IX.
La dea giocherellona che aveva fatto fuggire Priscilla e Fritzing da Kunitz in tutta tranquillità continuava a stare al loro fianco. Era stata lei a far salire Priscilla su nella brughiera e a farla imbattere in Augustus Shuttleworth, senza il quale la possibilità di entrare in possesso di un cottage a Symford sarebbe rimasta un sogno irrealizzabile. Era stata lei a mandare i Morrison, padre e figlio, e a far allontanare Priscilla dal cimitero prima che Fritzing la raggiungesse, allontanamento propizio per l’incontro con Augustus. Era stata lei ad avvalersi della futile circostanza del libro dei sermoni smarrito per attirare il parroco e Robin in chiesa fuori dai consueti orari, libro propizio all’incontro con Priscilla al cimitero. È così che il Fato governa ogni nostra azione; e per trascorrere un’ora d’ozio può essere un piacevole passatempo far risalire i grandi eventi alle loro singolari e talvolta assurde origini. Per quanto mi riguarda, so che le linee principali della mia vita furono tracciate senza possibilità di ritorno da... ma cos’ha tutto questo a che fare con Priscilla? È così, dicevo, che il Fato governa ogni nostra azione, e che ama ricorrere a mezzi modesti per raggiungere risultati prodigiosi.
La sorella brutta della gaia dea, signora dallo sguardo sfuggente e dalla fronte corrucciata chiamata da taluni Sfortuna e da tal altri Cattiva Sorte, si serve esattamente degli stessi mezzi per invece funestare le esistenze: con fare meschino prende piccole follie e piccole debolezze, all’inizio così minuscole e perdonabili da essere difficilmente distinguibili dalle piccole virtù, e le usa per costruire una massa enorme che finirà per abbattersi sbriciolando le nostre anime. Ma questa mia storia non tratta della distruzione delle anime, per cui non indugerò su un argomento tanto nefasto.
Noi, che per il momento come Priscilla stiamo accovacciati sotto la calda ala della Buona Sorte, possiamo osare rivolgere ciò che i bambini chiamano le boccacce all’indirizzo di quella grigia sorella che ci supera zoppicando, scura in volto. Forse che un giorno non proveremo a nostra volta il filo dei suoi artigli? Quando ci accadrà, cerchiamo almeno di non trasalire; e colui che nel provarli riuscirà ancora a fare una boccaccia e una sghignazzata sarà come il principe delle fiabe, capace, con il suo coraggio, di trasformare la cattiva megera in fulgida ricompensa e le proprie pene in una lucente pioggia di benedizioni.
Ma mettiamo fine a questa breve incursione nel regno delle meditazioni sterili, nel quale adoro vagabondare e da cui devo di continuo strapparmi a forza, e torniamo alla nostra storia.
Seguendo il suggerimento di Tussie, una volta finita la discussione relativa all’affare – a Tussie ci vollero cinque minuti esatti per vendere i cottage, e a Fritzing per comprarli, cinque minuti della trattativa più inconsistente che si possa immaginare, tanto abissale era l’ignoranza di entrambi su quanto ci si debba aspettare da un cottage – Fritzing partì alla volta di Minehead con il calesse a due ruote del figlio della direttrice dell’ufficio postale per acquistare il mobilio e affidare l’incarico a imbianchini e tappezzieri. Minehead si trova a circa trenta chilometri a nord di Symford, per cui Fritzing non sarebbe stato di ritorno prima di sera. Al suo rientro, promise Tussie, avrebbe trovato il calzolaio e Mrs Shaw trasferiti e sistemati in un luogo assai gradevole che li avrebbe resi felici.
Fritzing adorava Tussie. Ecco un giovanotto che traboccava di nobile premura per il prossimo e per di più con il dono prezioso di non vedere mai difficoltà da nessuna parte. Persino Fritzing, inguaribile ottimista, ne vedeva più di Tussie, e ogniqualvolta esprimeva un dubbio questo subito veniva spazzato via dal più giocondo: «Oh, tutto si sistemerà». Era il giovanotto più pragmatico, efficiente e spontaneo che avesse mai conosciuto. Lo stesso Tussie si sorprese della propria energia e cercando di non pensare per un attimo alla meravigliosa ragazza incontrata nella brughiera, si disse che finalmente il cibo di primissima scelta stava mantenendo le promesse.
