X.
Nel frattempo a Kunitz regnava una strana quiete. Non un respiro, non un sussurro sull’orrendo fatto accaduto era giunto ai giornali da quella cittadina afflitta. Come ricorderete, la principessa era fuggita di lunedì, era approdata a Baker’s Farm nel cuore della notte tra martedì e mercoledì e aveva trascorso il mercoledì e il giovedì a Symford. C’era stato dunque tutto il tempo perché l’Europa ricevesse con orecchio sbalordito la notizia della fuga; eppure, a giudicare dal suo silenzio, l’Europa non ne sapeva nulla. A Minehead, il giovedì sera Fritzing comprò i giornali; d’accordo, non con la stessa frenesia dimostrata a Dover, dove ogni istante sembrava denso di pericoli, ma pur sempre con una certa trepidazione: ebbene, nessuno menzionava Kunitz.
Il sabato trovò sul giornale proveniente da Londra, di cui aveva disposto l’invio quotidiano, una stringata informazione che il granduca di Lothen-Kunitz, in Prussia orientale per una battuta di caccia, era stato raggiunto dal principe – mi asterrò dal rivelare l’augusto nome – che tanto desiderava sposare Priscilla. E la domenica – naturalmente si trattava del giornale pubblicato a Londra il sabato – lesse che la principessa Priscilla di Lothen-Kunitz, seconda figlia del granduca e l’unica ancora nubile, era confinata a letto per un grave attacco di influenza.
Dopo quegli articoli, il silenzio più totale. Fritzing mostrò a Priscilla il paragrafo che parlava della sua influenza, e all’inizio lei se ne rallegrò. Per qualche tempo la facilità con cui persino una principessa riesce a liberarsi dai ceppi, se davvero vuole farlo, la sorprese e la divertì. Sorprese anche Fritzing, ma senza divertirlo. In effetti, nulla mai riusciva a divertirlo: non ricordo neppure un’occasione in cui io l’abbia visto sorridere. Altre emozioni lo scuotevano con vigore, come già sappiamo, ma l’ilarità non andava mai a fargli visita con i suoi gradevoli solletichii sotto le ascelle; davanti a un compito così immane si defilava quatta quatta, lasciando l’uomo, nei momenti di massima felicità, in uno stato d’animo di tiepida contentezza. «Il vostro reale genitore» disse a Priscilla, «ha scelto la parte migliore del coraggio, e ha fatto passare l’accaduto sotto silenzio».
«Non mi ha mai voluto bene» disse Priscilla con voce piena di struggimento. Ripensandoci, non era poi così sicura di apprezzare la facilità con cui le era stato consentito di fuggire. Possibile che nessuno si interessasse a ciò che le era successo? Possibile che non contasse proprio niente per nessuno? Fuggire è meraviglioso, ma l’orgoglio pretenderebbe che coloro dai quali sei fuggito dessero qualche segnale di non avere gradito la cosa, facessero qualche sforzo, per quanto fiacco, per riaverti indietro. Se ciò non accade, se restano perfettamente quiescenti e rassegnati, e non emettono neppure un lamento che sia udibile, il fuggitivo lo trova, com’è logico, parecchio mortificante.
«A mio padre» proseguì Priscilla con voce intrisa di amarezza, «non importa niente di me. Spargerà la voce che sono contagiosa e in pericolo di vita e poi vedrai, Fritzi: o morirò, oppure partirò per una lunghissima crociera in compagnia della contessa. E così riuscirà a buttare fumo negli occhi a tutti. Papà è abilissimo, e la contessa è il complice perfetto. Vedrai».
Ma Fritzing non vide nulla, perché i giornali non parlarono più né di Kunitz né di influenza. In quei giorni, era così assorbito dalle incombenze necessarie a stabilirsi nei cottage al più presto che, dopo un fugace impeto di gratitudine per la conveniente indifferenza del granduca verso il destino della figlia, la cosa gli uscì di mente con la consueta facilità con cui gli uscivano di mente le cose importanti.
