, a più di due secoli di distanza, l’ostilità di un altro Augusto che (in quanto amante della filosofia) era egli stesso un grande ammiratore dell’imperatore-filosofo. L’altro Augusto è naturalmente Giuliano che, nel suo libello Misopogon (o L’odiatore della barba), si scagliava duramente contro gli abitanti di Antiochia accusandoli ora, egli tornato pagano, per il loro «ateismo» che non tardava a trasformarsi ai suoi occhi in una vera e propria «empietà» nei confronti delle divinità tradizionali del politeismo romano28.
Dopo la Siria, almeno secondo Ammiano Marcellino, Marco passò in Egitto dove avrebbe trascorso l’inverno tra il 175 e il 176: era un soggiorno tanto prolungato quanto necessario non appena si pensi che appunto in Egitto aveva avuto luogo pochi anni prima la rivolta dei Bucoloi e che, sempre in Egitto, Avidio Cassio aveva trovato i suoi più valenti sostenitori, a partire – come si è già detto – dal prefetto Gaio Calvisio Staziano. Quella dei Bucoloi era stata una rivolta gravida di pericoli, soprattutto in quella provincia sempre pronta alle rivolte e alle sedizioni. Essa si era verificata intorno al 172 e Avidio Cassio e l’esercito da lui guidato avevano avuto un ruolo di primo piano nella sua repressione29. Prima di recarsi in Egitto Marco aveva dovuto necessariamente passare per la Palestina, incontrandosi dunque con quei Giudei che ancora una volta, almeno secondo Ammiano Marcellino, avrebbe detestato, tanto più in quanto il dotto imperatore non poteva non sapere che i Cristiani – da lui come si è visto duramente perseguitati – in origine erano stati anch’essi Giudei, e anzi erano nati proprio come una delle tante «sette» in cui gli stessi Giudei erano suddivisi. Ecco dunque il racconto di Ammiano: «Egli [Marco Aurelio], passando per la Palestina mentre si recava in Egitto, spesso irritato dalla noia dei Giudei puzzolenti e spesso in rivolta, si racconta che esclamasse: ‘O Marcomanni, Quadi, Sarmati, alla fine ho trovato altri che sono ancora più turbolenti di voi!’»30.
Il Talmud (interessato per ragioni evidenti a presentare l’imperatore-filosofo non solo non ostile al giudaismo, ma anzi addirittura molto favorevole nei suoi riguardi) dava però una versione del tutto diversa, se non dell’atteggiamento di Marco nei confronti dei Giudei, almeno di quello dello stesso Marco verso una delle massime autorità ebraiche, nel caso specifico il patriarca Giuda I. Infatti, appunto in Palestina, Marco (Antonino) avrebbe chiesto consiglio a un «santo maestro» (come si deve intendere, nel caso specifico, appunto il patriarca Giuda I): «Antonino domandò al nostro santo maestro: ‘Voglio andare ad Alessandria; forse lì mi apparirà un re e mi vincerà?’. Egli gli rispose: ‘Non lo so. Però è scritto che l’Egitto non può produrre né un re né un principe, dal momento che è detto: Dall’Egitto non ci sarà più un principe’ [citazione da Ez. XXX 13]»31. Evidentemente è stata appunto la tradizione talmudica (ebraica) a presentare un Marco Aurelio pieno di rispettoso ossequio che pone domande addirittura deferenti a un pio e «santo maestro» del giudaismo, mentre di fatto coglie assolutamente nel vero il giudizio che lo stesso Marco avrebbe espresso a proposito dei Giudei, da cui l’imperatore-filosofo doveva sapere bene – come si è detto – che era nata la «setta» a lui odiosa dei Cristiani.
Mentre si svolgeva il viaggio di ritorno, di passaggio per Tarso, Faustina fu colta da un malore e poi da una morte tanto improvvisa quanto imprevedibile nel villaggio di Halala: era quella moglie che spesso, almeno secondo l’Historia Augusta, lo aveva tradito, ma nei confronti dei cui tradimenti lo stesso Marco non aveva mai reagito, fingendo di ignorarli. Faustina infatti – come forse si è troppo spesso ripetuto – era stata definita da Marco in presenza dei suoi amici più intimi come la «dote» del suo impero, una «dote» pertanto irrinunciabile in quanto un eventuale ripudio di Faustina, la figlia di Antonino Pio, nella prospettiva di Marco doveva presentarsi a tutti gli effetti come una rinuncia all’impero. Di conseguenza, è molto probabile che, nonostante le doverose manifestazioni ufficiali di lutto, l’imperatore-filosofo, cui questa scomoda consorte era stata in pratica imposta da Antonino Pio, alla sua scomparsa dovesse provare almeno come un senso di liberazione, analogo in qualche modo a quello già provato nel 169 alla scomparsa del «fratello» Lucio Vero.
Di questa morte ci dà notizia anche e naturalmente l’Historia Augusta:
Fu ai piedi del monte Tauro, nel villaggio di Halala, che perse sua moglie Faustina, portata via da una malattia improvvisa e violenta. Chiese per lei al senato onori divini e un tempio, e inoltre ne pronunciò l’elogio, benché lo avesse messo a dura prova per la pessima nomea della sua impudicizia. Circostanza che Antonino ignorò o finse di ignorare. Per rendere onore alla memoria della moglie morta creò le nuove ‘fanciulle Faustiniane’. Rese grazie al senato per aver divinizzato la sua sposa e poiché lo aveva seguito nelle campagne estive, le conferì il titolo di ‘madre degli accampamenti’. Quindi trasformò in colonia il villaggio in cui era morta e in suo onore eresse un tempio, che in seguito fu consacrato a Eliogabalo32.
Mentre proseguiva il suo viaggio di ritorno in Italia insieme al figlio Commodo, Marco non poteva mancare di soggiornare ad Atene, una città che l’Augusto ancora non conosceva ma che doveva apparirgli particolarmente affascinante per le numerose scuole filosofiche di cui era ancora fiorente. Nella stessa Atene, da un lato prese provvedimenti che riguardavano l’organizzazione della città e delle sue cattedre «universitarie» – provvedimenti, entrambi, su cui ci si è già soffermati33 – dall’altro volle essere iniziato insieme al figlio ai misteri eleusini, dopo la sua riappacificazione con Erode Attico34. Ecco il racconto molto sintetico di Cassio Dione: «Quando Marco giunse ad Atene e fu iniziato ai misteri eleusini, non solo onorò gli Ateniesi, ma anche, perché tutti ne traessero beneficio, stabilì ad Atene insegnanti di ogni disciplina, garantendo loro un salario annuo».
La notizia più importante, almeno in un simile contesto, è quella che riguarda l’iniziazione ai misteri di Eleusi che non poteva evidentemente avvenire senza il beneplacito di Erode Attico, mentre da parte sua Marco non mancava di seguire in questo l’esempio di suoi illustri predecessori, quali erano stati in passato Augusto e più di recente Adriano, che da parte loro non avevano voluto mancare, mentre erano di passaggio appunto per Atene, di essere iniziati agli antichissimi misteri di Demetra e di Core. Anche se si ignora se Erode Attico fosse presente alla cerimonia, è comunque importante mettere in rilievo che colui che provvide all’iniziazione di Marco Aurelio e Commodo fu quello stesso Lucio Memmio che circa quindici anni prima aveva iniziato a quegli stessi misteri anche Lucio Vero.
