Qui passeremo in rassegna le testimonianze relative all’impero di Marco, da quelle contemporanee, quali sono i Pensieri dell’imperatore e l’epistolario del suo maestro Frontone, a quelle più tarde: in primo luogo quelle di poco più tarde rappresentate da Cassio Dione ed Erodiano; quindi alle biografie di Marco, di Lucio Vero e di Avidio Cassio nell’Historia Augusta, non senza aver esaminato in seguito, almeno di passaggio, epitomatori quali Eutropio, Aurelio Vittore, il de viris illustribus e i pochi, ma preziosissimi, accenni di Ammiano Marcellino.
I Pensieri di Marco Aurelio possono ritenersi storicamente interessanti esclusivamente per quanto riguarda il primo libro, dove l’imperatore-filosofo passava in rassegna non solo i suoi parenti, il suo predecessore immediato Antonino Pio e i suoi precettori (Diogneto, Apollonio, Alessandro il grammatico, Frontone, Alessandro il platonico, lo stoico Catulo, Severo il peripatetico, lo stoico Massimo), ma anche i suoi amici: in primo luogo Quinto Giunio Rustico, più volte console, prefetto urbano (sotto cui nel 165 patì il martirio Giustino)1. Vale la pena in un simile contesto di riportare il ritratto che Marco dava di Antonino Pio (I 16):
Dal padre mio, [ho appreso] la temperanza irremissibile nelle deliberazioni ben ponderate, il disprezzo dei cosiddetti onori, l’amore, la tenacia, l’ascoltare quanti propongono cose di utilità pubblica, la fermezza nel ricompensare ciascuno secondo i propri meriti, l’esperienza nel conoscere quando sia necessaria la fermezza, quando la clemenza [...]. Di lui si può ripetere quanto si racconta di Socrate: in altri termini che era in grado di astenersi e di godere con indifferenza di quei piaceri da cui la maggior parte degli uomini non sa tenersi lontano per debolezza o ai quali non sa moderatamente concedersi.
Per quanto riguarda l’epistolario del maestro di retorica Frontone con Marco Aurelio e con il fratello adottivo Lucio Vero, se forse non esiste opera più noiosa in tutta la letteratura latina, il suo stesso carattere estremamente laudativo nei confronti degli Augusti non può che renderlo almeno e nel migliore dei casi molto sospetto. Suscita sorpresa in un epistolario così esteso e consistente la scarsità dei cenni storici, a parte alcuni riferimenti alla campagna partica di Lucio Vero e una lettera sicuramente spuria a Marco Aurelio, da datarsi secondo Naber negli anni intorno al 174, in cui si attribuiva la famosa «pioggia miracolosa», che consentì a Marco la vittoria sui Quadi e sulla quale si avrà modo di tornare diffusamente più tardi, all’intervento del Dio dei Cristiani2.
Altro testimone contemporaneo è Galeno, il medico personale di Marco Aurelio, tanto intimo e a lui vicino al punto da accompagnarlo anche nelle sue guerre contro Quadi e Marcomanni. Con la riserva di tornare in seguito sulle ricette prescritte dal medico al proprio sovrano, qui è necessario sottolineare il suo ruolo fondamentale nelle diagnosi delle malattie (molto spesso sicuramente psicosomatiche) di Marco, che faceva ampio ricorso, grazie appunto ai consigli di Galeno, anche a farmaci che contenevano quantità consistenti di oppio3. Altro contemporaneo di Marco è il retore Elio Aristide, cui si deve il famosissimo Elogio di Roma. Se però forse lo stesso Marco deluse tanto Frontone quanto l’ateniese Elio Aristide passando dalla retorica alla filosofia, quest’ultimo appare comunque destinato a rimanere un personaggio emblematico a tutti gli effetti dei tempi in cui visse, soprattutto per quanto riguarda gli ambienti culturali non solo di Atene ma di tutto l’Oriente ellenistico-romano4.
Due altri storici leggermente più tardi rispetto agli anni dell’impero di Marco sono – come si è già visto anche in rapporto alle loro diverse posizioni di ceto sociale – il senatore Cassio Dione e il funzionario di corte Erodiano. Fergus Millar ha supposto che la Storia romana di Cassio Dione sia stata scritta tra il 207 e il 219. Erodiano redasse la sua Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio secondo Charles Richard Whittaker tra il 244 e il 250, mentre la difficoltà di una datazione più tarda e, più in genere, la difficoltà di datare l’opera nel suo complesso fu sottolineata già a suo tempo da Filippo Càssola5.
