VIII.
Il mattino dopo, lady Shuttleworth, la più affaccendata e fiduciosa tra le donne, stava affrontando la colazione e la corrispondenza con il metodo e la rapidità di sempre, quando si vide consegnare da un domestico uno di quei foglietti del taccuino di Fritzing adibiti a biglietti da visita.
Mentre la madre lo credeva occupato a consumare il suo cibo di primissima scelta, Tussie sedeva accasciato e triste al capo opposto della tavola, dopo una notte passata a rigirarsi nel letto, una notte né di vero sonno né di totale veglia e, riparato da una serie di piatti da portata sotto cui bruciavano le lampade a spirito, lavorava con aria sconfortata a un sonetto ispirato alla ragazza incontrata il giorno prima.
L’ispirazione però languiva, e la musa si rifiutava di andare oltre il quarto verso; ed egli cominciava a sentirsi incapace di trattenere colleriche invettive ai vincoli che la metrica del sonetto impone ai poeti che amano stare sul vago, invettive che avrebbero richiamato l’attenzione della madre e sarebbero sfociate nell’obbligo di leggerle quanto scritto – la donna continuava imperterrita a simulare un vivace interesse per i suoi stillicidi poetici – quando entrò il domestico portando il foglietto di Fritzing.
«Un signore chiede di vedervi per motivi d’affari, milady» annunciò l’uomo.
«Mr Neumann-Schultz» lesse a voce alta lady Shuttleworth con aria interrogativa. «Non ho idea di chi sia. Da dove arriva?»
«Baker’s Farm, milady».
Nell’udire quel magico nome la testa di Tussie si levò di scatto.
«Che si rivolga a Mr Dawson» ordinò lady Shuttleworth.
Il domestico si dileguò.
«Perché lo mandi via, mamma?» chiese Tussie.
«Sai bene che tutto deve passare attraverso Dawson» rispose lady Shuttleworth prima di ributtarsi sulla corrispondenza. «Altrimenti per me sarebbe la fine».
«A quanto pare è lui lo straniero infiltrato. Non è tedesco?»
«Sì, a giudicare dal nome. Dawson lo tratterà con ogni riguardo».
«Dawson è un animale, temo, quando non lo controlli».
«Ma caro, io controllo sempre».
«Quel tizio deve essere un pensionante dei Pearce».
«Pover’uomo. In tal caso mi dispiace per lui. Non esiste donna più indolente...»
«Milady, quel signore dice» la interruppe il domestico ricomparendo con espressione sbalordita, «che desidera parlare proprio con voi».
«James, non ti ho forse detto di mandarlo da Mr Dawson?»
«Gli ho riferito il messaggio, milady. Ma il signore dice che è già stato da Mr Dawson, e che...» e qui il valletto diede qualche lieve colpetto di tosse, «non vuole vederlo mai più, milady».
Lady Shuttleworth inforcò gli occhiali e fissò il domestico. «Santo cielo, che sangue freddo» commentò; e il valletto, con lo sguardo fisso su un rispettoso punto appena sopra la testa della padrona, rifletté su quanto quelle parole fossero inadatte per descrivere l’accalorato gentiluomo in attesa alla porta.
«Vuoi che lo riceva io al tuo posto, mamma?» si offrì Tussie prontamente.
«Tu?» domandò la madre sbalordita.
«Sai che me la cavo bene col tedesco. Forse non sa parlare bene l’inglese» e qui il valletto trasalì, «ed evidentemente non è riuscito a spiegarsi con Dawson. Probabilmente vuole che tu lo difenda dagli attacchi degli scarafaggi della vecchia Pearce. Comunque sia, considerato che è uno straniero, mi sembra un gesto di cortesia riceverlo».
Lady Shuttleworth era stupefatta. Che Tussie avesse finalmente deciso di voltar pagina, ora che stava per diventare maggiorenne, e di interessarsi a cose più redditizie della composizione poetica?
«Mio caro» rispose commossa, «se lo reputi un gesto di cortesia allora riceviamolo. Ci penso io, tu non hai ancora fatto colazione. Fallo accomodare in biblioteca, James». Radunò le lettere e uscì dalla stanza – non faceva mai attendere le persone – e nel superare Tussie gli posò la mano teneramente sulla spalla per lo spazio di un istante. «Se scopro che non riusciamo a intenderci ti manderò a chiamare» gli disse.