Poiché le attitudini dell’imperatore-filosofo dovevano, almeno apparentemente, essere sempre improntate alla clemenza, fu dunque estremamente benevolo anche nei confronti della famiglia di colui che aveva tentato di sottrargli il titolo di Augusto. È ancora una volta l’Historia Augusta a fornirne i dettagli:
Poiché era clemente, sopportò che lo stesso Cassio fosse ucciso, ma non dette l’ordine di ucciderlo. Eliodoro, figlio di Cassio, fu deportato, mentre gli altri figli poterono scegliere liberamente il luogo del loro esilio, portando con sé una parte dei beni. Del resto, i figli di Cassio ricevettero anche più della metà del patrimonio del padre, e furono aiutati con oro e argento, le donne anche con gioielli. Una delle figlie, Alessandria, e il genero [di Cassio] Drunciano ebbero il permesso di spostarsi liberamente sotto la protezione di una zia paterna del marito. Marco giunse al punto di dolersi della morte di Cassio, sostenendo che avrebbe voluto che il suo regno avesse avuto termine senza che fosse versato sangue di senatori35.
Sicuramente non è un caso la circostanza che Cassio Dione ponga subito dopo la morte di Faustina la distruzione da parte di Marco dei documenti che avrebbero potuto compromettere ulteriori cospiratori e costringerlo ad attuare una vendetta contro di loro36. Non è certo il caso di tornare a discutere sul ruolo che è stato attribuito a Faustina nell’usurpazione di Avidio Cassio: siamo in presenza sicuramente di un mistero che la stessa Faustina conserverà per sempre con sé nella tomba, in quel grandioso Mausoleo di Adriano dove le sue ceneri furono sicuramente collocate accanto a quelle del padre.
La vera «stranezza» da spiegare in un simile contesto è quella della «clemenza» inusitata riservata da Marco ai discendenti di Avidio Cassio. Certo, non ne dà sufficiente conto la protezione della zia paterna del marito di Alessandria, Drunciano: Claudia Elena era di fatto una nobildonna, di sicuro ormai molto anziana, che viveva in totale tranquillità insieme con il marito nella lontanissima Patara, in Licia. Le ragioni di tanta «clemenza» da parte di Marco debbono essere sicuramente ricercate altrove. Si è già avuto modo di vedere come alcuni componenti del consilium principis dello stesso Marco non condividessero, con Avidio Cassio e prima di lui con Lucio Vero, l’ostinazione del filosofo a condurre le sue campagne oltre il Reno per raggiungere l’Elba, fino a conquistare i territori di Marcomanni e Sarmati per trasformarli in due nuove province romane: rispettivamente – come si è già detto – le «fantomatiche» province di Marcomannia e Sarmazia.
Questi membri del consilium principis di Marco, destinati a far parte – come è stato già osservato – anche di quello del figlio e successore Commodo, erano evidentemente ancora in vita e indubbiamente a proposito di quella guerra la pensavano ancora allo stesso modo. Con un pericolo ulteriore per il mite filosofo: che, essendo appunto membri del consilium principis, non solo doveva trattarsi dei suoi amici più «fidati», ma anche degli esponenti più influenti dell’ordine senatorio. Costoro infatti, anche se per il momento erano lontani da Roma, vi avrebbero fatto comunque sicuramente ritorno, pronti a far pesare in senato tutta la loro influenza. Anche il discorso pronunciato da Marco alle sue truppe prima di muovere contro Avidio Cassio – è il lunghissimo discorso citato dallo storico-senatore Cassio Dione, di cui si è riportato il testo – è testimonianza grande (lo si è visto) dei timori sicuramente presenti e molto pericolosi per lo stesso Marco: che anche le legioni che erano ai suoi ordini in Pannonia potessero passare nel 175 dalla parte dell’usurpatore.
In simili condizioni, la presunta «clemenza» di Marco Aurelio nei confronti dei discendenti (soprattutto la figlia e i figli) di Avidio Cassio non può che essere interpretata come – se un termine simile è lecito riferirlo a un filosofo – puro e semplice opportunismo: era a tutti gli effetti un opportunismo assolutamente necessario perché avvenisse una pacificazione completa, dal momento che la rivolta di Avidio Cassio non era stata una pura e semplice usurpazione, ma aveva costituito, anche secondo lo stesso Marco Aurelio, una vera e propria «guerra civile»37. Era dunque giunto il momento di dimenticare il passato e di passare infine a quella «pace eterna Augusta» e allo stesso tempo a quella «sicurezza» generale che sarebbero state gli slogan prediletti delle prime emissioni monetarie dell’Augusto, appena Marco fu di ritorno a Roma38.
Il ritorno (adventus) di Marco Aurelio a Roma è rappresentato sul pannello di un arco che doveva essere stato eretto poco dopo il 175, appunto per festeggiare dopo tanti anni il suo ritorno in città, ma i cui pannelli in seguito furono reimpiegati nell’arco di Costantino. Il pannello con la scena dell’adventus è conservato attualmente nei Musei Capitolini, più esattamente nel Palazzo dei Conservatori. L’imperatore è rappresentato in piedi su un carro trionfale vestito di un semplice paludamentum (un mantello militare) mentre entra in città, sovrastato da una Vittoria alata, mentre sullo sfondo è visibile un tempio che è stato identificato, evidentemente a ragione, con quello della Fortuna Reduce (templum Fortunae Reducis), appunto la dea che aveva contribuito al felice ritorno a Roma dell’Augusto dopo una lunghissima assenza39.
A questo punto, dopo aver cercato di delineare i momenti e le ragioni profonde di questa usurpazione che, se fu pericolosissima per lo stesso Marco Aurelio, ebbe comunque durata molto breve, si può dunque concludere: «perdonando» alla discendenza di Avidio Cassio quelle che erano state le colpe del padre, l’imperatore-filosofo ricorreva nel 175 in qualche modo a quel medesimo espediente cui aveva tentato di far ricorso Cicerone all’indomani delle idi di marzo, dopo la morte di Cesare: «Per quanto fu in mio potere, gettai le fondamenta della pace e rinnovai l’antico esempio degli Ateniesi; feci anche ricorso alla parola greca di cui quella città si era servita nel placare le discordie, e proposi che ogni memoria di discordie fosse cancellata da un oblio eterno»40. Anche Marco evidentemente cercò di intraprendere la medesima via, anche se molto probabilmente ignaro del più antico precedente ciceroniano.