Per quanto riguarda le Vite che sono in rapporto all’impero di Marco nell’Historia Augusta (le biografie di Marco stesso, di Lucio Vero e infine quella dell’usurpatore Avidio Cassio) siamo in presenza evidentemente, per il carattere e la natura stessi di questa raccolta di biografie imperiali, forse di uno dei problemi più difficili e complessi di tutta la letteratura latina tardoantica. La sua datazione infatti è stata fatta oscillare, in un modo che potrebbe definirsi almeno «scabroso», dall’età di Giuliano fino intorno alla fine del VI secolo d.C.6. Queste biografie, a partire da quella di Marco, debbono essere dunque esaminate partitamente, alla ricerca non facile delle fonti di cui si è servito colui che viene comunemente indicato come il «redattore-falsario», mentre la stessa Historia Augusta non tarderebbe a presentarsi da parte sua come opera di sei biografi diversi che sarebbero vissuti (come si dovrebbe dedurre dalle dediche che essi stessi apposero alle loro Vite) nell’età di Diocleziano e in quella di Costantino: Elio Sparziano, Giulio Capitolino, Vulcacio Gallicano ed Elio Lampridio; quindi, dopo una lacuna che corrisponde agli anni 244-260, Trebellio Pollione e Flavio Vopisco.
A proposito della Vita Marci, essa – come ha già messo in rilievo Santo Mazzarino – non può essere disgiunta dalla Vita Veri. Comunque debbano individuarsi le fonti della Vita Marci, indubbiamente essa si pone come il volet positivo (appunto l’imperatore-filosofo) a un volet negativo (il collega nell’impero e fratello per adozione Lucio Vero) di cui Marco, sopportandone le attitudini con tutta la sua pazienza, assisterebbe e in qualche modo «coprirebbe» i vizi e la lussuria, tutti i vizi e la lussuria sfrenata su cui amava soffermarsi a lungo la stessa Historia Augusta. Tuttavia va sottolineato come siano esistite al contrario due tradizioni assolutamente «positive» anche su Vero: la prima è stata conservata nei Principia historiae di Frontone, la seconda (molto più tarda) da Draconzio, vir clarissimus (esponente dunque di rango senatorio) ancora nell’Africa ormai occupata dai Vandali. Draconzio tra il 384 e il 391 scrisse un suo poema, Satisfactio, in cui accennava a un Commodus Augustus, vir pietate bonus, che fu anche poeta, e del quale riportava due versi: nobile praeceptum, rectores, discite post me: / sit bonus in vita qui volet esse deus7.
Per quanto riguarda più in particolare la Vita Marci, la fonte principale deve essere fatta consistere evidentemente nella biografia che il senatore contemporaneo Mario Massimo aveva dedicato all’imperatore-filosofo: Mario Massimo è citato due volte all’interno della Vita, con l’aggiunta che la sua biografia si componeva di ben due libri dedicati a Marco. Comunque, secondo André Chastagnol, la fine del capitolo XV segna una svolta, in quanto il «redattore-falsario» si volgerebbe ad altri epitomatori e storici. Il racconto dell’avvelenamento di Lucio Vero da parte di Marco di fatto può essere fatto risalire ad Aurelio Vittore (16,7), riprodotto quasi letteralmente; l’attacco di apoplessia può derivare a sua volta da Eutropio (VIII 10,3). In effetti sempre lo stesso Eutropio sarebbe l’autore «copiato» per gli anni che vanno dal 169 al 1808.
A proposito della Vita di Lucio Vero il problema diviene molto più complesso sia per quanto riguarda le fonti – in questo caso il «redattore-falsario» utilizzò anche passi della Vita Marci –, sia per le caratteristiche specifiche del fratello per adozione dell’imperatore-filosofo, su cui ci siamo già soffermati a proposito della stessa Historia Augusta, di Frontone e di Draconzio. Fu per primo merito di Pierre Lambrecht e in seguito – come già abbiamo avuto modo di osservare – di Santo Mazzarino proporre per la prima volta una sostanziale e più complessiva rivalutazione del personaggio Vero, non solo «fratello» per adozione ma anche genero di Marco Aurelio in quanto marito di Lucilla, figlia dello stesso Marco. Lambrecht, che a proposito della datazione della Historia Augusta accoglieva quella, proposta a suo tempo da Baynes, dell’età di Giuliano, dopo aver giustapposto il «buon» Giuliano al «cattivo» fratello Gallo («cattivo» almeno agli occhi di Costanzo II), riteneva che la stessa Historia Augusta avesse contrapposto a sua volta il «buon» Marco al «cattivo» Lucio Vero. Oltre a un passo della Vita di Diadumeniano dove veniva messa in rilievo la «bontà» (bonitas) di Lucio, Lambrecht da parte sua richiamava l’attenzione non solo sull’elogio che ne faceva Frontone a proposito delle guerre partiche (elogio che potrebbe comunque – come già si è detto – ritenersi almeno sospetto, provenendo appunto da Frontone), ma anche sul giudizio positivo di Cassio Dione per quanto avrebbe riguardato il vigore della sua giovinezza e la sua abilità militare, in riferimento alla campagna partica9.
Evidentemente, come per la Vita Marci, per una parte della Vita Veri la fonte principale è stata rintracciata ancora una volta in Mario Massimo, con l’avvertenza che sempre l’Historia Augusta in questo caso non esitò a utilizzare anche passi della Vita Marci che contenevano al loro interno allusioni assolutamente malevole fatte da Aurelio Vittore sullo stesso Marco (Aurelio Vittore, XI 2, per il tentativo di avvelenamento di Vero da parte di Marco: cfr. Marc. 15,5), o su Vero da parte di Eutropio (V 3 e X 6) soprattutto a proposito del suo amore per il lusso. Può essere opportuno qui riportare i passi della Vita Veri che discreditano maggiormente il suo protagonista, a partire da Vero come presunto poeta, poi a proposito delle sue attitudini nel corso della sua spedizione partica, infine sul suo amore sfrenato per il lusso:
Non mancano quanti sostengono che [per la sua attività di poeta] si sia fatto aiutare da amici che possedevano ingegno e che quelle opere, comunque fossero scritte, furono composte da altri (Ver. 2,8).