Accompagnò Fritzing all’ufficio postale e ordinò il calesse; diffidò il figlio della direttrice, che avrebbe guidato il mezzo, dal lanciarsi a tutta velocità giù per le colline, perché anche solo il pensiero dell’inestimabile zio riportato indietro a pezzi o in condizioni di non totale incolumità e felicità lo faceva sudare freddo; indicò a Fritzing in quali negozi fare acquisti e dove pranzare, pregandolo di fare attenzione a ciò che avrebbe mangiato – i pasti serviti negli alberghi non facevano bene al corpo né alla mente – procurò un plaid da viaggio e una copertura di cerata per il calesse; e in generale fece mostra di una sollecitudine degna di una madre. «Vi accompagnerei io stesso» gli disse – e la direttrice, tutta orecchi, seppe che i pensionanti di Baker’s Farm non erano più persone da criticare – «ma credo di potervi essere più utile qui. Devo accordarmi con Dawson sullo sgombero dei cottage. È prioritario che non stiate un minuto più del necessario in quello squallido alloggio».
Ecco un bravo giovane! Sensibile, pragmatico, traboccante di gentilezza. Da anni Fritzing non incontrava qualcuno che suscitasse in lui tanta stima. Percorsero assieme la via principale del paese; Tussie era diretto da Mr Dawson, cui sarebbe toccato mettersi immediatamente all’opera; Fritzing alla fattoria, dove l’avrebbe raggiunto il calesse non appena pronto; e tutta Symford, nell’inchinarsi a Tussie, seppe che ora Fritzing era stato elevato ben al di sopra della loro diffidenza, ed era saldamente assiso sulla roccia degli Shuttleworth.
Si separarono davanti al cancello di Mr Dawson, con Mrs Dawson che guardava con tiepido interesse le loro calorose esternazioni da sopra la staccionata. «Quando ci saremo sistemati, giovanotto» disse Fritzing dopo eloquenti parole di gratitudine, «dovrete venire a trovarci, la sera. Scorrazzeremo insieme per i magnifici campi della letteratura inglese».
«Oh, grazie» risposte Tussie arrossendo di piacere. Avrebbe voluto chiedere se la divina nipote avrebbe scorrazzato con loro, ma anche in caso contrario sarebbe stato un piacere: avrebbe comunque scorazzato sotto lo stesso tetto che dava riparo a quella meravigliosa e fulgida testa. «Oh, grazie» esclamò quindi Tussie arrossendo.
La gran gioia del giovane sorprese Fritzing. «Siete a tal punto appassionato di letteratura?» gli domandò.
«Credo che senza di essa mi sarei annegato già da un pezzo. Quanto ai poeti...»
Si interruppe. Nessuno poteva immaginare cosa la poesia aveva significato per lui nel corso della sua cagionevole esistenza: l’interesse supremo, l’unica cosa per cui valesse davvero la pena di vivere.
A quel punto Fritzing lo adorava incondizionatamente. «Ach, Gott, ja» esclamò dandogli una manata sulla spalla. «I poeti, ja, ja, che siano benedetti e lodati per l’eternità. Sapete cosa, giovanotto?» aggiunse con entusiasmo, «avrei voluto avere un figlio come voi. Proprio così». Mentre pronunciava quelle parole, Robin Morrison, nel risalire lungo la strada e nel notare i due assieme e l’espressione sul viso di Tussie, capì all’istante che Tussie aveva visto la nipote.
«Salve, Tuss» gridò a distanza affrettandosi a superarli, giacché fermarsi a parlare con quel Neumann in un momento così prematuro avrebbe messo a repentaglio il piano incentrato sull’ombrello. Ma Tussie non lo vide né lo sentì. “Altroché se ha visto la nipote” pensò Robin con gli occhi che danzavano mentre procedeva agile sulle lunghe gambe da trampoliere. E si convinse che nell’arrivare con l’ombrello a Baker’s Farm quel pomeriggio avrebbe già trovato Tussie sul posto, oppure ci sarebbe arrivato subito dopo. “Chi l’avrebbe detto che il vecchio Tuss fosse così intraprendente?” commentò tra sé pensando all’estrema cordialità dipinta sul viso di Fritzing. “Sarei pronto a giurare che gli ha dato i cottage”.
Fritzing andò dunque a Minehead. Non starò a seguire i dolorosi passi che mosse in quel luogo tetro, né mi soffermerò sugli acquisti che, alla fine, dopo un interminabile e straziante cammino e sconcerto, si ridussero a un divano, una libreria girevole e due letti.
