Se l’acclamazione a imperatore di Adriano da parte delle truppe era stata imposta in pratica, a tutti gli effetti e con estrema determinazione, da Plotina, la moglie di Traiano, molto probabilmente una simile acclamazione non fu accolta molto bene dal senato, che si era visto spogliato di quelle che riteneva le proprie imprescindibili prerogative. Sembra infatti, secondo una notizia presente nell’Historia Augusta, che Traiano avrebbe voluto designare alla sua successione Nerazio Prisco, un celebre giurisprudente che aveva già ricoperto il consolato suffetto nel 971. Di fatto, i rapporti di Adriano con il senato furono durante tutto il suo impero tutt’altro che idilliaci, fino al celebre episodio, cui si è già fatto cenno, della messa a morte di quattro consolari nel 118. Adriano del resto era giunto all’impero – come già si è visto – in modo non del tutto limpido e lineare (tanto che furono in molti a dubitare della sua adozione sul letto di morte di Traiano)2.
Da questo punto di vista, si possono evidentemente anche spiegare i suoi tentativi di «recupero» verso quella stessa assemblea senatoria che, a Roma, aveva accolto di malanimo una designazione, peraltro molto discussa, che sarebbe stata fatta da Traiano in punto di morte a Selinunte, nella lontanissima Licia. Lo conferma una lettera dello stesso Adriano indirizzata al senato subito dopo la sua adozione, in cui «si scusava della circostanza di non aver dato modo al senato di esprimersi sul suo accesso all’impero, dal momento che i soldati lo avevano acclamato imperatore con fretta eccessiva poiché lo Stato non poteva restare senza imperatore»3. Lo dimostrano inoltre gli accenni della stessa Historia Augusta alla sua clemenza (una «clemenza», visti i suoi successivi comportamenti, da considerarsi assolutamente fittizia). Lo prova infine la sua attitudine nei confronti di Bebio Macro, allora prefetto urbano, di Laberio Massimo, che per il solo sospetto di aspirare al trono era stato relegato su un’isola, di Gaio Calpurnio Crasso, che era sospettato di aver tramato una congiura ai suoi danni. Benché tutti costoro alla fine fossero messi a morte, queste morti, almeno sempre secondo l’Historia Augusta o, piuttosto, secondo quanto avrebbe sostenuto Adriano, sarebbero avvenute senza che l’imperatore ne avesse dato l’ordine4.
Tuttavia le attitudini di Adriano possono considerarsi almeno volubili, soprattutto nei confronti dei suoi amici più cari, come per esempio lo stesso Attiano, Nepote, Setticio Claro, Eudemone, Polieno, Marcello, Eliodoro, Tiziano, Ummidio Quadrato, Catilio Severo, Turbone e addirittura liberti e soldati. Poteva comunque essere anche spiritoso nei confronti di coloro che erano stati suoi nemici prima di essere adottato e di divenire poi Augusto: «Di quelli che aveva considerato suoi nemici quando era ancora un privato, non si dette più pensiero una volta divenuto imperatore, al punto di dire a uno di loro, in precedenza considerato nemico mortale: ‘l’hai scampata alla grande’». Tuttavia, almeno secondo Mario Massimo, la sua clemenza non era altro che pura finzione, per mascherare la sua natura crudele, e non subire così la stessa fine di Domiziano, notoriamente ucciso in una congiura di palazzo5.
Per Adriano il vero problema dovette porsi con tutta la sua forza quando l’Augusto ormai anziano si sentì vicino alla morte, che lo avrebbe colto in effetti nella sua sontuosissima villa di Tivoli nel 138. Quindi già nel 136 pensò a chi dovesse designare come suo successore e la scelta cadde sul giovane Ceionio Commodo, genero di quell’Avidio Cassio Nigrino che Traiano avrebbe voluto come suo successore e che Adriano aveva provveduto a far assassinare. A questo punto Ceionio Commodo prese il nome, in quanto adottato, di Elio Vero Cesare. Sempre secondo l’Historia Augusta, che anche qui ha molto probabilmente come suo principale, se non unico, ispiratore ancora una volta Mario Massimo, la scelta di Ceionio Commodo come proprio successore sarebbe stata dovuta solo ed esclusivamente alla sua grande bellezza e pertanto al grande fascino seduttivo – se ne deve dedurre – che lo stesso Ceionio Commodo non avrebbe mancato di esercitare sull’ormai vecchio Augusto. Prima Adriano gli fece concedere la pretura, poi il rango di console, quindi il governatorato delle Pannonie, evidentemente da parte del senato. Colui che ora aveva preso il nome di Elio Vero Cesare fu console per la seconda volta l’anno seguente, nel 1376.