Ma una volta partito per la Siria, si acquistò una pessima nomea non solo per la dissipatezza di una vita licenziosa, ma anche per gli adulteri e per aver avuto rapporti omosessuali con giovani; e dicono in effetti che fosse tanto lussurioso che poi, quando tornò dalla Siria, giunse addirittura ad allestire nel Palazzo una taverna dove, dopo aver cenato con Marco, si ritirava facendosi servire da tutti gli uomini più debosciati. Si racconta che giocasse a dadi tutta la notte, un vizio che aveva preso in Siria, e che rivaleggiasse in vizi con Gaio [Caligola], Nerone e Vitellio, tanto da andare in giro di notte per postriboli e bettole, con la testa coperta da un semplice cappuccio da viaggio, per gozzovigliare con gli uomini di malaffare, attaccare briga, nascondendo chi fosse, e che spesso tornava con la faccia livida e pesta, finendo per farsi riconoscere, malgrado il suo travestimento (Ver. 4,4-5).
Si dice che avesse tanta cura dei suoi capelli biondi da cospargersi il capo d’oro, perché la sua chioma in tal modo irradiasse di più i riflessi dorati. Aveva qualche difficoltà di parola, adorava giocare a dadi, passava la sua vita nei piaceri: insomma, per più aspetti ed esclusi la crudeltà e il ridicolo, era un secondo Nerone. Tra gli altri oggetti di lusso, possedeva una coppa di cristallo che chiamava Volucre dal nome del suo cavallo preferito e la cui capacità superava di gran lunga quanto un uomo può bere (Ver. 10,7-9)10.
Si può dunque chiudere questa rassegna dei vizi e dell’amore per il lusso con la conclusione che André Chastagnol dedica allo stesso Lucio e al suo confronto con Marco dopo aver esaminato le fonti alla base della sua Vita: «On a bien du mal à croire que Vérus ait eté réellement le play-boy et le casseur pervers que la longue digression central décrit sur un ton faussement indigné. On se fiera plus sûrement au portrait serein du début: ‘Il ne se place ni parmi les bons ni parmi les mauvais princes; il est en effet patent que, s’il ne fût pas couvert de vices, ne brilla pas non plus pour ses vertus’ (I 3-4). Le rédacteur, s’écartant de cette sobre et peu glorieuse définition, a entendu opposer ensuite les deux coempereurs en décrivant l’un, Marc, tout en blanc, et l’autre, Vérus, en noir»11.
È ora tanto necessario quanto indispensabile prendere in esame la Vita che l’Historia Augusta ha dedicato all’usurpatore Avidio Cassio: una Vita estremamente complessa soprattutto a proposito delle fonti di cui si è servito il «redattore-falsario». Va osservato che in tutta l’Historia Augusta è la sola Vita il cui autore sarebbe stato Vulcacio Gallicano – anch’egli un senatore come Mario Massimo, se nell’intestazione definiva se stesso c(larissimus) v(ir) –, con l’aggiunta ulteriore che questo nome è assente in tutte le altre biografie della stessa Historia Augusta. È una Vita piena di espedienti che fanno ricorso tanto alla fantasia quanto alla falsità. Se una delle fonti va individuata ancora una volta in Mario Massimo, va invece messa seriamente in dubbio l’utilizzazione di Asinio Quadrato, citato nella Vita di Lucio Vero (8,4), sul diffondersi della pestilenza che avrebbe accusato Avidio Cassio, e non Lucio Vero, poiché sarebbe stato Avidio Cassio, mancando alla parola data, ad aggredire Seleucia, colpa da cui Asinio Quadrato invece avrebbe assolto lo stesso Lucio Vero. La Vita inoltre si caratterizza per la presenza di lettere false, che hanno il fine di servire da «riempitivo», e relative a episodi mai verificatisi: ad esempio, una falsa lettera di Lucio Vero a Marco Aurelio (H.A., Av. Cass. 1,5-9) su una presunta congiura che Avidio Cassio, ancora giovane, avrebbe tramato contro Antonino Pio, con relativa risposta di Marco (ivi, 2,1-8). Si tratterebbe a tutti gli effetti di una Vita costruita da un lato in base a falsi, dall’altro lato in base a notizie già presenti nella Vita Marci e nella Vita Veri12.