1 Su Cirro, la città natale tanto di Avidio Cassio quanto di Avidio Eliodoro, vedi E. Frézouls, Cyrrhus et la Cyrrestique jusqu’à la fin du Haut-Empire, in «ANRW», II, 8, 1977, pp. 164-97. Sulla procuratela ab epistulis di Avidio Eliodoro, di cui tuttavia non veniva specificata la qualifica (ton tas hepistolas autou diagagonta), Cassio Dione, LXIX 3,5. Vedi a questo proposito G.B. Townend, The Post «ab epistulis» in the Second Century, in «Historia», 10, 1961, pp. 375-82; H.-G. Pflaum, Les carrières procuratoriennes équestres, I cit., pp. 264-71, nota 110. Per la sua qualifica ab epistulis Graecis, dal momento che appunto il greco doveva essere la lingua madre di Avidio Eliodoro, Id., La valeur de la source inspiratrice de la «Vita Hadriani» cit., p. 181; inoltre cfr. P.A. Brunt, The Administrators of Roman Egypt, in «JRS», 65, 1975, pp. 124-47, più in particolare pp. 135 e 145.
2 Per H.A., Hadr. 15,5 (Heliodorum famosissimis litteris lacessivit, «attaccò Eliodoro con lettere che lo infamavano molto») vedi supra, p. 51 con nota 5; cfr. tuttavia le attitudini di Adriano estremamente diverse ivi, 16,10 (In summa familiaritate Epictetum et Heliodorum philosophos [...] habuit, «Ebbe rapporti [...] di grande amicizia con i filosofi Epitteto ed Eliodoro») e 15,1, dove anche Eliodoro sembrerebbe rientrare nel novero più complessivo degli amici dell’imperatore. Per quanto riguarda l’identificazione di Eliodoro tra questi amici vedi G.W. Bowersock, Greek Sophists in the Roman Empire cit., p. 51 nota 3; H.-G. Pflaum, La valeur de la source inspiratrice de la «Vita Hadriani» cit., pp. 182-83. Sulla sua carriera PIR I2, 284, n. 1405. Sui rapporti di Adriano con gli intellettuali del suo tempo vedi, per esempio, M.C. Tedesco, Opinione pubblica e cultura: un aspetto della politica di Adriano, in M. Sordi (a cura di), Aspetti dell’opinione pubblica nel mondo antico, in «CISA», V, Milano 1978, pp. 171 sgg.
3 H.A., Quadr. tyr. 7,4-6: Sunt enim Aegyptii, ut satis nostis, vani, ventosi, furibundi, iactantes, iniuriosi atque adeo varii, liberi, novarum rerum usque ad cantilenas publicas cupientes, versificatores, epigrammatarii, mathematici, haruspices, medici. Nam <in> eis Christiani, Samaritae et quibus praesentia semper tempora cum enormi libertate displiceant. Ac ne quis mihi Aegyptiorum irascatur et meum esse credat, quod in litteras rettuli, Hadriani epistolam promam ex libris Flegontis liberti eius proditam, ex qua penitus Aegyptorum vita detegitur («Poiché gli Egizi, tu non lo ignori, sono frivoli, vanitosi, frenetici, sprezzanti, ingiuriosi e per giunta versatili, sempre pronti alla fronda, al punto da mostrare anche nelle loro cantilene la voglia di rivolgimenti politici, fanno versi, si occupano di divinazione, di astrologia, di medicina. Di fatto tra di loro ci sono anche Cristiani, Samaritani e quanti non smettono con uno spirito di totale indipendenza di vituperare il presente. E perché nessun egizio se la prenda con me e pensi che le indicazioni che ho dato siano una mia invenzione, citerò una lettera di Adriano, presa dalle opere del suo liberto Flegonte, dove sono rivelate le attitudini degli Egizi fino in fondo»), in notazioni fittizie, com’è chiaro, che Aureliano avrebbe indirizzato al futuro «tiranno» (usurpatore) Saturnino, temendo – proprio perché conscio delle aspirazioni all’impero dello stesso Saturnino – una sua presenza appunto in quella provincia, com’è evidente da ivi, 7,2: Huic inter ceteros duces, quod vere summus vir esset, certe videretur, Aurelianus limitis Orientalis ducatum dedit, sapienter praecipiens, ne umquam Aegyptum videret («Poiché tra gli altri comandanti era, se non realmente almeno in apparenza, il più valoroso, Aureliano gli affidò il comando della frontiera orientale, ma gli prescrisse nella sua saggezza di non mettere mai piede in Egitto»). Su Flegonte di Tralles vedi soprattutto S. Mazzarino, 1966, II 2, pp. 230 sgg.; quindi L. Breglia Pulci Doria, Oracoli sibillini tra rituali e propaganda (Studi su Flegonte di Tralles), Napoli 1983.
4 La sua prefettura d’Egitto è documentata solo da Cassio Dione, LXXII 22,2, che ne ricorda anche la capacità retorica. Optano per il 137 O.W. Reinmuth, A Working List of the Prefects of Egypt, 30 B.C. to 299 A.D., in «BASP», 4, 1967, p. 95; R. Coles, The Date of Commencement of the Prefecture of Avidius Heliodorus, in Proceedings of the twelfth International Congress of Papyrology, Ann Arbor 1968, Toronto-Amsterdam 1970, pp. 85-87; O. Montevecchi, La papirologia, Torino 1973, p. 131. Per il 138 A. Stein, Die Praefekten von Aegypten in der römischen Kaiserzeit, Bern 1950, pp. 72-74. Cfr. anche G. Bastianini, Lista dei prefetti d’Egitto dal 30a al 299p, in «ZPE», 17, 1975, pp. 288-89.
5 Vedi su questa problematica Astarita, 1983, pp. 18 sgg.; Stein, in PIR I2, pp. 281-82, n. 140: stirpe Commagenorum et aliqua necessitate iunctus cum Avidio Cassio videtur; Birley, 1966, p. 176; cfr. inoltre R.D. Sullivan, The Dinasty of Commagene, in «ANRW», II, 8, 1977, pp. 472 sgg.; in precedenza vedi anche A.H.M. Jones, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 1937, pp. 163 sgg.
