Una cosa ci offendeva nella Befana, e cioè che fosse una signora tanto spilorcia. Quando, ubriachi di sogni, le scrivevamo una lettera piena di affettuosa diplomazia chiedendole, per esempio, un’automobile capace di contenere tutti noi fratelli e di portarci a spasso per casa, la vecchia fingeva di non capire. E dal suo pingue sacco lasciava cadere un piccolo autoveicolo, delle dimensioni della nostra mano, con la carica che funzionava male e un autista alto due centimetri, dall’aspetto idiota, il quale inoltre si poteva guardare solo di profilo perché era fatto di due pezzi, e, visto di faccia, mostrava il taglio divisorio. A mezzo di nostra madre, che ci faceva da messaggera presso quel mondo di spiriti, noi facevamo pervenire alla vecchia le nostre proteste; ma la Befana ci mandava a dire che le spiaceva tanto. L’automobile da noi descritta costava trecento lire, e dalle verifiche d’amministrazione risultava che la signora nostra madre aveva spedito per le spese un modesto assegno di cinque lire. Per ricevere la macchina richiesta, ci compiacessimo dunque di favorire le restanti lire 295. «Ma dunque è una vecchia venale! – pensavamo sdegnati. – È una volgare bottegaia, è una speculatrice!» Bei discorsi da farsi a noi! ma allora, se si doveva pagare, tanto valeva andare alla bottega di Bianchelli. E meditavamo, per far dispetto alla vecchia e lederla nelle sue mire interessate, di essere pessimi, cosí da costringerla a darci solo il carbone che costa poco e, almeno, serve a cuocere gli spaghetti. Invece le automobili che ci mandava lei non servivano nemmeno a portare a spasso le formiche.

Sapevamo bene che, a causa delle complicate gerarchie celesti, non avremmo mai potuto accostare la vecchia direttamente; ma da un suo ritratto del libro dei racconti, in cui ella appariva secca e spilungona, con occhi vivi e piccolo naso a becco, si deduceva benissimo la sua natura spilorcia e superba. Papà Natale invece, ritratto in altra pagina, ci conquistò col suo viso rosso e bonario e la cordiale pinguedine. Allora decidemmo di non servirci piú per i nostri acquisti presso la Ditta della Befana diventando invece clienti di Papà Natale; e celebrammo tale defezione con rito significativo, e cioè col grido di «Abbasso la Befana!» seguito dal lancio di uno sputo. Scrivemmo quindi a Papà Natale una elaboratissima lettera nella quale astutamente stuzzicavamo il suo spirito di concorrenza e spiegandogli che il suo fascino e la sua beltà ci avevano spinto a preferirlo gli chiedevamo doni ricchissimi, quali veri cannoni e carri armati e, da parte mia, una bambola di statura umana, vestita alla scozzese, adorna di una collana di perle, e capace di dire papà e mammà.

Il mattino della festa, il mio fratello minore assicurò di avere udito nella notte non piú, come gli anni scorsi, la voce della Befana, chioccia e fina come uno spillo; ma un vocione forte come quello di un bue, benevolmente grasso e festoso. Questa notizia ci elettrizzò, e fra gridi entusiastici corremmo alla tavola dei doni. Ma qui dovevamo persuaderci che l’ingannevole vecchio non era meno avaro della sua concorrente: vicino a tre o quattro cannoncini di stagno, non piú lunghi di un dito mignolo, sedeva la mia bambola scozzese. Non era tanto piccola, ma il mio occhio esperto e sprezzante vide subito che era stata comperata sui carrettini. Lungi dal dire papà e mammà emetteva, a comprimerla sulla pancia, un ambiguo miagolio. Quanto all’abito scozzese, molto ben fatto a dire il vero, mi parve di riconoscere in esso, con sommo stupore, la stessa stoffa di un vecchio vestito di mia madre. Il vecchio utilizzava dunque per le sue strenne gli stracci della famiglia. E la collana, composta con arte in triplice giro e adorna di una medaglietta argentata, era però fatta di quelle perline di vetro che costano dieci un soldo.

– È una vera camorra! – esclamammo delusi, ripetendo la frase prediletta di nostro padre. Ed io, presa la bambola e sollevatale con rabbia la veste, la bastonai. Poi la buttai sotto il divano fra polvere e ragnatele. Allora mia madre andò a raccoglierla e le rassettò il vestito dicendo che era bellissima; e nel dir questo la sua piccola bocca tremava, come a chi sta per piangere.