Tussie ripiegò il sonetto e se lo cacciò in tasca. Poi ingoiò qualche cucchiaiata di una sostanza che avrebbe dovuto garantirgli buon sangue, muscoli possenti e un’intelligenza di prim’ordine; aprì un giornale e passò distrattamente in rassegna il contenuto; si avvicinò al camino e si scaldò i piedi; gironzolò intorno al tavolo per qualche minuto senza uno scopo preciso; infine, mezz’ora dopo, non vedendo tornare la madre, la situazione gli divenne insostenibile e si diresse a passo di marcia in biblioteca.
«Sto cercando le sigarette» disse Tussie, e nel raggiungere la mensola sopra il camino gettò un’occhiata di viva curiosità in direzione di Fritzing.
Fritzing si alzò e si produsse in un cerimonioso inchino. Lady Shuttleworth sedeva su una sedia dallo schienale alto, i gomiti appoggiati ai braccioli, le punte delle dieci dita meticolosamente unite. Sembrava molto arrabbiata; eppure nei suoi occhi brillava una scintilla di qualcosa molto simile all’ilarità.
Dopo l’inchino, Fritzing riprese posto con le movenze elaborate di chi abbia ogni intenzione di trattenersi a lungo. Durante il tragitto a piedi dalla fattoria si era ripromesso di far mostra della massima affabilità e pazienza, unite a una determinazione che nulla avrebbe potuto scalfire. Vero, all’ingresso era stato indotto alla petulanza dalla faccia ottusa e dalle esternazioni di quel James, il valletto, ma durante il tempo passato da solo con lady Shuttleworth sapeva di essersi comportato con tatto e compostezza.
Tussie gli offrì una sigaretta.
«Mio caro Tussie» intervenne rapida la madre, «non vogliamo trattenere oltre Mr Neumann-Schultz. Il suo tempo, ne sono certa, è prezioso quanto il nostro».
«Signora, nulla che io possieda potrebbe mai avere lo stesso valore di qualcosa di vostro» ribatté Fritzing con estrema cortesia, assestandosi ancor più comodamente sulla sedia.
Lady Shuttleworth sgranò gli occhi – nell’ultima mezz’ora era già accaduto parecchie volte – poi scoppiò a ridere e si alzò. «Se davvero ne vedete il valore con tanta chiarezza» disse, «allora sono certa non vorrete sottrarne dell’altro».
«No, signora» disse Fritzing costretto a sua volta ad alzarsi. «Come già spiegato, sono venuto da voi nel vostro interesse, o per meglio dire nell’interesse di vostro figlio, che a quanto mi è stato detto raggiungerà tra poco la maggiore età. Immagino che questo giovane gentiluomo sia vostro figlio».
Tussie assentì.
«È dunque lui il proprietario dei cottage».
«Quali cottage?» intervenne subito Tussie. Il suo profondo interesse per Mr Neumann-Schultz era così evidente che la madre non poteva che fissarlo esterrefatta. Suo figlio sembrava letteralmente pendere dalle labbra di quell’individuo bizzarro.
«Mio caro Tussie, Mr Neumann-Schultz ha cercato di convincermi a vendergli i due cottage vicino alla chiesa, e io ho cercato di convincere lui che non ne ho alcuna intenzione».
«E perché no, mamma?» domandò Tussie.
Lady Shuttleworth lo fissò senza parole. «Perché no? Ho mai venduto un cottage?»
«I motivi della vostra stimata genitrice per opporre un rifiuto» spiegò Fritzing, «motivi che mi ha esposto con una concisione insolita in una rappresentante del gentil sesso ma che non posso approvare del tutto, fanno più onore, come c’era da aspettarsi da parte di una signora, al suo cuore che alla sua testa. Ho proposto di costruire due nuove abitazioni per gli occupanti dei cottage a cui la cosa arrecherà disturbo. Ho offerto qualunque cifra, letteralmente qualunque cifra, beninteso nei limiti della ragionevolezza. Saranno perciò i vostri interessi, giovane signore, a risentirne se non riusciremo ad addivenire a un accordo».