A cosa serviva, ragionò brevemente il nostro filosofo, preoccuparsi di ciò che pensavano o non pensavano a Kunitz? Avrebbero avuto tutto il tempo per farlo, una volta che avessero cominciato a prendere provvedimenti. Lì, tra le pieghe delle colline del Somerset, si sentiva quanto mai protetto da Kunitz, e via via che le giornate trascorrevano tranquille la sensazione aumentava sempre più. Ma se nessun pericolo sembrava minacciarli dall’esterno, ve ne erano altri, all’interno, che rendevano auspicabile l’allontanamento da Baker’s Farm e l’insediamento nella loro piccola dimora senza ulteriore indugio. Gli era molto difficile tenere la lingua sotto controllo in ogni momento della giornata, e aveva scoperto, per esempio, che essa si rifiutava caparbiamente di chiamare Ethel la principessa. E nutriva la medesima avversione a chiamarla nipote, e aveva la fatale abitudine a lasciarsi sfuggire l’appellativo vostra altezza granducale. Vero, all’inizio tra loro parlavano perlopiù in tedesco, ma la tendenza a esprimersi in inglese si faceva di giorno in giorno più marcata; era nell’aria stessa che respiravano, ed entrambi lo parlavano con fatale scioltezza.
Su ai cottage, tra gli operai, o quando li raggiungeva Mr Dawson, ora geloso degli altri e traboccante di zelo collaborativo, o quando si presentavano i due giovani, Robin e Tussie, che sembravano non fare altro che capitare a passare lì davanti, il pericolo era sempre in agguato. Fritzing ne era consapevole al punto di ritrovarsi in un bagno di sudore ogniqualvolta era in pubblico assieme a Priscilla, un bagno di sudore quanto mai evidente.
La tensione rendeva i suoi modi stranamente nervosi, quando si rivolgeva alla nipote, ragion per cui divenne l’oggetto di molte congetture da parte di Robin, acuto osservatore. Nonostante i modi suadenti nei confronti dello zio, tra le mura domestiche la nipote doveva essere una terribile tiranna, pensava Robin. Difficile a credersi, ma Robin era orgoglioso della propria capacità di immaginare le cose più inverosimili, specie se si trattava del peggio, qualità che lui definiva essere di larghe vedute.
Chiaramente la ragazza era viziatissima. Impossibile non notarlo. Ogni suo minimo desiderio era per lo zio un ordine da non mettere in discussione. Eppure nei suoi confronti lo zio non era mai apertamente affettuoso. Sembrava quasi che lei avesse un ascendente segreto su di lui, forse perché al corrente di un qualche disdicevole passato. D’altro canto era semplicemente impossibile associare alla ragazza un disdicevole passato. Bastava guardarla negli occhi per capire che non doveva mai neppure aver sentito nominare cose del genere.
Robin si riteneva un conoscitore della natura umana, eppure doveva ammettere di non avere mai conosciuto una coppia così indecifrabile. Desiderava parlare di loro a Tussie Shuttleworth, ma Tussie non sembrava disposto. Gli riusciva impossibile parlare di Priscilla: per lui era sacra; ed era sacra perché la adorava. La adorava con un’intensità il cui pensiero mi lascia sbalordita, e ne venerava la bellezza con tutta l’avventata automortificazione di un ragazzo molto giovane che è anche poeta. Interiormente il suo animo era come cera, duttilissima cera in cui erano incastonate ovunque piccole immagini di Priscilla. Nessuna madre è felice quando lo stato d’animo del figlio versa in tali condizioni, e per quanto lui tenesse un comportamento decoroso, e nascondesse e soffocasse i suoi sentimenti con tutta l’energia che aveva in corpo, lady Shuttleworth sapeva alla perfezione cosa accadeva dentro di lui e trascorreva il proprio tempo cercando di decidere se ridere o piangere del suo povero figliolo. «Quando tornerà a Cambridge, Robin?» chiese a Mrs Morrison nell’incontrarla la volta successiva. Lo scambio di battute avveniva nel giardino del cottage di un’anziana donna malata.
Mrs Morrison stava per entrare con un opuscolo, lady Shuttleworth con qualche etto di tè. Da lì si scorgeva il cottage di Priscilla, e Robin intento a fissare i rampicanti di lei sotto gli occhi di tutta Symford.