6 H.A., Av. Cass. 1,1: Avidius Cassius, ut quidam volunt, ex familia Cassiorum fuisse dicitur per matrem, <homine> tamen novo genitus Avidio Severo, qui ordines duxerat et post ad summas dignitates pervenerat («Avidio Cassio, come sostengono alcuni, discendeva dai Cassii per via materna, mentre suo padre era Avidio Severo, un ‘uomo nuovo’, che aveva percorso gli ordini e infine era giunto alle dignità più alte»). Cfr. anche ivi, 1,4-5: Hic ergo Cassius ex familia, ut diximus, Cassiorum, qui in C. Iulium conspiraverant, oderat tacite principatum nec ferre poterat imperatorium nomen dicebatque nil esse gravius nomine imperii, quod non posset e re p. tolli nisi per alterum imperatorem. Denique temptasse in pueritia dicitur extorquere etiam Pio principatum, sed per patrem, virum sanctum et gravem, adfectationem tyrannis latuisse, habitum tamen semper ducibus suspectum («Come si è già detto, questo Cassio, discendendo dalla famiglia dei Cassii che avevano cospirato contro Giulio Cesare, odiava in silenzio il principato e diceva che non esisteva nulla di più disgustoso del nome di imperatore, poiché non si poteva render libero lo Stato se non attraverso un imperatore diverso. Si racconta infine che cercasse fin dalla giovinezza di togliere l’impero a Pio, ma che la sua aspirazione alla tirannide rimase nascosta grazie al padre, uomo serio e ponderato, benché però fosse tenuto sempre in sospetto dai comandanti»). Sui nomi dei figli ivi, Marc. 25,4: Maecianum etiam, filium Cassii, cui Alexandria erat commissa, exercitus occidit («L’esercito uccise anche Meciano, figlio di Cassio, cui era stata affidata Alessandria», evidentemente dal padre). Il cognomen dato al figlio (appunto Maecianus) ha indotto a supporre che Avidio Cassio potesse aver sposato una figlia del famoso giurisprudente L. Volusius Maecianus; vedi a questo proposito H.-G. Pflaum, La valeur de la source inspiratrice de la «Vita Hadriani» cit., p. 121. Sul nome dell’altro figlio, Heliodorus, che portava lo stesso cognomen dell’avo, vedi ivi, Marc. 26,11: Deportatus est Heliodorus, filius Cassii, et alii liberum exilium acceperunt cum bonorum parte («Eliodoro, figlio di Cassio, fu deportato mentre gli altri figli andarono in esilio con una parte dei beni», evidentemente paterni). Si è discusso se ai tempi di Commodo Eliodoro fosse stato ucciso in base a H.A., Av. Cass. 13,6-7: Vixerunt igitur posteri Avidii Cassii securi et ad honores admissi sunt. Sed eos Commodus Antoninus post excessum divi patris sui omnes vivos incendi iussit, quasi in factione deprehensos («Dunque i discendenti di Avidio Cassio vissero in pace e furono ammessi a ricoprire cariche. Dopo la morte del divo padre, Commodo Antonino dette ordine però che fossero bruciati tutti vivi, come se sorpresi in un complotto»). Vedi a questo proposito Grosso, 1964, pp. 134-35. Che ancora sotto Commodo esistessero seguaci di Avidio Cassio è sicuro grazie a Tertulliano, ad Scap. 2,5: Sic et circa maiestatem imperatoris infamamur, tamen umquam Albiniani vel Nigrini vel Cassiani inveniri potuerunt Christiani («E così si getta contro di noi l’infamia di lesa maestà contro l’imperatore, mentre non poterono essere trovati tra i Cristiani né i seguaci di [Clodio] Albino, né quelli di [Pescennio] Nigro, né quelli di [Avidio] Cassio») e Apol. 35,9: Unde Cassii et Nigrini et Albini? («Da dove mai i Cassii, i Nigrini, gli Albini?», evidentemente come esempi di aspiranti alla tirannide, ed evidentemente anch’essi non cristiani). Si può discutere invece se l’Eliodoro che subì un processo sotto Commodo (Corpus Papyrorum Judaicarum II, pp. 99-107, n. 159) fosse veramente il figlio di Avidio Cassio. In questo senso S. Jameson, Two Lycian Families, in «Anatolian Studies», 16, 1966, pp. 125-37, più in particolare p. 127; vedi tuttavia Grosso, 1964, pp. 134-36 con p. 308.
7 Vedi Astarita, 1983, pp. 32 sgg. Sulla rivolta egizia sotto Antonino Pio cfr. anche W. Huttl, Antoninus Pius, I, Praha 1933, p. 209, secondo cui la rivolta degli Agriofagi egizi in età adrianea presenterebbe analogie con la ribellione in Egitto sotto Antonino Pio. Per la politica estera di Antonino vedi K.F. Stroheker, Die Außenpolitik des Antoninus Pius nach der «Historia Augusta», in «Antiquitas», 3, 1966, pp. 241 sgg., anche a proposito dell’adlectio di Avidio Cassio. Sull’adlectio in genere vedi D. McAlindon, Entry to the Senate in the Early Empire, in «JRS», 47, 1957, pp. 192 sgg. Sui viri militares vedi B. Campbell, Who were the «viri militares»?, in «JRS», 65, 1975, pp. 11-31.
8 H.A., Av. Cass. 1,6-9: Vero autem illum parasse insidias, ipsius Veri epistula indicat, quam inserui. Ex epistula Veri: «Avidius Cassius avidus est, quantum et mihi videtur et iam inde sub avo meo, patre tuo, innotuit, imperii: quem velim observari iubeas. Omnia ei nostra displicent, opes non mediocres parat, litteras nostras ridet. Te philolosopham aniculam, me luxuriosum morionem vocat. Vide quod agendum sit. Ego hominem non odi, sed vide, ne tibi et liberis tuis non bene consulas, cum talem inter praecintos habeas, qualem milites libenter audiunt, libenter vident».
9 H.A., Av. Cass. 2,1-8: Rescriptum Marci de Avidio Cassio: «Epistulam tuam legi, sollicitam potius <quam> imperatoriam et non nostri temporis. Nam si ei divinitus debetur imperium, non poterimus interficere, etiamsi velimus. Scis enim proavi tui dictum: ‘successorem suum nullus occidit’; sin minus, ipse sponte sine nostra crudelitate fatales laqueos inciderit. Adde quod non possumus reum facere, quem et nullus accusat et, ut ipse dicis, milites amant. Deinde in causis maiestatis haec natura est, ut videantur vim pati etiam quibus probatur. Scis enim ipse, quid avus tuus Hadrianus dixerit: ‘misera condicio imperatorum, quibus de adfectata tyrannide nisi occisis non potest credi’. Eius autem exemplum ponere <malui> quam Domitiani, qui hoc primus dixisse fertur; tyrannorum enim etiam bona dicta non habent tantum auctoritatis quantum debent. Sibi ergo habeat suos mores, maxime cum bonus dux sit et severus et fortis et rei p. necessarius. Nam quod dicis liberis meis cavendum esse morte illius: plane liberi mei pereant, si magis amari merebitur Avidius quam illi et si rei p. expediet Cassium vivere quam liberos Marci». Per le parole attribuite in questo passo a Domiziano vedi in effetti Suetonio, Dom. 21,1: Condicionem principum miserrimam aiebat, quibus de coniuratione comperta non crederetur nisi occisis («Diceva che le condizioni degli imperatori erano tra le più miserevoli poiché, a proposito della scoperta di una congiura, si credeva loro solo quando fossero stati uccisi»).
10 H.A., Marc. 24,5: Voluit Marcomanniam provinciam, voluit etiam Sarmatiam facere, et fecisset, nisi Avidius Cassius rebellasset sub eodem in Oriente («Voleva trasformare in provincia il territorio dei Marcomanni e fare lo stesso con quello dei Sarmati, se sotto di lui non si fosse ribellato in Oriente Avidio Cassio»). Si avrà modo di tornare più volte su questa aspirazione, peraltro mai realizzata, di Marco; non appare pertanto necessario rinviare a tutti i contesti in cui ne sarà fatto cenno.
11 A. Fraschetti, Poesia anonima latina, Roma 2005, pp. 329 sgg., a proposito delle campagne di Druso nella libera Germania. I versi di Albinovanus Pedo, volti a convincere Germanico a non oltrepassare il Reno per giungere fino all’Elba, sono riportati da Seneca, Suas. I 15: Anne alio positas sub cardine gentes / atque alium flabris intactum quaerimus orbem? / Di revocant rerumque vetant cognoscere finem / mortales oculos: aliena quid aequora remis / et sacras violamus aquas divumque quietes / turbamus sedes?