Dimenticò il letto per Annalise poiché dimenticò Annalise, né comprò le lenzuola poiché dimenticò che erano necessarie per fare i letti. In compenso trascorse due ore piene in un delizioso negozio di libri usati in cui si imbatté lungo la strada per il negozio di stoviglie, poi però dimenticò anche le stoviglie. Esortato e guidato da Mr Vickerton, il figlio della direttrice dell’ufficio postale, si recò dal tappezziere e ordinò a lui e ai suoi uomini di presentarsi in massa a Symford il mattino seguente all’alba, e fece giurare al tappezziere, che non aveva mai visto i cottage, che sarebbero stati pronti per l’imbrunire. Poi, sentendosi sfinito e ritrovandosi per caso in riva al mare, vi indugiò per un momento per riempirsi i polmoni di aria salmastra, e sa il cielo cosa fece in seguito. Il giovane Vickerton lo trovò ore dopo che vagava nell’oscurità della spiaggia di ciottoli, sbracciandosi e declamando:
O, qui me gelidis convallibus Haemi
Sistat et ingenti ramorum protegat umbra.
«Parlava da solo in tedesco a voce alta» riferì il giovane Vickerton alla madre la sera; e chissà da quanto tempo.
Intanto, a Baker’s Farm, Priscilla riceveva visite. Sedeva sul bracciolo della poltrona imbottita di crine immersa in riflessioni, quando Mrs Pearce aprì la porta e, senza preavviso, fece entrare Mrs Morrison. Niente avrebbe potuto lasciarla più sbalordita. Priscilla aveva promesso a Fritzing che, almeno per quel giorno, se ne sarebbe stata tranquilla alla fattoria, e nelle ultime due ore, trovando il luogo di una noia mortale, si era dedicata a intricate meditazioni su argomenti quali il Dovere, la Volontà e la Coscienza. La mattinata trascorsa tra i campi e lungo le rive del fiume Sym l’aveva predisposta alla meditazione. All’una le vivande e il modo in cui le erano state servite da Annalise – Priscilla aveva dispensato Mrs Pearce dal servizio a tavola – avevano ulteriormente contribuito a quello stato d’animo.
Anche il connubio tra scivolosità e ispidezza di tutto ciò su cui cercava di sedersi aveva dato un notevole contributo; e se sapessi fino a che punto mi è consentito spingermi a scrivere in fatto di biancheria, potrei rendere conto in modo ancor più esauriente dello stato d’animo della giovane attraverso la descrizione degli indumenti che indossava quel giorno. Si trattava di capi nuovi prelevati direttamente dal baule di Gerstein, e in effetti non li si poteva neppure definire di vera e propria biancheria; come avrebbero potuto i trecento marchi pagati da Fritzing includere anche quella? Nuovi di pacca, e non ancora sottoposti all’influsso ammorbidente del mastello del bucato, rivestivano ora la principessa in tutta la loro scricchiolante rigidità. Annalise avrebbe certo dovuto lavarli, o farli lavare, il giorno prima, ma era troppo impegnata a piangere per potersi occupare del bucato.
Alle quattro del pomeriggio, quei capi avevano indotto Priscilla a uno stato d’animo così indegno da farle accarezzare col pensiero – e farle trovare dolce il ricordo – la bella biancheria e i ristoranti di lusso di Kunitz. A Kunitz, rifletté Priscilla, il suo corpo veniva squisitamente accudito. Quei pasti delicati, serviti nel più totale lindore, non erano forse come poesie? Quegli indumenti impalpabili, mordibi e leggeri da indossare, non erano come baci? D’accordo, a Kunitz la sua anima era ridotta alla fame, crudelmente ridotta alla fame. Ma forse che a Baker’s Farm veniva nutrita? Il pensiero la fece trasalire.
E nel bel mezzo di tale interrogativo, un interrogativo tremendo da porsi proprio sulla soglia della nuova vita, fece il suo ingresso Mrs Morrison.
«Molto lieta» esordì Mrs Morrison. «Il parroco mi ha chiesto di venire a trovarvi. Spero che i Pearce vi trattino bene».
“Che mi prenda...” disse tra sé Mrs Pearce, fermandosi come d’abitudine sulla soglia, e scuotendo il capo più mortificata che arrabbiata.
Per un istante Priscilla restò seduta a fissare con occhi sgranati la visitatrice.
«Siete Miss Schultz, dico bene?» chiese Mrs Morrison con un po’ di nervosismo nella voce.