Non è un caso che l’adozione di Ceionio Commodo sia stata compiuta da parte di Adriano solo dopo la morte di Vibia Sabina, la moglie di Adriano, con l’accenno, ancora una volta nella stessa Historia Augusta, a un presunto (quanto evidentemente falso) avvelenamento di Sabina da parte del marito e a un rapporto, almeno implicito, di consequenzialità diretta tra l’adozione di Ceionio Commodo e la morte della stessa Sabina7. Avanzando un’ipotesi tanto ingegnosa quanto abbastanza incredibile, Jérôme Carcopino ha sostenuto a suo tempo che Ceionio Commodo fosse un figlio bastardo di Adriano, che lo stesso Adriano avrebbe avuto da Plautia, una sua amante del passato, e che appunto per questo motivo il marito, Gaio Avidio Nigrino, sarebbe stato condannato a morte dall’Augusto. Contro questa ipotesi non sono mancate tuttavia anche critiche severissime, soprattutto da parte di Hans-Georg Pflaum. Da insigne prosopografo qual era, Pflaum non mancava invece di addurre come cause, almeno a suo avviso determinanti, dell’adozione, da un lato l’appartenenza di Ceionio Commodo, o piuttosto della sua famiglia, alla potentissima lobby costituita in senato dagli stessi Ceionii, dai Vettuleni, dagli Avidii e dai Plautii, dall’altro lato – e in questo caso il motivo da lui addotto non tarda ad apparire anch’esso paradossale – la notoria pessima salute di colui che era stato adottato, pessima salute che di fatto avrebbe reso in qualche modo, almeno nelle prospettive di Adriano, lo stesso Ceionio Commodo solo un espediente di transizione, in attesa di una soluzione migliore, quella che sarà poi costituita dall’adozione di Antonino Pio8.
Se l’ipotesi che Adriano abbia adottato Ceionio Commodo proprio perché sapeva che non gli sarebbe sopravvissuto può definirsi decisamente almeno singolare, tuttavia va osservato che anche l’adozione di Antonino fu predisposta dallo stesso Adriano in una maniera tanto caratteristica quanto categorica, imponendo ad Antonino coloro che avrebbero dovuto succedergli. Antonino infatti a sua volta avrebbe dovuto adottare in primo luogo il figlio di Ceionio Commodo, Marco Annio Vero, e in secondo luogo Marco Aurelio, figlio di un altro Annio Vero, pronipote a sua volta di Rupilia Faustina, una delle figlie di Matidia Maggiore, nipote di Traiano. Inoltre lo stesso Antonino avrebbe dovuto promettere in sposa sua figlia Faustina a Marco Annio Vero (che aveva appena sette anni), mentre Marco Aurelio avrebbe dovuto fidanzarsi con una sorella del suo fratello per adozione9.
Tuttavia anche il mite Antonino Pio, tanto mite e tanto religioso da poter essere addirittura paragonato, sempre secondo l’Historia Augusta, al religiosissimo re Numa Pompilio, il successore del «bellicoso» Romolo, non esitò neppure un istante, subito dopo la morte del suo predecessore – e si trattò di un gesto di grande autonomia che non può essere in alcun modo sottovalutato – a infrangere le disposizioni che Adriano gli aveva imposto al momento della sua adozione in merito ai matrimoni dei suoi successori. Antonino in effetti dette in moglie sua figlia Faustina a Marco Aurelio, evidentemente il figlio adottivo da lui prediletto, anziché a Marco Annio Vero (come aveva disposto Adriano), mentre invece solo molto più tardi Marco Annio Vero, in altri termini Lucio Vero, avrebbe sposato Lucilla, una figlia dello stesso Marco Aurelio10. Com’è noto, l’Historia Augusta proponeva da parte sua diverse versioni del cognomen Pius che il senato attribuì ad Antonino: il buon Augusto avrebbe ricevuto un simile appellativo o per aver sorretto suo suocero debole per l’età in presenza del senato, o per aver spesso salvato la vita a senatori che Adriano, mentre era malato, avrebbe voluto che fossero messi a morte, o infine perché, dopo la morte di Adriano, mentre tutti i senatori sarebbero stati contrari, gli avrebbe fatto comunque decretare la consecratio (l’apoteosi) e dunque lo stesso Adriano, grazie appunto ad Antonino Pio, sarebbe asceso anch’egli nel novero dei divi11.