12 Cassio Dione, LXXII 22,3 e 23,1-2; cfr. Giovanni Antiocheno, in FHG, fr. 118 ed. Mueller: «Cassio, muovendo dalla Siria, uomo valente in guerra, dopo aver dato prova di moltissimi atti degni di ricordo durante la campagna partica, con un gesto di rivolta temeraria, venne aizzato a emergere dalla moglie di Marco, Faustina, che lo aveva mosso a un simile pensiero».
13 H.A., Av. Cass. 9,5-11, 10,1-5 e 11,1-6: Si quis autem omnem hanc historiam scire desiderat, legat Mari Maximi secundum librum de vita Marci, in quo ille ea dicit, quae solus Marcus mortuo iam Vero egit. Tunc enim Cassius rebellavit, ut probat epistula missa ad Faustinam, cuius hoc exemplum est: «Verus mihi de Avidio verum scripserat, quod cuperet imperare. Audisse enim te arbitror quod Veri statores de eo nuntiarent. Veni igitur in Albanum, ut tractemus omnia dis volentibus, nil timens». Hinc autem apparet Faustinam ista nescisse, cum dicat Marius infamari eam cupiens, quod ea conscia Cassius imperium sumpsisset. Nam et ipsius epistula extat ad virum, qua urget Marcum, ut in eum graviter vindicet. Exemplum epistulae Faustinae ad Marcum: «Ipsa in Albanum cras, ut iubes, mox veniam: tamen iam hortor, ut, si amas liberos tuos, istos rebelliones acerrime persequaris. Male enim adsueverunt et duces <et> milites, qui nisi opprimuntur, oppriment». Item alia epistula eiusdem Faustinae ad Marcum: «Mater mea Faustina patrem tuum Pium in defectione Celsi sic hortata est, ut pietatem primum circa suos servaret, sic circa alienos. Non enim pius est imperator, qui non cogitat uxorem et filios. Commodus noster vides in qua aetate sit. Pompeianus gener et senior est et peregrinus. Vide quid agas de Avidio Cassio et de eius consciis. Noli parcere hominibus, qui tibi non pepercerunt et nec mihi nec filiis nostris parcerent, si vicissent [...]». Ex his litteris intellegitur Cassio Faustinam consciam non fuisse, quin etiam supplicium eius graviter exegisse, si quidem Antoninum quiescentem et clementiora cogitantem ad vindictae necessitatem impulit. Cui Antoninus quid rescripserit, subdita epistula perdocebit: «Tu quidem, mea Faustina, religiose pro marito et pro nostris liberis agis. Nam relegi epistulam tuam in Formiano, qua me hortaris, ut in Avidii conscios vindicem. Ego vero et eius liberis parcam et genero et uxori et ad senatum scribam, ne aut proscriptio gravior sit aut poena crudelior. Non enim quicquam est, quod imperatorem Romanum melius commendet gentibus quam clementia. Haec Caesarem deum fecit, haec Augustum consecravit, haec patrem tuum specialiter Pii nomine ornavit». Di una presunta «rivolta di Celso» ai tempi di Antonino Pio non si possiede alcuna notizia; vedi invece R. Syme, Emperors and Biography cit., p. 270, a proposito dell’usurpatore omonimo di cui dà invece notizia H.A., Tr. tyr. 9.
14 Si osservi come il «redattore-falsario» cada in un errore gravissimo, e quasi inspiegabile, quando in H.A., Av. Cass. 9,5, sostiene che la rivolta di Avidio si sarebbe verificata subito dopo la morte di Lucio Vero, dunque circa sei anni prima (quae solus Marcus mortuo iam Vero egit). Per quanto riguarda il ruolo di Faustina nell’usurpazione vedi, in senso diverso, Carrata Thomes, 1953, pp. 153-55, che la discolpava, Birley, 1966, p. 243 e Astarita, 1983, pp. 114-15, secondo la quale «la connivenza di Faustina con Avidio Cassio, che per altro le fonti più o meno esplicitamente rivelano, non è da mettere in dubbio».
15 Cassio Dione, LXII 3,1: «E invero Marco ordinò che Cassio soprintendesse all’Asia nel suo complesso». Vedi su un simile comando, evidentemente eccezionale, che grazie all’imperium maius (ma senza tuttavia il conferimento della potestà tribunicia) rendeva Avidio Cassio quasi «collega» di Marco Aurelio, detentore naturalmente, in quanto Augusto, sia dell’imperium maius che della tribunicia potestas, D.A. Magie, Roman Rule in Asia Minor cit., I, p. 665; Carrata Thomes, 1953, p. 148; J. Schwartz, Avidius Cassius et les sources de l’«Histoire Auguste» cit., p. 135; Birley, 1966, p. 236 nota 1; A. Baldini, La rivolta bucolica e l’usurpazione di Avidio Cassio cit., p. 641.
16 Vedi a questo proposito A. Betz, Zur Dislokation der Legionen in der Zeit vom Tode des Augustus bis zum Ende der Prinzipatsepoche cit., p. 21.
17 A proposito dei governatori di Siria, Palestina e d’Arabia vedi Astarita, 1983, p. 92 con bibliografia citata a nota 4. A proposito dell’editto di Gaio Calvisio Staziano, P.J. Sijpesteins, Edict of C. Calvisius Statianus (P. Amsterdam inv. Nr. 22, c.f. p. I IIc), in «ZPE», 8, 1971, p. 190. Cfr. inoltre G.G. Kenyon, The Revolt of C. Avidius Cassius, in «APF», 16, 1958, pp. 213 sgg.; R. Rémondon, Les dates de la révolte de C. Avidius Cassius cit., pp. 364 sgg.; J. Spiess, Avidius Cassius und der Aufstand des Jahres 175, München 1975, p. 66. Per il ruolo di Avidio Cassio nella campagna partica di Lucio Vero vedi supra, pp. 65 sgg. Per le legioni cui si è fatto cenno vedi A. von Premerstein, Untersuchungen zur Geschichte des Kaisers Marcus, III. Die militarische Lage in Orient zur Zeit des germanischen-sarmatischen Krieges, in «Klio», 13, 1913, pp. 76 sgg.; cfr. inoltre M.G. Jarret, Tracian Units in the Roman Army, in «JES», 19, 1969, pp. 218 sgg.; M.P. Speidel, The Roman Army in Arabia, in «ANRW», II, 8, 1977, pp. 687 sgg.