Priscilla disse di sì – precisando che il suo nome era Neumann-Schultz – e si alzò. Non sapeva con esattezza come Miss Schultz si sarebbe comportata in un’analoga fastidiosa circostanza, ma immaginò che avrebbe cominciato con l’alzarsi. Così si alzò, ed essendo i suoi movimenti deliberatamente lenti, e il divano basso, in seguito Mrs Morrison riferì al marito che la ragazza sembrava non finire mai. Era incredibilmente lunga, e una volta che ebbe finito di ergersi in tutta la sua altezza rimase a torreggiare su Mrs Morrison, che a disagio sollevò lo sguardo sul giovane volto serio. Beh, si chiese Mrs Morrison, cosa aspettava la ragazza a sorridere? Sorridere era un dovere, per una qualsiasi Miss Schultz che riceveva la visita della moglie del parroco; far mostra di tale intensa serietà in un’occasione del genere rasentava la villania. Priscilla le offrì la mano, sperando fosse la cosa giusta da fare, ma continuò a non sorridere.
«Siete Mrs Morrison?» chiese.
«Sì» rispose Mrs Morrison con immenso ritegno nella voce.
Priscilla la invitò a sedersi. Mrs Morrison stava già per farlo; Priscilla sprofondò di nuovo nella poltrona chiedendosi cos’altro potesse dire. L’interrogativo la assorbì al punto che Priscilla si smarrì nei meandri della mente alla ricerca di una risposta, e il silenzio che si produsse fu così lungo che Mrs Pearce, fuori dalla porta, deplorò tale mancanza di rispetto che la teneva lì per niente.
«Non sapevo aveste un doppio cognome» fu il commento di Mrs Morrison; fissava Priscilla e cercava di decidere se fosse uno di quei casi in cui conveniva consegnare degli opuscoli e congedarsi immediatamente. La bellezza della ragazza era decisamente offensiva. Anche lei era stata bella – e ringraziava il cielo di esserlo ancora – ma mai bella – di nuovo ringraziò il cielo – in modo così platealmente vistoso.
«Mi chiamo Ethel Maria-Theresa Neumann-Schultz» annunciò Priscilla articolando le parole lentamente e con chiarezza; e pur essendo, come noi ben sappiamo, del tutto indifferente anche agli sguardi più insistenti, si chiese se quella gentile signora non avesse per caso visto la sua fotografia su qualche giornale, tanto i suoi occhi erano sgranati, curiosi e penetranti.
«Che nome lungo» disse Mrs Morrison.
«Sì» convenne Priscilla. E poiché sembrava imminente un altro silenzio aggiunse: «Ho due trattini».
«Due cosa?» chiese Mrs Morrison sbigottita; la sua testa traboccava di dubbi e diffidenza, al punto che per un terribile istante le era sembrato che la ragazza avesse detto due mariti. «Oh, trattini. Capisco. So che i tedeschi ne hanno molti».
«Detto così sembra che stiate parlando di una malattia» considerò Priscilla mentre la traccia di un sorriso emergeva dalle abissali profondità del suo sguardo.
«Già» disse Mrs Morrison dimenandosi sulla sedia.
Strano che Robin non avesse fatto parola della bellezza della ragazza. In ogni caso, meglio tenerla lontana da Netta. Meglio tenerla a distanza anche dai martedì alla sala parrocchiale. Cosa ci faceva, in nome del cielo, lì a Symford? Era esattamente il tipo di fanciulla che faceva girare la testa ai ragazzi fatui. Una vera sfortuna, proprio adesso che Augustus Shuttleworth aveva cominciato a prestare a Netta quei volumetti di Browning.
«Vostro zio è uscito?» chiese con voce da cui trapelava parte dell’asprezza dei suoi pensieri.
«È andato a Minehead, a procurarsi alcune cose per il mio cottage».
«Il vostro cottage? Avete ottenuto quello di Mrs Shaw, dunque?»
«Sì. Mrs Shaw si trasferirà altrove oggi stesso».
«Santo cielo» esclamò Mrs Morrison fortemente colpita.
«Lo trovate così sorprendente?»
«Nel modo più assoluto. Non è affatto da lady Shuttleworth».
«È stata molto gentile».
«La conoscete?»
«No, ma lo zio è andato da lei stamane».
«Ed è riuscito a convincerla?»
«Lui è molto eloquente» affermò Priscilla con un pudico abbassare di ciglia.
“Bastava un soffio” pensò Mrs Morrison osservandone la scura curva dorata, “e la ragazza avrebbe avuto capelli rossi, sopracciglia bianche, un’infinità di lentiggini e sarebbe stata spaventosa”. E lasciò andare un sospiro impaziente.