«Ah, so a cosa state pensando» ribatté rapida Mrs Morrison.
«Dispiace sempre vedere le emozioni andare sprecate...» articolò lentamente lady Shuttleworth. Sembrava soppesare ogni parola.
«Sprecate? Pensate dunque che sia un’avventuriera?» ribatté ansiosa Mrs Morrison.
«Shhh shhh, mia cara, come potrei pensare qualcosa di tanto scortese? Ma noi che siamo vecchie», e qui Mrs Morrison sporse il mento, «e guardiamo alle cose con distacco, capiamo quale peccato sia che dei bei sentimenti siano prodigati e sprecati. Tutta quella forza, tutto quel tempo, buttati via in sogni. Tutto inutile, sterile. Credo che nulla sia più triste dello spreco, e niente sia più sprecato di un amore non corrisposto».
Mrs Morrison diede una sistemata nervosa al fiocco di tulle rosa che le piaceva annodarsi al collo di pomeriggio, e cercò di dissimulare l’infelicità del vedere anche August Shuttleworth irretito da Miss Neumann-Schultz. Che ciò fosse accaduto risultava quanto mai evidente dai portentosi commenti di lady Shuttleworth, non essendo nella natura della donna essere così solenne riguardo ai sentimenti sprecati dei figli altrui. E questo avrebbe forse salvato il futuro di Robin, ma rovinato quello di Netta. Tutti abbiamo i nostri piccoli progetti per il futuro: cari, rosei sogni cui teniamo sopra ogni altra cosa e che ci stringiamo al petto con ancora maggiore tenerezza di quanto non stringiamo i nostri figli, carne della nostra carne; e il sogno più roseo e a lungo accarezzato da Mrs Morrison era il matrimonio della figlia Netta con il ricco Augustus.
In quel preciso istante, nel giardino anteriore della vecchia Mrs Jones, quel sogno stava ricevendo un gran brutto colpo. Augustus, temeva Mrs Morrison, doveva essersi ormai irrimediabilmente inoltrato sulla strada dell’amore, ed era molto improbabile che la ragazza si lasciasse sfuggire un’opportunità del genere. Beh, perlomeno era consolante sapere che il matrimonio sarebbe sfociato in uno scandalo: lei, una perfetta sconosciuta, nipote di un insegnante tedesco, riuscire ad accaparrarsi il giovanotto più facoltoso del paese. Le vie della cosiddetta Provvidenza erano imperscrutabilmente criminali, pensò la donna in aperta sfida a ciò che avrebbe dovuto pensare la moglie di un parroco; ma del resto ci era stata tirata per i capelli.
Proprio in quel momento, Priscilla uscì da casa di Mrs Jones, l’espressione felice stampata in viso. Era stata a farle visita ed era riuscita a confortarla come mai avrebbe creduto.
La malata si era riavuta così all’improvviso e così pienamente che Priscilla, deliziata, aveva tratto sui due piedi la conclusione che prodigarsi per gli ammalati indigenti fosse la sua vera vocazione. E com’era stato facile! Qualche sorriso, qualche parola gentile, una banconota da cinque sterline infilata con garbo tra le vecchie mani vizze ed ecco fatto.
Non si era mai vista malata più confortata di Mrs Jones. Lei, che all’arrivo di Priscilla era stata riluttante persino a parlare in sussurri, alla fine della visita non smetteva di riversare sulla visitatrice fiumi di parole a voce alta, persino inframmezzate di risate. Per tutto il venerdì Priscilla aveva dato una mano alla sistemazione del cottage, e assieme a Fritzing ne era uscita talmente esausta che il sabato l’aveva lasciato da solo e deciso che, per quanto la riguardava, era giunto il momento di cominciare le opere di bene tra gli abitanti del villaggio. A questo intendeva dedicarsi in futuro. Sarebbe stata l’occupazione principale della sua nuova vita. Avrebbe vissuto come i poveri e tra i poveri, ne avrebbe mitigato le pene e accresciuto le gioie, avrebbe offerto loro un braccio cordiale su cui appoggiarsi nel percorrere il cammino accidentato della povertà.