18 Cassio Dione, LXXII 29,1-1. Non si sa nulla né del misterioso Pudente né degli «scrigni» e delle carte che essi contenevano e dunque delle notizie che se ne sarebbero potute ricavare. Sul personaggio vedi comunque H.-G. Pflaum, La valeur de l’information historique de la «Vita Commodi» à la lumière des personnages nommément cités par le biographe, in BHAC 1970, Bonn 1972, pp. 199-247, più in particolare p. 242, che lo identificava con il Manilio ricordato sempre da Cassio Dione (LXXIII 7,4) come segretario ab epistulis Latinis di Avidio Cassio. L’ipotesi è messa in discussione da Astarita, 1983, p. 167 nota 17, dal momento che Manilio conservava documenti ancora sotto Commodo, da cui fu processato nel 181 o nel 182; vedi Grosso, 1964, p. 135. Per il secondo consolato di Publio Marcio Vero nel 179 insieme addirittura a Commodo, vedi E. Degrassi, I fasti consolari dell’impero romano, Roma 1952, p. 50; G. Alföldy, Konsulat und Senatorenstand unter den Antoninen cit., p. 191. Sulla distruzione dei documenti che potevano compromettere complici di Avidio Cassio, vedi anche Ammiano Marcellino XXI 16,11 (che comunque localizzava l’episodio in Occidente): qui (scil. Marcus Aurelius), cum ad imperialem culmen in Syria Cassius surrexisset, fasces ad eo ad conscios missum, perlatore capto sibi oblatum, illico signatum exuri praecepit, agens adhuc in Illyrico, ne insidiatoribus cognitis, invitus quosdam habere posset offensos («Egli [Marco Aurelio], quando Cassio si era innalzato in Siria al trono imperiale e aveva inviato a Roma un pacchetto di lettere ai suoi complici, una volta portato davanti a lui l’emissario che era stato fatto prigioniero, ordinò di bruciare tutto quanto era stato sigillato, mentre si trovava ancora in Illirico, affinché, saputi i nomi dei congiurati, non fosse costretto suo malgrado a danneggiarne alcuni»).
19 Cassio Dione, LXXII, 25-6.
20 Sulla discussione attribuita da Cassio Dione ad Augusto, Agrippa e Mecenate sulla forma migliore di governo (la democrazia sostenuta da Agrippa e la monarchia appoggiata invece da Mecenate) nel 29 a.C. (LIII 1-31), nel contesto di una letteratura evidentemente immensa, mi limito a rinviare a E. Gabba, Progetti di riforme economiche e sociali in uno storico dell’età dei Severi, in Studi in onore di A. Fanfani, I, Milano 1962, pp. 29 sgg.; quindi in Id., Del buon uso della ricchezza. Saggi di storia economica e sociale nel mondo antico, Milano 1988, pp. 189 sgg.; J. Bleicken, Der politische Standpunkt Dios gegenüber der Monarchie. Die Rede des Maecenas Buch 52.14-40, in «Hermes», 90, 1962, pp. 444 sgg.; in seguito B. Manuwald, Cassius Dio und Augustus. Philologische Untersuchungen zu den Büchern 45-56 des dionisischen Geschichtswerkes, Wiesbaden 1978, p. 89; P. McKechnie, Cassius Dio’s Speech of Agrippa. A Realistic Alternative to Imperial Government, in «G&R», 28, 1981, pp. 150 sgg.
21 Sul «tucididismo» di Cassio Dione l’unico rimando possibile è ancora a E. Litsch, De Cassio Dione imitatore Thucydidis, Friburgi 1893. Per la possibilità di accesso dello stesso Cassio Dione agli archivi del senato vedi C. Letta, La composizione dell’opera storica di Cassio Dione: cronologia e sfondo storico-politico, in Ricerche di storiografia antica, I. Ricerche di storiografia greca in età romana, Pisa 1979, pp. 117 sgg.; Astarita, 1983, pp. 165 sgg.; Birley, 1966, p. 257, presta fede all’autenticità del discorso riportato da Cassio Dione, diversamente da J. Spiess, Avidius Cassius und der Aufstand des Jahres 175 cit., p. 45.
22 Sulle province «inermi», tra le quali era compresa naturalmente anche la Cilicia, vedi R.K. Sherk, The «inermes provinciae» of Asia Minor, in «AJPh», 76, 1955, pp. 411 sgg. Sulle leve operate da Avidio Cassio, per quanto riguarda la Palestina, E.M. Smallwood, The Jews under Roman Rule from Pompey to Diocletian, Leiden 1976, p. 482.
23 Vedi per il complesso delle vicende Astarita, 1983, p. 98. Birley, 1966, p. 256, porta a testimonianza che anche le truppe di Pannonia potessero aderire alla rivolta di Avidio Cassio; H.A., Clod. Alb. 10,9-11: Est et alia epistula, qua idem Marcus Avidii Cassi temporibus de hoc eodem scripsit, cuius exemplum hoc est: «Laudanda est Albini constantia, qui graviter deficientes exercitus tenuit, cum ad Avidium Cassium confugerent [...]» («C’è anche un’altra lettera che Marco scrisse su di lui all’epoca di Avidio Cassio, di cui questa è una copia: ‘Si deve lodare la fermezza di Albino che seppe trattenere le truppe pronte ad ammutinarsi per raggiungere Avidio Cassio [...]’»).
24 Vedi H.A., Marc. 24,9: Sed per senatum hostis est iudicatus bonaque eius proscripta per aerarium publicum («Ma fu giudicato dal senato nemico pubblico e le sue ricchezze furono proscritte e [incorporate] nell’erario pubblico») e Av. Cass. 7,6: Senatum illum hostem appellavit bonaque eius proscripsit. Quae Antoninus in privatum aerarium congeri noluit, quare senatu praecipiente in aerarium publicum sunt relata («Il senato lo dichiarò nemico pubblico e proscrisse le sue ricchezze. Antonino però non volle che fossero incorporate nel suo patrimonio privato e allora il senato decise che fossero versate nell’erario pubblico»). Per i suoi complici romani tra i senatori vedi Giovanni Antiocheno, in FHG IV, fr. 118 ed. Mueller: «infatti molti tra i senatori furono arrestati dal momento che avevano parteggiato apertamente per Cassio». Per il terrore a Roma H.A., Av. Cass. 7,7: Nec Romae terror defuit, cum quidam Avidium Cassium dicerent absente Antonino, qui nisi a voluptariis unice amabatur, Romam esse venturum atque urbem tyrannice direpturum, maxime senatorum causa, qui eum hostem iudicaverant bonis proscriptis («Neppure a Roma mancò la paura, poiché alcuni andavano dicendo che, approfittando dell’assenza di Antonino, Avidio Cassio, che era amato solo dai debosciati, sarebbe giunto fino a Roma e da tiranno qual era avrebbe saccheggiato la città, soprattutto a causa dei senatori che lo avevano dichiarato nemico pubblico e avevano proscritto i suoi beni»); cfr. H.A., Marc. 25,2: Romae etiam turbae fuerunt, quasi Cassius absente Antonino adventaret («Anche a Roma ci fu paura, all’idea che Cassio, in assenza di Antonino, potesse avventarsi [contro la città]»). Mi è ignoto su quali fondamenti, in base a questo passo, G. Valera, Una tradizione Ceionia nella «Historia Augusta», in «RAAN», 48, 1973, p. 158 nota 36, possa sostenere che a Roma esistessero elementi contrari alla politica di Marco. Su Gaio Vettio Sabiniano AE 1920, n. 45; ivi, 1939, n. 81; ILAfr. 281, ll. 5-7: praeposito vexillationibus ex Illyrico missis ab Imp(eratore) divo M. An[to]nino ad tutelam urbis. Sul personaggio, Birley, 1966, p. 256. Diversamente da Astarita, 1983, p. 27 nota 41, mi sembra da escludere, appunto in base alla funzione di proteggere Roma affidatagli da Marco in sua assenza, che Gaio Vettio Sabiniano potesse essere imparentato in alcun modo con Avidio Cassio.