Oltre naturalmente alle opere dei contemporanei a partire dai Pensieri di Marco e agli epitomatori più tardi, cui abbiamo già fatto cenno a proposito delle fonti della Historia Augusta (Eutropio e Aurelio Vittore), si impone ora un esame dei materiali epigrafici e papirologici relativi all’impero dello stesso Marco. Abbastanza recentemente è stata pubblicata da J.H. Oliver una lettera incisa su marmo di Marco Aurelio e Lucio Vero agli Ateniesi, da datarsi con sicurezza al 165: la datazione si deduce dalla circostanza che Lucio Vero è detto essere nell’anno della sua quinta potestà tribunicia e che Marco Aurelio ha ricevuto la sua terza salutazione a imperator. Fondandosi sul fatto che Marco era in Italia e Vero in Oriente fino al 166, Oliver ne ha dedotto che si tratti di una lettera inviata dal primo Augusto al secondo. È necessario comunque avvertire che l’epigrafe diviene mutila subito dopo le titolature dei due imperatori e che pertanto è impossibile conoscerne il contenuto successivo, perduto in maniera irrimediabile e forse non di scarso interesse13.
Insieme al marmor Sardianum, uno dei documenti più significativi e importanti è sicuramente la tavola di bronzo di Italica, in Spagna (sono due documenti sui quali si avrà modo di tornare a proposito dei martiri di Lione). In questo lungo testo epigrafico l’Augusto Marco, cui già è associato Commodo in quanto Augusto, era costretto a prendere provvedimenti a proposito del prezzo dei gladiatori, cercando su richiesta di un senatore molto probabilmente delle Gallie il modo di procurarseli a basso costo, facendo anche ricorso agli oscurissimi trinci-trinqui, che furono oggetto già di uno studio pionieristico di André Piganiol14.
A.E. Raubitschek a sua volta si è soffermato di nuovo su IG II ed. 34403-6 considerandola come la dedica di un altare in onore di Marco Aurelio e Lucio Vero, pubblicando allo stesso tempo la dedica a un altro altare proveniente dalla stessa area innalzato nel 163-4 in connessione alla guerra partica dello stesso Lucio Vero. G. Barbieri da parte sua ha pubblicato un’iscrizione di Marsala, mettendola in rapporto a un periodo di guerra, poiché l’epigrafe esordisce pro salute et reditu et victoria non solo di Marco Aurelio, ma anche dei suoi figli (liberorumque eiu[s]). In base alla circostanza che in questa iscrizione in riferimento a Marco Aurelio compaiono i titoli di Armenicus, Medicus e Parthicus maximus e che nell’epigrafe non si fa più cenno a Lucio Vero, ormai evidentemente scomparso, essa è stata dunque datata dopo il gennaio-febbraio 169, dal momento che evidentemente Lucio Vero era appunto già morto (169), e prima del 172, poiché manca per Marco il titolo di Germanicus15.
Un altro documento epigrafico, anch’esso di importanza fondamentale, è la cosiddetta Tabula Banasitana, chiamata così dal luogo di ritrovamento, la città di Banasa, una colonia romana della Mauretania, nell’attuale Marocco. Anche la Tabula Banasitana è incisa su una lunga placca di bronzo, come l’iscrizione di Italica. Essa documenta la concessione della cittadinanza romana da parte di Marco Aurelio e Commodo – si data con esattezza grazie ai nomi dei consoli in carica all’inizio del 177 – e si compone: di una lettera di Marco Aurelio e Lucio Vero con cui già in precedenza si chiedeva al governatore della provincia Coiedius Maximus, facendo seguito a una richiesta di quest’ultimo, di concedere la cittadinanza romana a Iulianus, uno Zegrensis, a sua moglie Ziddina e ai loro figli; di una lettera di Marco Aurelio e Commodo con cui in modo analogo i due Augusti, per intervento del governatore Epidio Quadrato, concedevano la cittadinanza romana a Aurelius Iulianus, che era alla testa della tribù degli Zegrenses, e ai suoi figli; di un estratto del commentarium imperiale, seguito da dodici firme, dove si concedeva la cittadinanza romana anche a Faggura, moglie di Aurelius Iulianus, e ai suoi figli. Con la fondamentale precisazione però, avanzata dagli stessi imperatori, che questa concessione doveva avvenire salvo iure gentis, sine diminutione tributorum et vectigalium populi et fisci: in altri termini, senza che i beneficiarii lasciassero il «diritto della propria gens» (da intendersi nel caso specifico come «tribù»), e con l’obbligo di dover comunque pagare, in quanto ormai cittadini romani, quanto da essi dovuto all’erario16.
Da parte sua sempre J.H. Oliver ha pubblicato una nuova iscrizione che documenta i rapporti di Marco Aurelio con la cultura ateniese in seguito appunto all’appello di vari Ateniesi per casi di scarso interesse. Di estrema importanza sono al contrario i provvedimenti di Marco a proposito della composizione dell’Areopago, con i quali l’imperatore interviene per una ricomposizione della giuria e per escludere rigorosamente i liberti da un tribunale antico e prestigiosissimo quale era appunto l’Areopago, in cui con estrema probabilità alcuni liberti si erano «astutamente» infiltrati. Vi si accenna anche a Erode Attico e alla sua riconciliazione dopo le liti che lo avevano opposto ai propri concittadini17.