«E la povera vecchia Mrs Shaw... come ha preso lo sfratto?»
«Credo che la nuova casa le sembrerà un palazzo».
«Santo cielo, vostro zio dev’essere davvero molto eloquente».
«Oh, non potete sapere quanto» rispose Priscilla in tono appassionato.
Vi fu un breve silenzio, durante il quale Mrs Morrison, guardando dritto nelle insondabili pozze che erano gli occhi di Priscilla, si irritò nel trovarli tanto evidentemente incantevoli. «Siete talmente giovane» disse, «che non vi darà fastidio qualche domanda...»
«Perché, ai giovani non danno fastidio le domande?» chiese Priscilla, immaginando per un attimo che questa fosse una caratteristica della gioventù inglese.
«No, no di certo, se a farle sono donne di esperienza e... e sposate» rispose acida Mrs Morrison.
«Allora procedete pure».
«Oh, non è che abbia qualcosa di specifico su cui procedere» rispose l’altra offesa. «Vi assicuro che la curiosità non è tra i miei difetti».
«Davvero?» rispose Priscilla, la cui attenzione aveva cominciato a venire meno.
«In quanto creatura umana ho di certo parecchie debolezze, ma sono grata di poter dire che la curiosità non è tra queste».
«Secondo lo zio è proprio questa la differenza tra uomini e donne. Dice che le donne potrebbero ottenere tanto quanto gli uomini, se solo fossero curiose. Invece non lo sono. L’uomo fa mille domande, e non si dà pace finché non ha scoperto il più possibile riguardo a ogni cosa che vede, mentre la donna si accontenta anche solo di vederla appena».
«Spero vostro zio sia un uomo di chiesa» fu l’inaspettata risposta di Mrs Morrison.
Ma la mente di Priscilla non era in grado di balzare così agilmente, per cui ebbe un attimo di esitazione e sorrise. “È la prima volta che mostra un’espressione affabile” pensò Mrs Morrison, “ma nel momento più sbagliato”.
«Naturalmente è nato nella fede luterana» spiegò Priscilla.
«Oh, una religione orrenda. Scusatemi, ma lo è davvero. Spero non abbia intenzione di portare scompiglio a Symford».
«Portare scompiglio?»
«Persone nuove e con principi errati che si stabiliscono in un paese piccolo come il nostro a volte lo fanno, sapete, e oltretutto mi dite che lui ha il dono dell’eloquenza. Mentre noi siamo una comunità semplice e timorata di Dio. Alcuni anni fa ci furono grossi problemi con una famiglia di dissenzienti che venne qui. I paesani persero completamente la testa».
«Credo di potervi promettere che lo zio non cercherà di convertire nessuno» disse Priscilla.
«Naturalmente intendete dire pervertire. Sarebbe un peccato se lo facesse. Non durerebbe, ma ci farebbe passare un sacco di fastidi. Siamo gente profondamente di chiesa. Il parroco, e anche mio figlio quando è a casa, ne sono ottimi esempi. Mio figlio ha intenzione di intraprendere la carriera ecclesiastica. Accarezza questo desiderio fin da bambino. Non pensa a nient’altro, assolutamente a nient’altro» ripeté, puntando gli occhi su Priscilla con aria di sfida.
«Davvero?» disse Priscilla, del tutto intenzionata a crederle.
«Vi assicuro che è meraviglioso il modo in cui si dedica allo studio per arrivarci. Legge testi sulla storia della Chiesa in ogni momento libero, e ce l’ha talmente in testa che persino quando fischietta, fischietta Unica, vera Chiesa, ho notato».
«Cosa c’è?» chiese Priscilla.
«Mr Robin Morrison» annunciò Mrs Pearce.
Il salotto di Baker’s Farm era piccolo e spoglio, senza divisori, mobili ingombranti, piante in vaso; nulla che potesse anche per un solo istante nascondere la persona già all’interno a quella che vi stava entrando: ecco perché Robin, nel fare il suo spensierato ingresso con l’ombrello sotto il braccio, cadde dritto filato sotto lo sguardo collerico della madre. «Salve mamma, anche tu qui?» esclamò mentre il viso gli si apriva in un’espressione apparentemente soddisfatta.
«Già, Robin, anch’io qui» rispose assumendo un’aria impettita.
«Buongiorno, Miss Schultz. A quanto pare mi hanno fatto entrare nella stanza sbagliata. È Mr Neumann quello che sto cercando. Non abita qui?»