Però – come si è già visto – anche il mite Antonino Pio poteva avere idee diverse da Adriano per quanto riguardava la sua successione, con un capovolgimento di fatto delle istruzioni che il suo predecessore gli aveva imposto al momento della sua adozione e anteponendo dunque Marco Aurelio a Lucio Vero, il figlio dello scomparso Elio Cesare. Se ne deve dedurre pertanto che lo stesso Antonino Pio poteva far mostra all’evenienza di grande fermezza, come dimostrò anche e forse soprattutto a proposito della sua politica estera. Per quanto riguarda le sue attitudini rispetto alle scelte di Adriano, Hans-Georg Pflaum ha potuto pertanto chiedersi (e chiederci): «Comment Hadrian aurait-il pu se douter que le respect de sa propre mémoire conduirait le nouveau prince à s’interdire tout mouvement qu’il fût?»12.
A differenza dei grandi e prolungati viaggi di Adriano, Antonino Pio non lasciò mai Roma, a parte gli spostamenti per le sue ville che sorgevano nelle vicinanze della città (in particolare quella di Lorium, poi lasciata in eredità a Marco Aurelio) o al di là, nella vicinissima Campania, soprattutto per non gravare di spese eccessive gli abitanti dei territori (anche quelli delle province) che avrebbe necessariamente attraversato con i suoi accompagnatori (il comitatus) e all’evenienza, se si fosse trattato di una campagna militare, con un esercito al loro seguito13. Tuttavia, a differenza delle grandi campagne di conquista di Traiano, come il suo predecessore, ma sempre da Roma, preferì risolvere le divergenze, in primo luogo i contrasti endemici che contrapponevano l’impero dei Romani a quello dei Parti, con il ricorso a trattative diplomatiche. Però rifiutò decisamente, come già aveva fatto Adriano, nonostante le ripetute richieste del re dei Parti, di restituire il trono regale che Traiano aveva portato a Roma come spoglia di guerra. Il re degli Iberi, Farasmane, venne fino a Roma per vedere Antonino Pio, dimostrandosi molto più deferente verso di lui di quanto non lo fosse stato nei confronti di Adriano. Fu sempre Antonino a dare un re, Pacoro, ai Lazi, un popolo della Colchide; rese a Farasmane il regno del Bosforo, mettendo fine così alle controversie che lo opponevano da lungo tempo a Eupatore, forse un figlio del suo predecessore. Mandò un esercito nel Ponto per proteggere gli abitanti di Olbiopoli, sul mar Nero, dai Taurisci che l’avevano attaccata e il suo legato li sconfisse così duramente che gli stessi Taurisci dovettero dare ostaggi agli abitanti di Olbiopoli, in modo tale che l’Historia Augusta poteva sostenere che «nessuno ebbe maggior prestigio di lui presso i popoli stranieri, dal momento che egli amava costantemente la pace, fino al punto di citare sempre una frase di Scipione che diceva di preferire salvare un solo cittadino che uccidere molti nemici»14.
Per talune sue attitudini Antonino Pio proseguì in politica estera come di necessità quella che era stata la politica del suo predecessore. Se Adriano aveva avuto la determinazione più ferma che l’impero dei Romani – e dunque la stessa civiltà ellenistico-romana – fosse nettamente separato da quello dei barbari incivili e, a difesa appunto della civiltà ellenistico-romana, in Britannia aveva addirittura costruito un muro separatorio (il vallo di Adriano: quasi una sorta di «grande muraglia»), a sua volta Antonino Pio da un lato si premurò di conoscere «alla perfezione i conti di tutte le province e delle tasse», quelle imposte che le province evidentemente erano tenute a versare all’erario del popolo romano, d’altro lato fece condurre campagne militari attraverso suoi legati: «Condusse numerose guerre attraverso suoi legati. Così vinse i Britanni grazie al legato Lollio Urbico e, quando i barbari furono respinti, fece costruire un secondo muro con zolle d’erba, costrinse i Mauri a chiedere la pace e grazie all’intervento dei governatori e dei legati sconfisse Germani e Daci, molti altri popoli e i Giudei che si erano ribellati. Anche in Grecia e in Egitto represse alcune rivolte. Spesso frenò anche i tentativi degli Alani», quei tentativi endemici messi in atto dai barbari del Settentrione volti a superare i confini dell’impero, oltrepassando – com’è chiaro – in questo caso il Danubio15. Dunque, pur restando sempre a Roma – è molto improbabile, o addirittura da escludersi, un suo viaggio in Egitto, come è stato ipotizzato, ma con alcune riserve, da Joseph Mélèze-Modrzejewski –, evidentemente il principe dovette rivolgere particolare attenzione all’Egitto, provincia mai completamente pacificata, come dimostrerà più tardi la rivolta bucolica sotto Marco Aurelio e come sostiene sempre l’Historia Augusta a proposito delle stesse caratteristiche degli Egizi, sempre pronti a turbolenze o a rivolte vere e proprie16.