Per quanto riguarda la documentazione papirologica, J.D. Thomas ha pubblicato un papiro da Ossirinco di estremo interesse, interpretandolo come una constitutio di Antonino Pio. Tuttavia siamo in presenza di un’attribuzione estremamente complessa in cui al contrario A.K. Bowman ha visto molto più probabilmente una lettera di Avidio Cassio agli abitanti di Alessandria nel periodo della sua usurpazione, mentre non sono neppure mancate grandi oscillazioni nella datazione di questo stesso papiro: da Severo Alessandro fino a Vaballato, il figlio di Odenato e di Zenobia18.
1 Vedi Pensieri I, in particolare su Giunio Rustico ivi, I 7 (il testo è riportato per intero infra, p. 102; cfr. H.A., Marc. 3,3: Audivit [...] et praecipue Iunium Rusticum, quem et reveritus est et sectatus, qui domi militiaeque pollebat, stoicae disciplinae peritissimum («Ma ascoltò [...] soprattutto anche Giunio Rustico, stimatissimo tanto in guerra quanto in pace e che era molto esperto della dottrina stoica»). Su Giunio Rustico in quanto prefetto urbano, giudice implacabile di Giustino e dei suoi seguaci, vedi infra, p. 102 nota 11. Sullo stoicismo di Marco cfr. soprattutto G.R. Stanton, Marcus Aurelius. Emperor and Philosopher, in «Historia», 18, 1969, pp. 570-87; M. Jorefowicz, Les idées politiques dans la morale stoïcienne de Marc-Aurèle, in «Eos», 59, 1971, pp. 241-54.
2 Per l’epistolario di Frontone, dopo l’editio princeps di Naber, Leipzig 1867, vedi ora M.P. van den Hout, M. Cornelii Frontonis epistulae, Leiden 1954. Cfr. in genere D. Broock, Studies in Fronto and His Age, Cambridge 1911; in precedenza, per i rapporti tra Frontone e Marco Aurelio, G. Boissier, La jeunesse de Marc-Aurèle d’après les lettres de Fronton, in «Revue des deux mondes», 38, 2, 1868, pp. 645 sgg.; quindi S. Pellini, Frontone, Marco Aurelio e Lucio Vero, in «Classici e Latini», 8, 1912, pp. 222 sgg. e 442 sgg.; per ulteriore letteratura fino al 1964 vedi R. Marache, Fronton et A. Gellius (1938-1964), in «Lustrum», 10, 1965, pp. 213 sgg. Per Erode Attico e la lite con i suoi nemici ateniesi G.W. Bowersock, Greek Sophists in the Roman Empire, Oxford 1969, pp. 93 sgg. La lettera spuria di Marco si trova nella seconda Apologia di Giustino: essa è riportata in C.R. Haines, The Correspondance of Marcus Cornelius Fronto, II, Cambridge 1957, pp. 301-5.
3 Su Galeno, V. Nutton, Galen and Medical Autobiography, in «PCPhS», 18, 1972, pp. 50 sgg.; Id., The Chronology of Galen’s Early Career, in «CQ», 23, 1973, pp. 158 sgg. Sulle ricette a base d’oppio approntate da Galeno vedi Th.W. Africa, The Opium Addiction of Marcus Aurelius, in «JHI», 22, 1961, pp. 97 sgg.; quindi Id., Marc Aurels Opiumsucht, in R. Klein (a cura di), Mark Aurel, Darmstadt 1979, pp. 133 sgg., con le osservazioni di E.C. Witke, Marcus Aurelius and Mandragora, in «CPh», 60, 1965, pp. 23-24.
4 Su Elio Aristide è ancora fondamentale F.W. Lenz, Aristidesstudien, in «Deutsche Akad. der Wiss. zu Berlin, Schriften der Sektion für Altertumswissenschaft», 40, Berlin 1964. Vedi inoltre l’ed. di C.A. Behr, Aristides in Four Volumes, I, London 1973. Per l’Orazione Panatenaica e l’Inno ad Atena, J.H. Oliver, The Civilizing Power: A Study of Panathenaic Discours of Aelius Aristides against the Background of Literature and Cultural Conflict, in «TAPhA», 58, 1968, pp. 1 sgg.; in precedenza Id., The Ruling Power: A Study of the Roman Empire in the Second Century after Christ through the Roman Oration of Aelius Aristides, in «TAPhA», 43, 1963, pp. 871 sgg.; cfr. F.W. Lenz, Der Athenahymnos des Aristides, in «RCCM», 5, 1953, pp. 329 sgg. Sull’Encomio a Roma M. Pavan, Sul significato storico dell’«Encomio a Roma», in «PdP», 17, 1962, pp. 81 sgg.; H. Bengston, Das Imperium Romanum in griechischer Sicht, in «Gymnasium», 71, 1964, pp. 150 sgg.; quindi Id., Kleine Schriften zur alten Geschichte, München 1974, pp. 549 sgg.; D. Nörr, Imperium und Polis in der hohen Prinzipatszeit, München 1966, pp. 83 sgg.