Giorno dopo giorno, sarebbe a sua volta scesa dalle alte vette e tornata alle origini vere, ai solidi, elementari fatti della vita. E voleva cominciare subito, senza perdere altro tempo alla fattoria. Era proprio nelle giornate d’ozio, come quella in cui Fritzing era andato a Minehead, che le più futili sciocchezze le assalivano l’anima: l’insofferenza della pelle per l’onesta cotonina; il disgusto per la cucina; l’intolleranza verso gli occhi gonfi di Annalise. Se non avesse avuto tanto in odio le lacrime, quando andò a letto quella sera Priscilla avrebbe potuto piangere di fronte allo sconforto del suo spirito, quello spirito che ella aveva ritenuto più che capace di assoggettare il corpo, e che aveva sperato fosse immutabilmente saldo e coraggioso. Ma fate caso ai modi della stupidità: la reazione che ne scaturisce è così potente che ci spedisce con un balzo a coprire il doppio di strada rispetto a quanto avremmo fatto se fossimo stati saggi, e fossimo avanzati tra le pozzanghere con le scarpe pulite e con estrema cautela.
Chi non conosce l’impulso improvviso nei confronti del bene che sentiamo sgorgare in noi dopo un periodo trascorso nel fango? Che bello, allora, scuoterci con vigore, volgere il viso sudicio verso la luce benedetta! «Mi alzerò e andrò dal Padre»; di tutte le esperienze dello spirito questa è indubbiamente la più gloriosa. E notate come il prudente, il virtuoso, il tenace – il perseverante lavoratore della vigna, nella calura del giorno – ne siano esclusi per sempre.
Per quanto breve fosse stato il suo indugiare tra le pozzanghere, anche Priscilla balzò in avanti con rinnovata forza lungo il cammino da lei ritenuto il migliore, e una volta portata a termine la seconda delle sue opere buone – la prima era già stata compiuta: un caloroso invito rivolto di persona, porta a porta, a tutte le mamme di Symford, perché mandassero i loro bambini a Baker’s Farm il giorno dopo, domenica, a giocare e prendere il tè – stava per lasciare una Mrs Jones meravigliosamente confortata quando incappò nelle due dame di carità.
Ecco com’era andato l’ultimo scambio di battute tra Priscilla e Mrs Jones:
«C’è qualcos’altro che posso fare per voi?» aveva chiesto Priscilla chinandosi sopra l’anziana donna e accarezzandole il braccio in segno di saluto.
«No, mia cara, hai già fatto abbastanza, che Dio benedica il tuo bel faccino» aveva risposto Mrs Jones estatica stringendo nel pugno la banconota da cinque sterline.
«Ma non c’è proprio nulla che vorreste? Che io possa procurarvi? Lo vedete, no, io posso correre da un posto all’altro, mentre voi siete costretta a letto. Ditemi se posso fare qualcosa».
Mrs Jones aveva battuto le palpebre, fatto qualche smorfia, battuto di nuovo le palpebre, rantolato e si era schiarita la gola. «Beh, qualcosa che mi farebbe un gran bene c’è» si era pronunciata infine tra una serie di imbarazzati colpetti di tosse.
«Ditemi che cos’è» l’aveva esortata Priscilla.
«Non so se...» disse esitante la vecchia tra un colpo di tosse e l’altro.
«Ditemelo» aveva insistito Priscilla.
«Allora te lo sussurrerò all’orecchio, mia cara».
Priscilla aveva chinato la testa, e l’anziana donna le aveva accostato la bocca sdentata all’orecchio.
«Oh, ma certo» aveva esclamato Priscilla sorridendo. «Vado subito a comprarvene un po’».
«Che Dio benedica sempre il tuo bel visino, tesoro» aveva trillato Mrs Jones, fuori di sé dalla gioia. «Al Cock and Hens, mia cara. È lì che devi andare. E le bottiglie da un litro sono le migliori; ci si spilla più consolazione, e alla fine sono le meno care».
Nell’uscire per compiere la sua missione, Priscilla si imbatté in giardino nelle visitatrici in arrivo.