«Li volete per voi?» chiese Tussie.
«Sì, signore, per me e per mia nipote».
«Madre, perché ti rifiuti di concludere un affare tutto sommato ben piccolo?»
«Tussie, siamo forse così indigenti?»
«Per quanto mi riguarda» dichiarò Tussie a Fritzing in tono brioso, «potete benissimo prenderveli. Siete il benvenuto».
«Tussie!»
«Ma non valgono più di cinquanta sterline l’uno, e il mio consiglio è di non sborsare più del loro valore. E poi non sono piccolissimi? Non preferireste qualcos’altro?»
«Tussie!»
«Vi dispiace dirmi perché li volete?»
«Ma giovanotto, per abitarci».
«E dove dovrebbero andare a vivere le persone che ci stanno al momento?» chiese lady Shuttleworth furente.
«Signora, vi ho promesso di costruire altri cottage».
«Oh, assurdo. Non voglio vedere sorgere qui in giro quegli orribili villini nuovi di mattoni. In uno dei cottage abita l’anziana Mrs Shaw, così buona e gentile, oltre che sempre pulita e ordinata, e nell’altro il calzolaio, un uomo dai molti meriti, se non fosse per quella sua famiglia tanto numerosa. Non mi va di buttarli fuori».
«Allora spostali nella casa del custode vicino alla porta a nord, che è vuota» suggerì Tussie. «Ne saranno felici».
Adirata, lady Shuttleworth si rivolse a Fritzing; trovava molto irritante l’inspiegabile l’atteggiamento del figlio. «Perché non costruite per voi?» chiese.
«Mia nipote si è messa in cuore di avere quei cottage. Al punto da farmi temere gravi conseguenze per la sua salute nel caso in cui non riuscisse ad averli».
«Insomma, mamma, non vorrai davvero far ammalare la nipote di Mr Neumann-Schultz».
«Mio caro ragazzo, non sarai all’improvviso uscito di senno?»
«No, a meno che non sia necessario per fare una gentilezza».
«Ben detto, giovanotto» approvò Fritzing.
«Tussie, mi sono mai tirata indietro davanti all’occasione di fare una gentilezza?» chiese lady Shuttleworth punta sul vivo.
«Mai. Ed è proprio per questo che non posso lasciare che cominci ora» fu la risposta di Tussie, accompagnata da un sorriso.
«Ben detto, giovanotto» approvò Fritzing. «Fino a una certa età la donna dovrebbe guidare il giovane, ed egli dovrebbe seguirne i consigli con rispetto e obbedienza. A lei però tocca capire quando arriva il momento di deporre l’autorità e cominciare, con opportuna cautela, a seguire colui che ha finora guidato».
«È questo ciò che fa vostra nipote?» ribatté pronta lady Shuttleworth.
«Prego, signora?»
«È lei che segue voi in questi cottage, oppure siete voi che seguite lei?»
«Vi chiedo perdono, signora, ma non sono disposto a parlare di mia nipote».
«Prendete una sigaretta» offrì Tussie deliziato.
«Non fumo mai, giovanotto».
«Qualcosa da bere, allora».
«Non bevo mai, giovanotto».
«Se, in via del tutto ipotetica, decidessi di vendervi quei cottage» riprese lady Shuttleworth, divisa tra lo sbalordimento per ciò che riguardava Fritzing e la totale incredulità per il comportamento del figlio, «dovete capire che lo farei solo perché mio figlio sembra desiderarlo».
«Signora, per quei cottage sono disposto a capire qualunque cosa».
«Primo. Inoltre vorrei delle informazioni sul vostro conto. Non permetterei mai a un estraneo di insediarsi nel cuore della proprietà di mio figlio se non sapessi tutto di lui».
«Insomma, mamma...» fece per dire Tussie.
«Non vi basta che sia disposto a darvi qualunque cifra chiederete?» domandò Fritzing ansioso.
«Neanche per idea» rispose brusca lady Shuttleworth.
«Cosa vorreste sapere, signora?» chiese lui sostenuto.
«Oh, molte cose, ve lo assicuro».