25 Per il contrasto tra la politica «bellicistica» che divideva Avidio Cassio da Marco vedi Birley, 1966, pp. 266 sgg. Sui consigli degli amici di Marco perché facesse ritorno a Roma vedi H.A., Marc. 22,8: quare frequenter amici suaserunt, ut a bellis discederet <et> Romam veniret, sed ille contempsit ac perstitit nec prius recessit, quam omnia bella finiret. Sul consilium principis di Marco, J.A. Crook, «Consilium principis». Imperial Councils and Counsellors from Augustus to Diocletian, Cambridge 1954, pp. 75-77; Grosso, 1964, pp. 106-11. Se il consilium principis al seguito di Marco non era sostanzialmente mutato nell’età di Commodo, molto probabilmente si deve anche ai consigli dei suoi membri la volontà dello stesso Commodo di porre fine, subito dopo la morte del padre, alle guerre sul fronte del Reno e del Danubio: vedi a questo proposito G. Alföldy, Der Friedensschluss des Kaisers Commodus mit den Germanen, in «Historia», 20, 1971, pp. 84-109, più in particolare p. 107.
26 Marco Aurelio, Pensieri X 40: «Un ragno si gonfia di orgoglio per aver catturato una mosca; altri un’acciuga con la rete; altri un leprotto; altri un cinghiale; altri un orso; altri un certo numero di Sarmati. Se tu esamini le leggi supreme che li inducono ad agire, essi non sono tutti ladroni?». In un simile contesto va naturalmente anche messo in rilievo come lo stesso Marco avesse iniziato a combattere contro i Sarmati ormai da lunghissimi anni.
27 H.A., Marc. 25,8-10: Ignovit et civitatibus, quae Cassio consenserant, ignovit et Antiochensibus, qui multa in Marcum pro Cassio dixerant. Quibus et spectacula et conventus publicos tulerat et omnium contionum genus, contra quos edictum gravissimum misit. Seditiosos autem eos et oratio Marci indicat, indita a Mario Maximo, qua ille usus est apud amicos. Denique noluit Antiochiam videre, cum Syriam peteret. Per la circostanza che Marco si sia recato due volte ad Antiochia vedi J. Schwendemann, Der historische Wert der «Vita Marci» cit., p. 112; D.A. Magie, Roman Rule in Asia Minor cit., I, p. 666; Birley, 1966, p. 264; Astarita, 1983, pp. 155 sgg., sulla scia di Grosso, 1964, p. 575, aveva pensato a questo proposito a un intervento di Pompeiano, non soltanto genero di Marco, ma anch’egli nativo di Antiochia, e che avrebbe pertanto potuto indurre l’Augusto a passare di nuovo per quella città.
28 Giuliano, Misopogon, in Giuliano Imperatore, Alla Madre degli dei e altri discorsi, a cura di J. Fontaine-C. Prato-A. Marcone, Fondazione L. Valla, Milano 1987, pp. 176 sgg. Al riguardo vedi soprattutto I. Tantillo, L’imperatore Giuliano, Roma-Bari 2001, pp. 100 sgg. Per il giudizio su Marco Aurelio in epoca tardoantica vedi S.A. Stertz, Marcus Aurelius as Ideal Emperor in Late-Antique Greek Thought, in «CW», 70, 1977, pp. 433 sgg. Per Giuliano ammiratore di Marco, Ch. Lacombrade, L’empereur Julien émule de Marc-Aurèle, in «Pallas», 14, 1967, pp. 9 sgg.
29 Vedi supra, pp. 153 sgg.
30 Vedi Ammiano Marcellino, XXII 5,5: Ille (scil. Marcus) enim, cum Palaestinam transiret Aegyptum petens, Iudeorum fetentium et tumultuantium saepe taedio percitus, dicitur exclamasse: «O Marcomanni, o Quadi, o Sarmatae, tandem alios vobis inquietiores inveni».
31 Mekhilta Beshallah 6; con testo ebraico e trad. tedesca in G. Stemberger, Die Beurteilung Roms in der rabbinischen Literatur, in «ANRW», II, 19,2, 1979, p. 369. Sulla circostanza che il «santo maestro» debba identificarsi sicuramente con Giuda I vedi A. Guttmann, The Patriarch Judah I. His Life and his Death, in «HUCA», 25, 1954, pp. 239 sgg.; E.M. Smallwood, The Jews under Roman Rule cit., p. 485; L.I. Levine, The Jewish Patriarch (Nasi) in the Third Century Palestine, in «ANRW», II, 19,2, 1979, p. 357. Per l’Egitto ai tempi di Marco cfr. J. Schwartz, Nouveau aperçus sur l’Égypte au temps de Marc-Aurèle (161-180), in «AncSoc», 4, 1973, pp. 194 sgg.; cfr. Id., Avidius Cassius et les sources de l’«Histoire Auguste» cit., pp. 135 sgg.
32 H.A., Marc. 26,4-9: Faustinam suam in radicibus montis Tauri in vico Halalae exanimatam vi subiti morbi amisit. Petit a senatu, ut honores Faustinae aedemque decernerent, laudata eadem, cum impudicitiae fama graviter laborasset. Quae Antoninus vel nesciit vel dissimulavit. Novas puellas Faustinianas instituit in honorem uxoris mortuae. Divam etiam Faustinam a senatu appellatam gratulatus est. Quam secum et in aestivis habuerat, ut mater castrorum appellaret. Fecit et coloniam vicum, in quo obiit Faustina, et aedem illi extruxit. Sed haec postea aedis Heliogabalo dedicata est. Quanto al tempio dedicato in seguito ad «Eliogabalo», quest’ultimo era sicuramente il famoso dio siriaco piuttosto che il futuro imperatore. Sul tempio eretto a Halala in onore di Faustina da Marco vedi D. Palombi in LTUR II, 1992, p. 243, che ricollega con tutta ragione H.A., Marc. 24,4 non all’edicola dedicata a Faustina nel Foro romano dal senato, ma appunto al tempio di Halala. A proposito di Faustinopoli vedi M.H. Ballance, Derbe and Faustinopolis, in «Anatolian Studies», 14, 1964, pp. 139 sgg. Sulla consecratio di Faustina H. Mattingly, The Consecration of Faustina the Elder and his Daughter, in «HThR», 41, 1948, pp. 147 sgg. Per quanto riguarda l’istituzione delle puellae Faustinianae, che rientra nella problematica più complessiva delle sovvenzioni imperiali, inaugurata da Traiano per sopperire ai bisogni dei fanciulli e delle fanciulle rimasti orfani, vedi R. Duncan-Jones, The Purpose and Organisation of the «alimenta», in «PBSR», 32, 1964, pp. 123 sgg.; quindi E. Lo Cascio, Il principe e il suo impero cit., pp. 265 sgg.