5 F. Millar, A Study on Cassius Dio, Oxford 1964, pp. 30-32 e 193-94; vedi però su una simile datazione le riserve di G. Bowersock in «Gnomon», 37, 1965, pp. 469-74. Per la letteratura precedente su Cassio Dione ed Erodiano vedi G. Walser-T. Pekáry, Die Krise des römischen Reiches: Bericht über die Forschungen zur Geschichte des 3. Jahrhunderts (193-284 n. Chr.) vom 1939 bis 1959, Berlin 1962, pp. 123-24. Per la datazione di Erodiano Ch.R. Whittaker, Herodian (Books I-IV), London 1969, pp. ix-xix; in precedenza F. Càssola (testo e versione a cura di), Erodiano, Storia dell’impero romano dopo Marco Aurelio cit., p. ix.
6 Per limitarsi alla letteratura più accreditata, vedi A. Chastagnol, Le problème de l’Histoire Auguste: état de la question, in BHAC 1963, Bonn 1964, pp. 43 sgg.; in seguito Id., Recherches sur l’Histoire Auguste avec un rapport sur le progrès de l’«Historia Augusta»-Forschung depuis 1963, Bonn 1970; S. Mazzarino, 1966, II 2, pp. 214 sgg.; cfr. già Id., La «Historia Augusta» e la EKG, Atti del Colloquio Patavino sulla Historia Augusta, Roma 1964, pp. 35-38; A.R. Birley, The Augustan History, in T.A. Dorey (a cura di), Latin Biography, London 1967, pp. 133-38; P. White, The Authorship of the «Historia Augusta», in «JRS», 57, 1967, pp. 115 sgg.; per gli aspetti linguistici dei singoli presunti «autori» vedi J.N. Adams, On the Authorship of the «Historia Augusta», in «CQ», 22, 1972, pp. 186 sgg.; T.D. Barnes, Hadrian and Lucius Verus, in «JRS», 57, 1967, pp. 65 sgg.; cfr. anche Id., «In Attali Gratiam», in «Historia», 18, 1969, pp. 84 sgg.; I.G. Nagy, Bemerkungen zur Deutung der Stelle «SHA Vita Marci 14», in «AAntHung», 16, 1968, pp. 343 sgg. Vedi inoltre R. Syme, Ammianus and the «Historia Augusta», Oxford 1968; Id., Studies in the «Historia Augusta», Oxford 1968; Id., Emperors and Biography: Studies in the «Historia Augusta», Oxford 1971, dove sono raccolti tutti i saggi precedenti dedicati dallo studioso all’argomento; infine Id., The Composition of «Historia Augusta»: Recent Theories, in «JRS», 62, 1972, pp. 123-33. Per la datazione nell’età di Giuliano N.H. Baynes, The «Historia Augusta»: Its Date and Purpose, London 1926; sul versante opposto (datazione intorno alla fine del VI secolo d.C.: una datazione evidentemente impossibile) vedi tuttavia A. von Domaszewski, Die Topographie Roms bei den «S.H.A.», in «Sitzungsberichte der Heidelberger Akad. der Wissensch., phil.-hist. Klasse», 7, 1916, n. 7, pp. 1-15.
7 Frontone, Principia historiae A 245,16 (p. 198 van den Hout): Iustitia quoque et clementia plena apud barbaros sancta de Lucio: Traianus non omnibus aegre purgatus («Per la giustizia e la clemenza verso i barbari tutto è venerabile in Lucio: Traiano solo a stento è discolpato e non da tutti»); quindi Draconzio, Satisfactio 188-191: Alter ait princeps modico sermone poeta / Commodus Augustus vir pietate bonus: / «nobile praeceptum, rectores, discite post me: / sit bonus in vita qui volet esse deus» («Dice un altro principe, Commodo Augusto, poeta di modico / talento, uomo buono per la sua clemenza: / ‘Imperatori, imparate dopo di me un nobile precetto: / sia buono in vita chi aspira a essere dio’»). Cfr. del resto su Vero poeta anche H.A., Ver. 2,7: Amavit autem in pueritia versus facere, post orationes. Et melior quidem orator dicitur fuisse quam poeta, immo, ut verius dicam, peior poeta quam rhetor («In effetti amò fin dalla prima giovinezza comporre versi, più tardi orazioni. E si dice fosse migliore come oratore che come poeta, anzi, a dire il vero, fu poeta peggiore di quanto non fosse come retore»). Vedi inoltre H.A., Diad. 7,4 a proposito di versi in greco diretti contro «Commodo Antonino» (in altri termini, Lucio Vero): Hi versus a Graeco nescio quo compositi a malo poeta in Latinum translati sunt, quos ego idcirco inserendos putavi, ut scirent omnes Antoninos pluris fuisse quam deos, ac trium principum amore, quo sapientia, bonitas, pietas consecrata sit, in Antonino pietas, in Vero bonitas, in Marco sapientia («Benché questi versi, composti da non so quale greco, siano stati tradotti in latino da un cattivo poeta, ho ritenuto opportuno trascriverli, perché tutti sappiano che gli Antonini hanno avuto più prestigio degli dei, grazie all’affetto suscitato da tre imperatori, e che consacrarono la loro saggezza, la loro bontà, il loro affetto: affetto in Antonino, bontà in Vero, saggezza in Marco»). Nonostante che i versi tradotti sostengano (ivi, 2, vv. 1-2) Commodum Herculeum nomen habere cupit / Antoninorum non putat esse bonum («Commodo desidera avere il nome di Ercole, / non ritiene buono quello degli Antonini»), evidentemente va escluso che possa trattarsi di Commodo, figlio di Marco Aurelio, se questo «Vero» si sarebbe caratterizzato per la sua «bontà». Mentre Frontone e l’Historia Augusta parlano esplicitamente di Lucio Vero, si è pensato che il Commodo ricordato nel V secolo da Draconzio potesse essere Commodo, figlio di Marco. Questo è semplicemente impossibile appena si scorra non solo la Vita Commodi della stessa Historia Augusta, ma anche il Commodo disegnato a fosche tinte da Erodiano. Il Commodus di Draconzio è molto semplicemente L. Aurelius Commodus C. f., uno dei nomi di Lucio Vero; vedi S. Mazzarino, 1966, II 2, pp. 245-48, e Id., La «Historia Augusta» e la EKG cit., pp. 35-38, con la conclusione: «Dobbiamo abbandonare la idealizzazione di Marco, la quale fu propria della EKG». Per le diverse formule onomastiche con cui poteva essere designato Lucio Vero vedi J.-P. Callu, Vérus avant Vérus, in «Historiae Augustae Colloquium», n.s. I, 1990, Macerata 1991, pp. 101 sgg. Sulla riabilitazione di Lucio Vero vedi infra, p. 77.