Sul lunghissimo impero di Antonino Pio, che regnò dal 138 al 161, possiamo dunque concludere. Se Santo Mazzarino ha potuto parlare di un «impero ‘umanistico’» a proposito di Adriano, di Antonino Pio e di Marco Aurelio, evidentemente all’interno di questo «impero ‘umanistico’» è tanto necessario quanto doveroso mettere in luce differenze anche di notevole rilievo. In primo luogo, Antonino non esitò a infrangere i progetti di successione dinastica, così come Adriano glieli aveva imposti al momento della sua stessa adozione; in secondo luogo, come vedremo, dopo la grande tolleranza nei confronti dei Cristiani da parte tanto di Adriano quanto di Antonino Pio, si assisterà con Marco Aurelio a una ripresa – e una ripresa questa volta di durissime proporzioni – delle persecuzioni nei confronti di quanti non esitavano a proclamarsi, addirittura autodenunciandosi, come fedeli di Cristo17.
1 Per le incertezze dello stesso Traiano a proposito del suo successore vedi supra, p. 43 con nota 14.
2 Vedi a questo proposito supra, p. 43; per la messa a morte dei quattro consolari cfr. supra, p. 41 con nota 11.
3 Vedi rispettivamente H.A., Hadr. 6,2: Cum ad senatum scriberet, veniam petit, quod de imperio suo iudicium senatui non dedisset, salutatus scilicet praepropere a militibus imperator, quod esse res publica sine imperatore non posset.
4 Vedi a questo proposito H.A., Hadr. 5,5-6: Tantum autem statim clementiae studium habuit ut, cum sub primis imperii diebus ab Attiano per epistolas esset admonitus, ut et Baebius Macer, praefectus urbis, si reniteretur eius impero, necaretur et Laberius Maximus, qui suspectus imperio in insula exulabat, et Frugi Crassus, neminem laederet; quamvis Crassum postea procurator egressum insula, quasi res novas moliretur, iniussu eius occiderit («Del resto si mostrò subito incline alla clemenza. In effetti, benché Attiano lo avesse ammonito con lettere a mettere a morte il prefetto urbano Bebio Macro se accettava di malanimo la sua accessione al trono, e Laberio Massimo che, sospettato di aspirare all’impero, era stato allora esiliato su un’isola, come anche Frugi Crasso, egli non infierì contro nessuno di costoro; è vero che in seguito un procuratore fece uccidere Crasso perché aveva lasciato l’isola come per ordire un complotto, ma senza che Adriano ne avesse dato l’ordine»).