Priscilla lo guardò dalla poltrona dov’era seduta e si chiese cos’avesse mai fatto per essere tormentata dai Morrison in quel modo.
«Conoscete mio figlio, immagino» disse Mrs Morrison con la massima freddezza. Perché il viso della ragazza non mostrava né riconoscimento né piacere; e se da un lato si sarebbe irritata nel caso in cui avesse fatto mostra di indebito piacere, dall’altro era ancor più irritata di scorgervi l’indifferenza.
«Sì, ci siamo conosciuti ieri. State cercando lo zio? Si chiama Neumann. Neumann-Schultz. Non è in casa».
«Volevo solo consegnargli quest’ombrello» annunciò Robin scoccando una fugace occhiata alla madre mentre se lo sfilava da sotto il braccio. L’avrebbe riconosciuto? Ne aveva scelto uno dei più vecchi; quello che più si addiceva, a suo parere, all’aspetto generale di quel Neumann.
«Di che ombrello si tratta, Robin?» chiese la madre con diffidenza. Era davvero strano che Robin, fino a poco prima chino sui libri, fosse arrivato a Baker’s Farm così rapidamente. Che fosse atteso? Era stata forse la Provvidenza, che proteggeva la legittima causa delle madri, ad averla portata lì giusto in tempo per sottrarlo alle trame della ragazza? L’indifferenza di lei non poteva essere sincera; e se non lo era, l’ineccepibile comportamento esteriore doveva senz’altro essere la prova degli abissi della sua esperienza e malignità. «Che ombrello è?» chiese Mrs Morrison.
«Il suo» rispose Robin guardando la madre mentre lo posava sul tavolo con esagerata attenzione.
«Dello zio?» domandò Priscilla. «L’aveva perso? Oh, grazie... chissà com’era dispiaciuto. Accomodatevi». E indicò con la testa la sedia sulla quale lo invitava a sedersi.
“Che modi altezzosi!” pensò Mrs Morrison indignata. “Nemmeno fosse una regina”. E poi a voce alta: «Avresti potuto mandare Joyce, non era necessario che smettessi di studiare». Joyce era il giardiniere, ed era suo il bebè la cui carrozzina veniva spinta da quell’altra Ethel.
«È vero» rispose Robin come particolarmente stupito dal suggerimento. «Ma mi faceva piacere» aggiunge rivolgendosi a Priscilla, «poterglielo restituire di persona. È davvero seccante perdere il proprio ombrello... specialmente se ce l’hai da tempo ed è ormai un vecchio amico».
«Dal modo in cui zio Fritzi lo guarda sembra proprio considerarlo un vecchio amico» confermò Priscilla sorridendo alla volta dell’ombrello.
Anche Mrs Morrison diede un’occhiata all’oggetto, poi un’altra ancora. Alla terza volta l’occhiata si trasformò in uno sguardo fisso; Robin allora si alzò di soprassalto e chiese se dovesse metterlo in corridoio. «Qui ci è d’impiccio» spiegò. Ma non si capiva a quale impiccio si riferisse, essendo il tavolo perfettamente sgombro.
Priscilla non sollevò obiezioni, ed egli lo trasferì immediatamente fuori portata dello sguardo materno, appoggiandolo al muro in un angolo buio del corridoio e informando Mrs Pearce, che trovò lì, che era l’ombrello di Mr Neumann.
«Mica è suo, quello» annunciò Mrs Pearce.
«Sì che lo è» disse Robin.
«No che non lo è. Il suo se l’è portato a Minehead».
«È il suo, e non se l’è portato» disse Robin.
«L’ho visto io che lo prendeva» ribatté Mrs Pearce.
«Invece no» insisté Robin.
Era il momento giusto, pensò Mrs Morrison, per andarsene e portarsi via anche Robin; la tratteneva però sulla sedia la certezza che Robin non si sarebbe lasciato portare via facilmente; e piuttosto che salutare e lasciarlo lì da solo, sarebbe rimasta seduta lì tutta la notte. È così che le madri si sacrificano per i figli, si disse Mrs Morrison, per i loro figli spesso ingrati. Ma per quanto fosse disponibile a trattenersi per tutto il tempo necessario al fine di vegliare sul suo ragazzo, non doveva sentirsi obbligata, ragionò, a mostrarsi anche amabile; non doveva sentirsi obbligata, per così dire, a cospargere di primule il sentiero del figlio verso la frivolezza. Di conseguenza si comportò il meno possibile come chi sparga primule, e se ne restò arroccata in un silenzio di tomba mentre lui, in corridoio, si misurava nella schermaglia con Mrs Pearce. E nell’esatto istante in cui rientrò gli chiese dove avesse trovato l’ombrello.