8 Vedi soprattutto A. Chastagnol, Histoire Auguste: les empereurs romains du IIe et IIIe siècle (edizione bilingue latino-francese, con traduzione dello stesso Chastagnol), Paris 1994, pp. 116-17; in precedenza J. Schwendemann, Der historische Wert der «Vita Marci» bei den S.H.A., Heidelberg 1923; in seguito H.-G. Pflaum, La valeur de la source inspiratrice de la «Vita Hadriani» et de la «Vita Marci Antonini» à la lumière des personnalités nommément citées, in BHAC 1968/1969, Bonn 1970, pp. 199-232; A.K. Bowman, A Letter of Avidius Cassius?, in «JRS», 60, 1970, pp. 20 sgg.; R. Syme, The Secundary «Vitae», in BHAC 1968/1969, Bonn 1970, pp. 285-87; quindi Id., «Historia Augusta» Papers, Oxford 1971, pp. 34-38.
9 Vedi P. Lambrecht, L’empereur Lucius Verus. Essay de réhabilitation, in «L’Antiquité classique», 3, 1934, pp. 173 sgg. Per il giudizio positivo su Vero, Cassio Dione LXXI 3. In seguito vedi S. Mazzarino cit. supra, nota 7.
10 Vedi rispettivamente H.A., Ver. 2,8: Nec desunt, qui dicant eum adiutum ingenio amicorum atque ab aliis ei illa ipsa, qualiacumque sunt, scripta; ivi, 4,4-6: Ubi vero in Syriam profectus est, non solum licentiam vitae liberioris, sed etiam adulteriis et iuventutis amoribus infamatus est, si quidem tantae luxuriae fuisse dicitur, ut etiam, <postea> quam de Syria redit, popinam domi instituerit, ad quam post convivium Marci devertebat, ministrantibus sibi omni genere turpium personarum. Fertur et nocte perpeti alea lusisse, cum in Syria concepisset id vitium, atque in tantum Gaianorum et Neronianorum ac Vitellianorum fuisse aemulum, ut vagaretur nocte per tabernas et lupanaria obtecto capite cucullione vulgari viatorio et comisaretur cum triconibus, committeret rixas, dissimulans quis esset, saepeque efflictum livida facie redisse et in tabernis agnitum, cum sese absconderet; ivi, 10,7-9: Dicitur sane tantam habuisse curam flaventium capillorum, ut capiti auri ramenta respergeret, quo magis coma inluminata flavesceret. Lingua impedior fuit, aleae cupidissimus, vitae semper luxuriosae atque in pluribus Nero praeter crudelitatem et ludibria. Habuit inter alium luxuriae apparatum calicem crystallinum nomine Volucrem ex eius equi nomine, quem dilexit, humanae potionis modum supergressum.
11 A. Chastagnol, Histoire Auguste cit., p. 166.
12 Vedi E. Klebs, Die «Vita» des Avidius Cassius, in «RhM», 43, 1888, pp. 328 sgg.; R. Rémondon, Les dates de la révolte de C. Avidius Cassius, in «CE», 26, 1951, pp. 364 sgg.; J. Schwartz, Avidius Cassius et les sources de l’«Histoire Auguste» (à propos d’une légende rabbinique), in BHAC 1963, Bonn 1964, pp. 135 sgg.; H.-G. Pflaum, Les personnages nommément cités par les «Vita Aelii» et «Vita Avidii Cassii» de l’«H.A.», in BHAC 1972/1974, Bonn 1976, pp. 189 sgg.; B. Baldwin, The «Vita Avidii», in «Klio», 58, 1976, pp. 101 sgg.; A. Chastagnol, Le supplice inventé par Avidius Cassius: remarques sur l’«H.A.» e la lettre 1 de saint Jérôme, in BHAC 1970, Bonn 1971, pp. 95 sgg.; R. Syme, Avidius Cassius. His Rank and Quality, in BHAC 1984/1985, Bonn 1987, pp. 207 sgg.; Astarita, 1983, passim. Sulla testimonianza, almeno presunta, di Asinio Quadrato in H.A., Ver. 8,1-4 vedi infra, p. 71, nota 18. Per la «corrispondenza» che sarebbe intercorsa tra Lucio Vero e Marco Aurelio a proposito di Avidio Cassio vedi infra, pp. 154-55.