5 Vedi H.A., Hadr. 15,2-9: Idem tamen facile de amicis, quidquid insussurabatur, audivit atque ideo prope cunctos vel amicissimos vel eos, quos summis honoribus evexit, postea ut hostium loco habuit, ut Attianum et Nepotem et Septicium Clarum. Nam Eudaemonem prius conscium imperii ad egestatem perduxit, Polyaenum et Marcellum ad mortem voluntariam coegit, Heliodorum famosissimis litteris lacessivit, Titianum, ut conscium tyrannidis et argui passus est et proscribi. Ummidium Quadratum et Catilium Severum et Turbonem graviter insecutus est. Servianum, sororis virum nonagesimum iam annum egentem, ne sibi superviveret, mori coegit; libertos denique et nonnullos milites insectatus est («Tuttavia prestava facilmente ascolto a tutto quanto si sussurrava sui suoi amici e appunto per questo finì per considerare nemici tutti i suoi amici più intimi, anche quelli che aveva elevato agli onori più alti, come Attiano, Nepote e Setticio Claro. Così ridusse in miseria Eudemone, che prima era stato suo uomo di fiducia nel comando. Costrinse a suicidarsi Polieno e Marcello, fece a pezzi Eliodoro con lettere estremamente diffamatorie, lasciò che Tiziano fosse accusato e proscritto come se fosse stato al corrente di un tentativo di usurpazione, perseguitò pesantemente Ummidio Quadrato, Catilio Severo e Turbone. Obbligò al suicidio Serviano, che era il marito di sua sorella, perché non gli sopravvivesse; perseguitò infine perfino i liberti e alcuni soldati»). Vedi al riguardo R. Syme, Antonines Relatives: Ceionii and Vettuleni, in «Athenaeum», 35, 1957, pp. 315 sgg.; quindi Id., Roman Papers, I, Oxford 1983, pp. 325 sgg.; H.-G. Pflaum, Le règlement successoral d’Hadrien cit., pp. 95 sg.; Id., Les personnages nommément cités par les «Vita Aelii» et «Vita Avidii Cassii» de l’«H.A.», in BHAC 1972/1973, Bonn 1976, pp. 189 sgg.; G. Valera, Una tradizione Ceionia nella «H.A.», in «RAAN», 48, 1973, pp. 135 sgg. Per l’Eliodoro ricordato in questo passo e la sua identificazione con l’Avidio Eliodoro poi prefetto d’Egitto sotto Antonino Pio e padre di Avidio Cassio, vedi infra, p. 149 con nota 2. Per le sue battute di spirito, abbastanza macabre, contro i nemici del passato vedi ivi, 17,1: Quos in privata vita inimicos habuit, imperator tantum neglexit, ita ut uni, quem capitalem habuerat, factus imperator diceret «evasisti»; per il giudizio di Mario Massimo ivi, 20,3: Marius Maximus dicit eum natura crudelem fuisse et idcirco multa pie fecisset, quod timeret, ne sibi idem, quod Domitiano accidit, eveniret («Mario Massimo sostiene che la sua natura fosse crudele e che pertanto, se dava prova di mitezza, lo faceva solo perché non gli capitasse quanto era successo a Domiziano»).
6 H.A., Hadr. 23,10-3: Tunc Ceionium Commodum, Nigrini generum insidiatoris quondam, sibi forma commendatum adoptare constituit. Adoptavit ergo Ceionium Commodum Verum invitis omnibus eumque Aelium Verum Caesarem appellavit. [...] Quem praetura honoravit ac statim in Pannoniam inposuit decreto consulatu cum sumptibus. Eundem Commodum secundo consulem designavit («Decise allora di adottare Ceionio Commodo, genero dell’antico cospiratore Nigrino, ma che si raccomandava per la sua bellezza. Adottò dunque Ceionio Commodo Vero rendendo tutti scontenti e gli diede il nome di Elio Vero Cesare. [...] Onorò Commodo con la pretura e lo mise subito a capo delle Pannonie conferendogli il titolo di console e i crediti necessari. Lo designò anche console per la seconda volta»). Su Ceionio Commodo, poi Elio Cesare, vedi E. Hohl, Über der Glaubwürdigkeit der H.A., in «Sitzungsber. der Akad. Berlin, Klasse für Gesellschaftswissenschaften», 2, 1953, pp. 33 sgg. Sulla sua carriera, parzialmente diversa quanto alla pretura da quella presente nella Historia Augusta, vedi P. von Rohden, RE III 2, 1899, col. 1857; PIR II2, p. 136, n. 604. Anche Marguerite Yourcenar, evidentemente attenta lettrice, come dichiarava ella stessa, tanto della Historia Augusta quanto dei frammenti di Cassio Dione, faceva cenno nelle sue Memorie di Adriano alla grande bellezza di Ceionio Commodo, ma attribuendo al suo vecchio e ormai disincantato protagonista (appunto Adriano) un giudizio assolutamente opposto a quello della Historia Augusta: infatti l’Adriano di Marguerite Yourcenar rifiuterebbe con sdegno, misto a una qualche ironia, la sola idea che il successore di un impero come quello dei Romani potesse essere scelto solo in base alla sua avvenenza.
7 Vedi a questo proposito H.A., Hadr. 23,9-10: Quando quidem etiam Sabina uxor non sine fabula veneni dati ab Hadriano defuncta est. Tunc Ceionium Commodum [...] adoptare constituit («Così anche quando sua moglie Sabina morì, si sparse la voce che essa fosse stata avvelenata da Adriano. Decise allora di adottare Ceionio Commodo [...]).