33 Vedi supra, pp. 147 sg.
34 Vedi Cassio Dione, LXXII 31,3; cfr. Filostrato, VS II 1,12 e H.A., Marc. 27,1: Orientalibus rebus ordinatis Athenis fuit et initialia Cereris adit, ut se innocentem probaret, et sacrarium solus ingressus est («Dopo aver messo ordine negli affari d’Oriente, si recò ad Atene dove si fece iniziare ai misteri di Cerere, per mostrare che egli era innocente [evidentemente di ogni crimine], ed entrò da solo nel sacrario»). A questo proposito vedi Carrata Thomes, 1953, p. 155; Birley, 1966, p. 167. Secondo W. Zwikker, Studien zur Markussäule I cit., pp. 166 sgg., in quella stessa circostanza Marco avrebbe provveduto anche alla ricostruzione del tempio che i Costoboci avevano distrutto in precedenza a Eleusi. Vedi inoltre J.H. Oliver, The Sacred Gerusia, in «Hesperia», Suppl. 6, 1941, pp. 5-7; Grosso, 1964, p. 331.
35 H.A., Marc. 26,10-13: Ipsum Cassium pro clementia occisum passus est, non occidi iussit. Deportatus est Heliodorus, filius Cassi, et alii liberum exilium acceperunt cum bonorum parte. Filii autem Cassii et amplius media parte acceperunt paterni patrimonii, et auro atque argento adiuti, mulieres autem etiam ornamentis: ita ut Alexandria, filia Cassii, et Druncianus gener liberam vagandi potestatem haberent commendati amitae marito. Doluit denique Cassium extinctum, dicens voluisse se sine senatorio sanguine imperium transigere. Il nome vero di «Druncianus», il marito di Alessandria, era di fatto Ti. Claudius Dryentianus Antoninus, un senatore originario di Patara in Licia, come documenta ancora una volta H.A., Av. Cass. 9,3-4: Nam et Alexandriae, filiae Cassii, et Drunciano liberam evagandi, ubi vellent, potestatem dedit. Vixeruntque non quasi tyranni pignora, sed quasi senatorii ordinis in summa securitate, cum illis etiam in lite obici fortunam propriae vetuisset domus, damnatis aliquibus iniuriarum, qui in eos petulantes fuissent. Quos quidem amitae suae marito commendavit («E infatti [Marco] dette ad Alessandria, figlia di Cassio, e a Drunciano libera potestà di recarsi dove volessero. Ed essi vissero non come figli di un usurpatore, ma in tutta sicurezza in quanto membri dell’ordine senatorio, poiché l’imperatore aveva vietato che, anche nel corso di un processo, si rimproverassero loro le ascendenze famigliari, e avrebbe fatto punire per ingiuria quanti si fossero mostrati aggressivi nei loro confronti. Li mise anche sotto la protezione del marito della sua zia paterna»). La zia paterna di Drunciano era Claudia Elena e suo marito Tiberio Claudio Tiziano; vedi a questo proposito H.-G. Pflaum, La valeur de la source inspiratrice de la «Vita Marci» cit., pp. 221-23; Id., Les personnages nommément cités dans la «Vita Veri» cit., p. 196. Cfr. anche Birley, 1966, p. 265.
36 Vedi supra, p. 162 nota 18.
37 Che lo stesso Marco considerasse una «guerra civile» l’usurpazione di Avidio Cassio è attestato da Cassio Dione, LXXII 24,2 (demosia apostasis) e 26,4 (hemphyliois polemois). Vedi a questo proposito P. Jal, La guerre civile à Rome. Étude littéraire et morale, Paris 1963; per i corrispettivi greci cfr. N. Loraux, La cité divisée: l’oublie dans la mémoire d’Athènes, Paris 19972.
38 Per le legende securitas e pax aeterna Augusta, sulle monete emesse da Marco subito dopo il suo ritorno a Roma, vedi H. Mattingly-E.A. Sydenham, RIC III, pp. 249 sgg.
39 Per l’arco eretto a Marco Aurelio vedi M. Torelli in LTUR I, 1993, pp. 98-99. Per i pannelli I. Scott Ryberg, Panel Reliefs of Marcus Aurelius, New York 1967, con alcune riserve avanzate da G. Becatti, Osservazioni sui rilievi di Marco Aurelio, in «ArcClass», 19, 1967, pp. 321 sgg. In precedenza J. Aymard, L’«adventus» de Marc-Aurèle sur l’arc de Constantin, in «REA», 52, 1950, pp. 71 sgg.; quindi, per esempio, P.G. Hamberg, Studies in the Roman Imperial Art with Special Reference to the State Reliefs of the Second Century, Copenhagen-Uppsala 1945, pp. 149 sgg.; D. Strong, Roman Art, Harmondsworth 1976, pp. 111-12. Sul tempio della Fortuna Reduce, F. Coarelli in LTUR II, 1995, pp. 275-76. Per il trionfo di Marco Aurelio e Commodo vedi H.A., Marc. 16,1-2: Iam in suos tanta fuit benignitate Marcus, ut cum in omnes propinquos cuncta honorum ornamenta contulerit, tum in filium et Commodum quidem – scelestum atque impurum – cito nomen Caesaris et mox sacerdotium statimque nomen imperatoris ac triumphi partecipationem et consulatum. Quo quidem tempore sine [—-] imperator filio ad triumphalem currum in circo pedes cucurrit («Fu tanto grande la benevolenza di Marco nei confronti di tutti i suoi parenti da conferire a ognuno le insegne degli onori, e anche a suo figlio Commodo, uno scellerato e un debosciato, dette subito il nome di Cesare, quindi un sacerdozio e il nome di imperatore, e poi il diritto di partecipare al trionfo e al consolato. Ed allora [si vide] l’imperatore che correva a piedi nel circo dietro al figlio sul carro trionfale»); H.A., Comm. 12,5: Triumphavit X kal. Ian. isdem consulibus («Trionfò il 10 delle calende di gennaio [il 23 dicembre] sotto i medesimi consoli [nel 176]»).
40 Cicerone, Phil. I,1: Quantum in me fuit, ieci fundamenta pacis Athenensiumque renovavi vetus exemplum; Graecum etiam verbum usurpavi, quo tum in sedandis discordiis usa erat civitas illa, atque omnem memoriam discordiarum oblivione sempiterna delendam censui. L’esempio proposto da Cicerone si riferisce, com’è chiaro, al modello ateniese, quando Trasibulo nel 403, rientrando in città dal Pireo, aveva cacciato i Trenta proclamando al tempo stesso l’amnistia (hamnestia), con maggiore esattezza la dimenticanza dei mali patiti e di quelli fatti vicendevolmente patire (mnesikakein). Vedi a questo proposito N. Loraux, L’oublie dans la cité, in «TR», 1, 1980, pp. 313 sgg.; quindi Ead., «Oikeios polemos»: la guerra nella famiglia, in «StStor», 28, 1987, pp. 5 sgg. (poi in La cité divisée, Paris 1995, pp. 202 sgg.); Ead., De l’amnistie et de son contraire, in Usages de l’oublie. Contributions au Coloque de Roymont, Paris 1988, pp. 23-47 (trad. it., Usi dell’oblio, Parma 1990, pp. 27 sgg.). Per l’uso che ne fece Cicerone dopo le idi di marzo, A. Fraschetti, Roma e il principe cit., p. 48.