«L’ho trovato... non lontano dalla chiesa» rispose Robin, desideroso di essere il più sincero possibile. «Ma mamma, al diavolo l’ombrello. Non è poi così encomiabile restituire a una persona il suo. Siete riuscita ad avere quei cottage?» chiese poi voltandosi rapidamente verso Priscilla.
«Robin, sei proprio sicuro che sia il suo?» domandò Mrs Morrison.
«Mia cara madre, io non sono mai sicuro di niente. E neppure tu. Né tantomeno Miss Schultz. Né chiunque sia davvero intelligente. Ma mi è capitato di trovarlo, e Mr Neumann...»
«Oggi il nome è Neumann-Schultz» annunciò la madre con voce carica di implicazioni.
«Mr Neumann-Schultz, allora, era appena passato da quelle parti, così ho dedotto che dovesse essere il suo».
«Tuo zio Cox ne aveva uno esattamente uguale, l’ultima volta che è stato da noi» gli fece notare Mrs Morrison.
«Davvero? Dico, mamma, hai un occhio fenomenale per gli ombrelli. Deve essere stato almeno cinque anni fa».
«Beh, l’aveva dimenticato, e io lo vedo nel portaombrelli ogni volta che passo dall’ingresso».
«No! Sul serio?» esclamò Robin. Quella dichiarazione l’aveva scagliato nell’angolo in cui le risorse mentali finivano, e dove in tutta probabilità sarebbe rimasto, coperto di disonore, dato che Miss Schultz sembrava ascoltarlo a malapena e aveva tutta l’aria – incredibile, non era mai accaduto a nessuna ragazza in sua presenza, ma decisamente questa ne aveva tutta l’aria – di annoiarsi, se Mrs Pearce non avesse spalancato la porta e, tenendo tra le mani come un fagotto le parti strappate del grembiule, annunciato nervosa l’arrivo di lady Shuttleworth.
“Oh, che razza di giornata” pensò Priscilla. Ciò malgrado si alzò e si mostrò cortese, perché Fritzing le aveva parlato della donna come di una persona gentile e di buon senso; e nel momento in cui lady Shuttleworth posò gli occhi su di lei, il mistero del comportamento del figlio si svelò appieno. “Tussie l’ha vista!” esclamò tra sé; e subito aggiunse: “Caspita! Non posso biasimare il ragazzo”.
«Mia cara» esordì tenendo la mano di Priscilla, «sono venuta per conoscervi. Vedete che saggia vecchia sono? Sarò sincera: non avrei voluto darvi quei cottage, ma visto che mio figlio ve li ha venduti non voglio aspettare oltre a fare amicizia. Non lo trovate molto saggio?»
«Lo trovo molto cordiale» rispose Priscilla con un sorriso chinandosi sull’anziana donna, i cui occhi scintillavano nell’esaminarla da capo a piedi. «Non credo arrecheremo disturbo. Vogliamo solo starcene tranquilli».
Mrs Morrison sbuffò dal naso.
«Davvero?» disse lady Shuttleworth. «Allora andremo d’amore e d’accordo. È ciò che anch’io amo di più in assoluto. Siete qui anche voi per fare amicizia con la vostra nuova parrocchiana?» proseguì rivolgendosi a Mrs Morrison. «E anche tu, Robin?»
«Oh, io mi trovo qui per caso» rispose Robin prontamente. «Sono venuto a consegnare un oggetto smarrito. E sto per andarmene» aggiunse, cominciando in tutta fretta i preparativi per accomiatarsi; lady Shuttleworth, infatti, produceva invariabilmente in lui la convinzione che i vestiti non gli cadessero bene e necessitassero di un’energica spazzolata, e a nessun giovane preoccupato del proprio aspetto come lo era Robin avrebbe fatto piacere. Preferì dunque darsi alla fuga, consapevole che neppure l’avvenenza di Miss Schultz avrebbe potuto compensare lo sguardo di lady Shuttleworth; e in corridoio – dove Mrs Pearce si era ritirata, mettendo quanta più distanza possibile tra sé e la donna orribile a cui il suocero doveva la pigione e che notava ogni buco del grembiule – Robin piombò sull’ombrello di zio Cox, se lo infilò di nuovo sotto il braccio e lo riportò con celerità nel portaombrelli ove aveva trascorso cinque pacifici anni. “Parola mia, le vecchie sono terribili” si disse mentre lo rimetteva al posto. “Mi domando perché esistono”.