13 J.H. Oliver, Marcus Aurelius und Lucius Verus AD 165 [to the Athenians], in «ZPE», 20, 1976, pp. 179 sgg. (con letteratura ivi citata, soprattutto il primo editore J. Merritt, Greek Inscriptions, in «Hesperia», 32, 1963, p. 25). Vedi però W. William, Formal and Historical Aspects of Two New Documents of Marcus Aurelius, in «ZPE», 17, 1975, pp. 37 sgg.
14 Per il testo della tavola di Italica vedi naturalmente CIL II 6278 = ILS 5163. Cfr. quindi A. d’Ors, Observaciones al texto de la «Oratio de praetiis gladiatorum minuendis», in «Emerita», 18, 1950, pp. 311-39; Id., Epigrafía jurídica de la España romana, Madrid 1953, pp. 37-60 e 451-54; quindi soprattutto J.H. Oliver-R.E.A. Palmer, Minutes of an Act of the Roman Senate, in «Hesperia», 24, 1955, pp. 320 sgg. (con ulteriore letteratura a p. 327). Com’è chiaro, soprattutto per quanto riguarda i trinci-trinqui si tornerà su una simile problematica a proposito dei martiri di Lione (vedi infra, pp. 106 sgg.; più in particolare per i contributi di André Piganiol infra, p. 119 con nota 20).
15 A.E. Raubitschek, Greek Inscriptions, in «Hesperia», 35, 1966, pp. 241 sgg.; cfr. anche J.H. Oliver, Marcus Aurelius: Aspects of Civic and Cultural Policy in the West (in «Hesperia», Suppl. 13), Princeton 1970, p. 80 nota 3. La lettura heupodia è discussa da J. e L. Robert, Bulletin épigraphique, in «REG», 80, 1967, p. 466 e da J.M. Reynold, Roman Inscriptions 1966-1970, in «JRS», 61, 1971, p. 145. Per l’iscrizione di Marsala vedi G. Barbieri, Nuove iscrizioni di Marsala, in «Kokalos», 7, 1961, pp. 15 sgg.
16 Per una prima notizia della scoperta M. Euzennat, L’archéologie marocaine de 1958 à 1960, in «BAM», 4, 1960, p. 544; per gli scavi condotti in precedenza cfr. R. Thouvenot, Une colonie romaine de Maurétanie Tingitane: Valentia Banasa, Paris 1941, p. 20. Cfr. in seguito, per studi più dettagliati, M. Euzennat-W. Seston, La citoyenneté romaine au temps de Marc Aurèle et de Commode d’après la «Tabula Banasitana», in «CRAI», 1961, pp. 317 sgg., in seguito Id., Un dossier de la chancellerie romaine: la «Tabula Banasitana». Étude diplomatique, in «CRAI», 1971, pp. 468 sgg. Cfr. in seguito J.H. Oliver, The Test of the «Tabula Banasitana», A.D. 177, in «AJPh», 93, 1972, pp. 336 sgg.; A.N. Sherwin-White, The Roman Citizenship, Oxford 19732, pp. 274, 311-12, 336, 382, 393-94; quindi Id., The «Tabula» of Banasa and the «Constitutio Antoniniana», in «JRS», 63, 1973, p. 88 nota 6.
17 J.H. Oliver, Marcus Aurelius: Aspects of Civic and Cultural Policy in the West cit., con le critiche di C.P. Jones, A New Letter of Marcus Aurelius to the Athenians, in «ZPE», 8, 1971, pp. 161 sgg.; cfr. inoltre J. e L. Robert, Bulletin épigraphique, in «REG», 84, 1871, p. 427; Idd., Bulletin épigraphique, in «REG», 85, 1872, pp. 395-97; cfr. inoltre C. Eucken in «Gnomon», 45, 1973, pp. 168-73.
18 Per la datazione del papiro nell’età di Antonino Pio vedi appunto J.D. Thomas, An Imperial «Constitution» on Papyrus, in «BICS», 19, 1972, pp. 112 sgg.; tuttavia, con ottimi argomenti per la datazione da lui proposta, A.K. Bowman, A Letter of Avidius Cassius? cit., pp. 20 sgg. Per le altre datazioni J.W.B. Barns, A Letter of Severus Alexander, in «JEA», 52, 1966, pp. 141 sgg.; J.A. Rea, A Letter of Severus Alexander, in «CE», 42, 1967, pp. 391 sgg.; P.J. Parson, A Proclamation of Vaballatus?, in «CE», 42, 1967, pp. 397 sgg.