8 J. Carcopino, L’hérédité dinastique chez les Antonins cit., pp. 262 sgg.; quindi Id., Passion et politique chez les Césars cit., pp. 143 sgg., con le critiche radicali di H.-G. Pflaum, Le règlement successoral d’Hadrien cit., pp. 95 sg. Cfr. anche P. Grenade, Le règlement successoral d’Hadrien cit., pp. 258 sgg.; R. Etienne, Les sénateurs espagnols sous Trajan et Hadrian, in Les empereurs romains d’Espagne, Paris 1965, pp. 55-87; in seguito Birley, 1966, pp. 45-46 e A. Chastagnol, Histoire Auguste cit., pp. 63-64.
9 Per le disposizioni testamentarie di Adriano relative ad Antonino Pio e ai propri successori che avrebbe dovuto adottare come figli, vedi supra, p. 44 con nota 15. Per il fidanzamento, voluto sempre da Adriano, di Marco Aurelio con Ceionia Fabia, che tuttavia non sposò mai, vedi ancora supra, p. 44 con nota 15.
10 Vedi H.A., Ant. Pius 10,2: Nuptias filiae suae Faustinae, cum Marco Antonino eam coniungeret, usque ac donativum militum celeberrimas fecit («Quando dette in moglie sua figlia Faustina a Marco Antonino, festeggiò le nozze in presenza di una grandissima folla, fino a dare un donativo ai soldati»). Per il matrimonio di Lucio Vero con Lucilla H.A., Ver. 2,2-3: A quo Aurelio datus est adoptandus, cum sibi ille Pium filium, Marcum nepotem esse voluisset posteritati satis providens, et ea quidem lege, ut filiam Pii Verum acciperet, quae data est Marco idcirco, quia hic adhoc impar videbatur aetate, ut in Marci vita exposuimus («Quest’ultimo [Adriano] lo fece adottare da Aurelio [Antonino Pio] dopo aver deciso, per assicurare la sua successione, che Pio sarebbe stato suo figlio e Marco suo nipote, a condizione però che Vero sposasse la figlia di Pio. Ma, come abbiamo visto nella ‘Vita di Marco’, essa fu data in sposa a Marco poiché Vero sembrava allora troppo giovane»). Per il confronto di Antonino Pio con Numa H.A., Ant. Pius 13,4: qui rite Numae compararetur, cuius felicitatem, pietatemque, cerimoniasque semper obtinuit («il quale [Antonino Pio] a giusto titolo era paragonato a Numa, con cui ebbe sempre in comune la felicità, la pietà, la tranquillità e il rispetto della religione»).
11 Vedi H.A., Ant. Pius 2,3-6: Pius cognominatus est a senatu, vel quod soceri fessi iam aetate manu praesente senatu levaret – quod quidem non satis magnae pietatis est argumentum, cum impius sit magis, qui ista non faciat, quam pius qui debitum reddat – vel quod eos, quos Hadrianus per malam valetudinem occidi iusserat, reservavit, vel quod Hadriano contra omnium studia post mortem infinitos atque immensos honores decrevit, vel quod cum se Hadrianus interimere vellet, ingenti custodia et diligentia fecit, ne id posse admittere («Fu chiamato Pio dal senato o perché, in presenza del senato, aveva prestato una mano soccorrevole al suocero debole per l’età – ciò che tuttavia non è prova di grande pietà, dal momento che è non pio chi non lo faccia piuttosto che pio chi fa il suo dovere –, o perché avrebbe fatto sì che fossero risparmiati coloro che Adriano durante la sua malattia avrebbe voluto che fossero uccisi, sia perché contro la volontà di tutti aveva conferito ad Adriano onori infiniti e immensi, sia perché, quando Adriano voleva suicidarsi, era riuscito a impedirlo con vigilanza ed estrema custodia»). Cfr. anche H.A., Ant. Pius 5,1: Sed Hadriano apud Baias mortuo reliquias eius Romam pervexit sancte ac reverenter atque in hortis Domitiae conlocavit, etiam repugnantibus cunctis inter divos eum rettulit («Ma, quando Adriano morì presso Baia, collocò i suoi resti nei giardini di Domizia e, nonostante che tutti si opponessero, lo fece annoverare tra i divi»). Sulle difficoltà incontrate da Antonino Pio alla circostanza che Adriano fosse annoverato tra i divi, per esempio G. Clemente, La riorganizzazione politico-istituzionale da Antonino a Commodo, in Storia di Roma, diretta da A. Schiavone, 2.II. I principi e il mondo, Torino 1991, p. 630. Sugli horti Domitiae vedi P. Liverani in LTUR III, 1996, pp. 58-59. Il fatto che il corpo (o, piuttosto, le ceneri) di Adriano fosse deposto in un primo tempo negli horti Domitiae trova spiegazione evidentemente nel fatto che il grandioso Mausoleo, destinato ad accogliere non solo gli Antonini ma poi anche altri imperatori a partire dai Severi, era ancora incompiuto; esso infatti fu dedicato da Antonino Pio nel 145: M. Cipollone, in LTUR III, 1996, pp. 7-8. Sul carattere dinastico acquisito in seguito non solo per gli Antonini, ma anche appunto per la dinastia dei Severi (da quando Settimio Severo aveva introdotto suo figlio Caracalla tra gli Antonini: cfr. infra, pp. 228-29 con nota 28), vedi soprattutto S. Mazzarino, 1984, I, pp. 273-74.