«Ah, vedo che è qui» commentò la madre quella sera nell’attraversare l’ingresso diretta a cena.
«Che cosa?» chiese Robin, subito dietro di lei.
«L’ombrello di zio Cox».
«Mamma cara, che cos’è tutto questo interesse improvviso per l’ombrello di zio Cox?»
«Sono felice di rivederlo al suo posto, ecco tutto. Ci si abitua a vedere le solite cose».
Dopo che lui se ne fu andato, lady Shuttleworth e sua madre – rabbrividisco all’eventualità che Robin includesse anche la madre nelle sue riflessioni sulle vecchie, ma chi può mai dire? – si erano trattenute alla fattoria per altri venti minuti. Si sarebbero trattenute anche più a lungo; lady Shuttleworth si era infatti mostrata interessata a Priscilla più che a qualunque ragazza mai incontrata; Mrs Morrison, notando il suo interesse e tutti i suoi discorsi gentili, si era trasformata da glaciale in amabile, aveva accartocciato nella mano gli opuscoli e a più riprese dato voce alla speranza che Miss Neumann-Schultz sarebbe stata presto loro ospite per il tè e avrebbe fatto amicizia e apprezzato Netta. Si sarebbero trattenute anche più a lungo, dicevo, senonché accadde una cosa molto strana.
Priscilla era stata incantevole; aveva chiacchierato apparentemente con totale sincerità sulla sua futura vita nei cottage, e aveva risposto alle domande di lady Shuttleworth con una discrezione e una credibilità che avrebbero riscaldato il cuore ansioso di Fritzing, soffermandosi di sovente – era senz’altro il terreno più sicuro – sullo zio, il suo lavoro, le sue doti e il suo carattere. Lady Shuttleworth, completamente conquistata, le aveva offerto il proprio aiuto in ogni campo: da allestire la piccola dimora a sistemare il giardino, a costruire le stanze da bagno di cui Mr Dawson aveva parlato a Tussie.
La donna considerava il desiderio di numerosi bagni un segno di pazzia in chi era privo di mezzi, ma del tutto lecito e degno di lode in chi poteva permetterselo. Fritzing aveva assicurato a Tussie che il denaro non era un problema; e non era forse un’inclinazione da elogiare se alla sua poetica nipote piaceva circondarsi di persone pulite? Forse lady Shuttleworth aveva indugiato sui lavori di ristrutturazione e sui probabili costi per un tempo superiore alla capacità di concentrazione di Priscilla; forse si era soffermata troppo sugli aspetti tecnici. Comunque sia, l’attenzione di Priscilla aveva preso di nuovo a vagare, e un po’ alla volta la ragazza era diventata insofferente nei confronti delle visitatrici. Rispondeva a monosillabi, il sorriso sempre più debole. Quindi, tutt’a un tratto, cogliendo l’occasione del primo punto e a capo messo da lady Shuttleworth in una frase sui servizi igienico-sanitari – il paragrafo sembrava non avere mai fine – si era alzata con la consueta, pacata grazia, e le aveva teso la mano.
«Siete stata molto gentile a venire a trovarmi» aveva detto alla donna sbalordita con un sorrisetto garbato. «Spero tornerete di nuovo entrambe».
Per un istante lady Shuttleworth aveva pensato che fosse pazza. Poi, con suo grande stupore, aveva visto sé stessa alzarsi obbediente e lasciarsi afferrare la mano.
Mrs Morrison l’aveva imitata. Entrambe avevano ricevuto una delicata stretta di mano e un sorriso, ed entrambe si erano ammutolite e congedate senza indugio. Mentre si dirigevano alla porta Priscilla era rimasta in piedi composta, con il suo sorrisetto fisso in volto.
«Non vi sembra che ci abbia insultate?» aveva sbottato Mrs Morrison una volta all’esterno.
«Non saprei» aveva risposto lady Shuttleworth con aria estremamente pensierosa.
«Credete sia dovuto alle barbare usanze tedesche?»
«Non saprei» aveva ripetuto lady Shuttleworth.
E per tutto il tragitto verso la canonica, dove aveva accompagnato Mrs Morrison, era rimasta alquanto silenziosa; e tutte le esclamazioni e congetture della sua indignata compagna non erano riuscite a strapparle neppure una parola.