«Salve» esordì con voce lieta sorridendo gaia a entrambe. Da quando le aveva congedate non aveva più visto né l’una né l’altra, ma mai una volta aveva indugiato col pensiero su quel fatto bizzarro.
«Oh... salve a voi» rispose lady Shuttleworth, sorpresa di incontrarla lì e con un’impercettibile, e nel suo caso quanto mai inconsueta, goffaggine nei modi.
Mrs Morrison non disse nulla, e restò impettita sullo sfondo rispondendo al sorriso di Priscilla con un cenno del capo rigido e riluttante.
«Sono appena stata dalla povera vecchia Mrs Jones. Vostro figlio» e nel dire così gettò un’occhiata a Mrs Morrison, «mi ha detto quant’è malata».
«Davvero?» chiese Mrs Morrison senza quasi neppure alzare lo sguardo da terra. Quella ragazza era ormai una doppia nemica: destinata, qualunque cosa facesse, a mettere in ridicolo suo figlio oppure sua figlia.
«Allora sono andata da lei e ho cercato di risollevarle un po’ il morale. E credo proprio di esserci riuscita».
«Davvero gentile da parte vostra» commentò lady Shuttleworth sorridendo suo malgrado, incapace di resistere al fascino di Priscilla. Che congettura assolutamente ridicola, da parte di Mrs Morrison pensare che quella ragazza fosse un’avventuriera. Ecco gli abissi di ignoranza che si finivano per raggiungere quando si restava sepolti troppo a lungo in campagna.
«Adesso ha voglia di un po’ di rum» annunciò Priscilla allegramente, «e io sto andando a comprarne un po’».
«Rum?» esclamò lady Shuttleworth con voce inorridita; e Mrs Morrison trasalì violentemente.
«Pensate possa nuocerle?» domandò Priscilla sorpresa.
«Nuocerle!» esclamò lady Shuttleworth.
«È veleno per il corpo e per l’anima» dichiarò Mrs Morrison a testa bassa.
«Santo cielo» disse Priscilla mentre il suo viso prendeva un’espressione abbattuta. «Mi ha detto che le avrebbe fatto bene».
«Le avvelenerà il corpo e l’anima» ripeté torva Mrs Morrison.
«Mia cara, tutti i nostri sforzi vanno sempre nella direzione di educare la nostra gente a rinunciare al bere» spiegò lady Shuttleworth.
«Ma lei non vuole bere» protestò Priscilla, «vuole solo assaggiarne un goccio di tanto in tanto. Temo stia morendo. Non ha forse diritto di morire felice?»
«Il nostro dovere è di vigilare affinché i nostri parrocchiani muoiano sobri» rispose Mrs Morrison.
«Ma ormai l’ho promesso» disse Priscilla.
«È stata... è stata lei a chiedervelo?» domandò lady Shuttleworth con una forte nota d’ansia nella voce.
«Sì, e io ho promesso».
Entrambe le donne sembravano essersi incupite parecchio. Mrs Jones, che era molto vecchia e indubbiamente moribonda – anche se non a causa di una particolare malattia – fino ad allora era sempre stata un fulgido esempio per tutta Symford del modo in cui avrebbe dovuto morire una anziana donna cristiana. In quanto tale era citata di continuo dalla moglie del parroco, ma anche lady Shuttleworth provava un sincero orgoglio davanti a quel letto di morte così compito e rispettabile.
Il parroco le faceva visita ogni giorno, sedeva per un po’ al suo capezzale e diceva di allontanarsene rinfrancato. Mrs Morrison andava a leggerle tutti gli opuscoli che descrivevano l’entusiasmo di cui facevano mostra altre brave persone nelle sue stesse condizioni.
Lady Shuttleworth non passava mai dal villaggio senza portarle qualche piccolo presente: tè, frutta o uova, persino qualche vasetto di marmellata da mangiarsi con misura, un cucchiaino alla volta. Inoltre pagava una donna affinché passasse da lei a intervalli regolari durante il giorno per darle un’occhiata e sprimacciarle il cuscino. Chiunque converrà che non sarebbe stato possibile prodigarsi oltre in fatto di gentilezza, cure e persino affetto; tutti e tre venivano riversati su Mrs Jones a piene mani. In cambio lei non aveva mai dato voce a sentimenti che non fossero appropriati, e mai, neppure con il più debole sussurro, aveva accennato ad alcuno dei suoi benefattori di desiderare del rum. Per entrambe le donne era motivo di inusitato scandalo, e per Mrs Morrison anche di grande dolore. Quest’ultima era intimamente convinta che fosse stata Priscilla a mettere l’idea in testa alla vecchia, e cominciò a vederla in una luce demoniaca.