12 H.-G. Pflaum, Tendances politiques et administratives du IIe siècle de notre ère, in «REL», 42, 1964, pp. 112-21.
13 Vedi in effetti H.A., Ant. Pius 7,11: Nec ullas expeditiones obiit, nisi ad agros suos profectus est et ad Campaniam dicens gravem esse provincialibus comitatum principis, etiam nimis parci («Non intraprese nessun viaggio, se non per recarsi nelle sue terre o in Campania, dicendo che l’accompagnamento di un principe, anche del più parco, era gravoso per i provinciali»). Per la militaris annona, introdotta invece da Marco Aurelio, vedi infra, pp. 204 sgg.
14 Per la politica estera di Antonino Pio vedi H.A., Ant. Pius 9,6-9. Più in particolare per il suo prestigio, ivi, 10: Tantum sane auctoritatis apud exteras gentes nemo habuit, cum semper amaverit pacem, eo usque ut Scipionis sententiam frequentarit, qua ille dicebat malle se unum civem servare quam mille hostes occidere.
15 Vedi rispettivamente H.A., Ant. Pius 7,8 (Rationes omnium provinciarum adprime scivit et vectigalium) e 5,4-5 (Per legatos suos plurima bella gessit. Nam et Brittanos per Lollium Urbicum vicit legatum alio muro cespiticio summotis barbaris ducto et Mauros ad pacem postulandam coegit et Germanos et Dacos et multas gentes atque Iudeos rebellantes contudit per praesides et legatos. In Achaia etiam atque <apud> Aegyptum rebelliones repressit. Alanos molientis saepe refrenavit). Sul vallo di Antonino Pio vedi già E. Demougeot, La formation de l’Europe et les invasions barbares, I. Dès origines germaines à l’avènement de Dioclétien, Paris 1969, pp. 200-3 e 240-41; J.P. Gilliam, The Frontier after Hadrian: A History of the Problem, in «ArchAel», s. 5, 2, 1974, pp. 15 sgg.; A.S. Robertson, The Antonine Wall, London 19795; Id., The Antonine Wall: A Handbook to the Surviving Remains (ed. rivista da L. Keppie), Glasgow 1990. Sulla rivolta dei Mauri Cl. Lepelley, L’Afrique, in Id. (a cura di), Rome et l’intégration de l’Empire. 44 av. J.-C. - 260 apr. J.-C., II, Paris 1998, p. 108. Sulla rivolta giudaica G. Firpo, I Giudei, in Storia di Roma, 2.II. I principi e il mondo cit., p. 530.
16 Vedi J. Mélèze-Modrzejewski, L’Égypte, in Cl. Lepelley (a cura di), Rome et l’intégration de l’Empire cit., p. 449. Sulla rivolta bucolica nell’età di Marco vedi infra, p. 170. Sulle caratteristiche attribuite agli Egizi sempre dall’Historia Augusta vedi infra, p. 150 nota 3.
17 S. Mazzarino, 1984, I, pp. 316 sgg. Per le differenze nelle attitudini verso i Cristiani tra Adriano e Antonino Pio da un lato, Marco Aurelio dall’altro, vedi infra, pp. 93 sgg.