«Via, mamma, queste sono cose che competono a Dawson» la esortò Tussie, a cui la scena risultava penosa. Perché, al di là dell’abbigliamento bizzarro e di quel curioso modo di parlare, l’aspetto dell’uomo non era forse palesemente raffinato e intellettuale? E se anche fosse stato altrimenti, non era pur sempre lo zio di quella divina nipote?
Nell’udire quel nome odioso Fritzing trasecolò e un cipiglio tremendo gli oscurò il volto. A causa delle folte sopracciglia e degli occhi profondamente infossati, i suoi cipigli non mancavano mai di fare una certa impressione. «Dawson, come lo chiamate voi» intervenne, «e convengo che non potrebbe mai rivendicare alcun titolo di cortesia prima del nome, non è persona con cui acconsentirò a trattare alcunché. Dawson è la persona più offensiva che abbia mai calpestato questa terra nelle sembianze di creatura di Dio».
Per lady Shuttleworth questo fu troppo. «Insomma...» cominciò, e allungò una mano in direzione del campanello.
«Non lo dicevo anch’io, mamma?» esclamò Tussie con voce trionfante; e il pensiero che Tussie, il suo caro ragazzo, assecondasse in tutto e per tutto quel pazzo la lasciò completamente sopraffatta. «Lo sapevo che si comportava da animale, quando non controlli. Licenziamolo».
«James, accompagna questo signore alla porta».
«Chiedo scusa, non abbiamo ancora definito...»
«Oh» lo interruppe Tussie, «per i dettagli dell’affare possiamo accordarci tra di noi, non c’è bisogno di disturbare mia madre. Vi accompagno per un pezzo, così potremo parlare. Avete ragione riguardo a Dawson. È uno scandaloso connubio tra brutalità e irragionevolezza». E si diresse svelto nell’atrio per prendere il berretto, canticchiando O cara sconosciuta dal viso dolce e severo, il primo verso del suo sonetto in onore di Priscilla, su un vivace motivetto di sua composizione.
«Là fuori è molto umido, Tussie» esclamò la madre ansiosa correndogli dietro. «Non vorrai davvero uscire con questa orrenda nebbia scozzese? Resta a casa, sarai comunque libero di concludere qualunque accordo ti parrà opportuno».
«Oh, è una bellissima mattina per una passeggiata» rispose Tussie guardandola con aria allegra mentre cercava il berretto, «E il bello sguardo ardente di instancabile pensiero. Andiamo, signore».
Ma Fritzing non aveva intenzione di venir meno alle consuete formalità di saluto.
«Signora, permettetemi di ringraziarvi per la vostra squisita accoglienza» disse quindi profondendosi in un profondo inchino.
«Squisita?» gli fece eco lady Shuttleworth, incapace di trattenersi dal sorridere.
«Sì, signora, e soprattutto paziente».
«Sì, credo anch’io di essere stata piuttosto paziente» convenne lady Shuttleworth sorridendo di nuovo.
«E lasciate anche» riprese Fritzing, «che unisca al mio ringraziamento i più vivi complimenti per questo figliolo eccezionalmente affabile e promettente».
«Suvvia, signore, mi farete diventare vanitoso» disse Tussie nel varco della porta. «Capelli dai divini colori sui quali» canticchiava sempre più garrulo e felice.
D’impulso, lady Shuttleworth allungò la mano. Fritzing la afferrò, vi si chinò sopra e vi depose un bacio pieno di rispetto.
«Sì, un giovanotto eccezionalmente promettente» ripeté; «e vi garantisco che non è mia abitudine dire cose che non penso, signora».
«della grazia quotidiana di Dio si posano gli ultimi bagliori» cinguettò Tussie con aria immensamente divertita.
«Oh, ne sono sicura» affermò lady Shuttleworth con convinzione.
«Non cantate le mie lodi» gli consigliò Tussie. «Mia madre prenderebbe tutto per oro colato».
Ma era felice, si vedeva; davanti a lui, infatti, sua madre e questo zio – uno zio stimabile e da propiziarsi in ogni modo – sembravano contenti e soddisfatti l’uno dell’altra e in apparenza sulla buona strada per diventare ottimi amici.