«Immaginiamo» disse Priscilla, «di considerarlo alla stregua di una medicina».
«Ma mia cara, non è una medicina» rimarcò lady Shuttleworth.
«È veleno» ripeté Mrs. Morrison.
«Ma come può esserlo se le fa tanto bene? Non posso venire meno alla promessa. Non la deluderei per tutto l’oro del mondo. Se solo aveste visto la sua gioia», e qui entrambe rabbrividirono, «concordereste con me che non è assolutamente giusto deluderla, povera vecchia moribonda. Insomma, la delusione la ucciderebbe. Supponiamo di utilizzarlo come medicina, e che mettessi la bottiglia sotto chiave e andassi io stessa a dargliene un poco tre o quattro volte al giorno. Non sarebbe una buona soluzione? Sicuramente non le farebbe male».
«Nessuna legge può impedirvelo» dichiarò Mrs Morrison; e lady Shuttleworth fissò la ragazza con muta costernazione.
«Posso almeno provarci» disse Priscilla, «e se scoprirò che le nuocerà allora smetterò. Ma ormai ho promesso, e lei mi aspetta al più presto. Non posso venire meno alla promessa. Ditemi... il Cock and Hens è il pub qui dietro l’angolo? Mi ha detto che mi conviene andar lì».
«Ma non potete andare voi stessa al Cock and Hens a comprare del rum!» insorse lady Shuttleworth riscuotendosi dall’apatia; e la sua voce trasudava una protesta così vibrata che la moglie del parroco – pur avendo già deciso di non volerne assolutamente sapere di dove una ragazza del genere potesse andare – ne fu nuovamente scioccata.
«Perché no?» chiese Priscilla.
«Mia cara, piuttosto che lasciare andare voi... andrò io stessa» esclamò lady Shuttleworth.
«Perbacco» si disse Mrs Morrison, sbigottita da quei discorsi. Che tutto a un tratto lady Shuttleworth avesse perso il senno? O stava già forse accettando la ragazza come nuora? Priscilla la guardò per un breve istante con occhi seri: «È perché sono una ragazza che non posso?» chiese.
«Sì. Innanzitutto. Ma...» lady Shuttleworth si zittì.
«Ma cosa?» chiese Priscilla.
«Oh, nulla».
«Se in questo paese non usa che ci vada una ragazza allora ci manderò Mr Morrison» dichiarò Priscilla.
«Mr Morrison?» rantolò la moglie del parroco.
«Cosa, il parroco?» esclamò lady Shuttleworth.
«No, no» rispose Priscilla sorridendo. «Mr Morrison figlio. Lo vedo laggiù. È nel mio giardino che lega i rampicanti. È molto gentile. Ci andrà lui, se glielo chiederò».
E salutandole con un cenno del capo lasciò il giardino a passo rapido e raggiunse il suo cottage. Il desiderio di non tenere Mrs Jones ulteriormente in attesa era tale che si mise quasi a correre.
Le due donne, impietrite, la guardarono come affascinate: la videro parlare con Robin in cima alla scala, videro come lui trasalì lasciando cadere i chiodi, videro con quale agilità scese di buon grado dalla scala e come, dopo il brevissimo conciliabolo, il giovane infatuato sfrecciò via in direzione del Cock and Hens. L’unica cosa che dal loro punto d’osservazione non poterono vedere fu lo scintillio dei suoi occhi.
«Non credo, mia cara» mormorò lady Shuttleworth, «di avere poi tutta questa voglia di far visita a Mrs Jones, oggi. Io... io credo che me ne andrò a casa».
«Anch’io» dichiarò Mrs Morrison mordendosi le labbra per impedire loro di tremare. «Andrò a casa a parlare col parroco».