XII.
Spesso la Provvidenza tende a ignorare le rivendicazioni della giustizia poetica. In teoria i bambini di Symford avrebbero dovuto strozzarsi con i dolci di Priscilla; e così, i genitori che li avevano mandati a fare baldoria di domenica sarebbero stati puniti con l’innegabile orrore di avere dei figli morti soffocati. Ma non accadde nulla del genere; e quando nei primi giorni della settimana seguente quasi in ogni cottage vi furono dolori di pancia da lenire – ovvia conseguenza dei cibi insoliti ingurgitati in quantità – solo Mrs Morrison riuscì a vedere in essi le armi brandite dalla Provvidenza nella battaglia per la giustizia eterna. Lo vedeva con tale chiarezza che nei giorni seguenti ogni volta che una madre preoccupata andava da lei in cerca di consiglio, lei sospendeva il lavoro o la preparazione dei pasti senza fiatare e andava alla credenza dove teneva l’olio di ricino con un’alacrità quasi raggiante. Raramente, credo, sono state fornite e somministrate dosi così massicce come quelle che distribuì alla sofferente Symford.
Ma non intendo indugiare oltre su questo lato oscuro della vicenda; la festa era stata un enorme successo, e in un solo colpo Priscilla era diventata popolare tra i poveri di Symford quanto lo era stata a Lothen-Kunitz. D’accordo, il successo era dovuto soprattutto al nutrito assortimento di dolci da lei offerto, dato che l’idea del prestigiatore, della giostra e del tiro al bersaglio che Priscilla aveva incaricato il giovane Vickerton di procurarsi a Minehead era stata abbandonata su coscienzioso consiglio di Tussie, assuntosi il compito di ragguagliare l’innocente mente tedesca di lei che quei divertimenti, senza dubbio di per sé ammirevoli nei giorni feriali, di domenica in Inghilterra erano guardati con disapprovazione.
«Perché?» aveva chiesto Priscilla fortemente sorpresa.
«Perché non aiutano a santificare il giorno di festa» aveva spiegato Tussie arrossendo.
«Buffo».
«Mah, non saprei dire».
«A Kun...» disse Priscilla, ma riuscì a fermarsi appena in tempo. Era stata sul punto di descrivere l’ampio assortimento di trattenimenti delle domeniche pomeriggio a Kunitz.
«Se avete vissuto per tanto tempo a Londra non potete non aver notato che di domenica è tutto chiuso» disse Tussie. «Niente teatri, né altro, ma soprattutto niente tiri al bersaglio».
«In effetti non mi pare di averne visti» rifletté Priscilla tornando col ricordo alle domeniche trascorse in Inghilterra.
Tussie cercò di farsi perdonare l’intralcio ai piani di Priscilla applicandosi con zelo per intrattenere i bambini nei limiti consentiti dalla decenza. Li incoraggiò a cantare, proprio lui per cui una nota stonata era come uno schiaffo; li spronò a recitare mettendo in palio monete da sei pence, proprio lui sul cui animo certe poesie straziate avevano lo stesso effetto di una scudisciata su una pelle delicata; tra il tè e la cena li condusse nei campi per impegnarli in gare di corsa, proprio lui che si buscava il raffreddore per un nonnulla e consapevole che la cosa avrebbe in tutta probabilità comportato una settimana a letto.
Anche Robin diede il suo aiuto, ma questi confinò i propri sforzi alle immediate vicinanze di Priscilla. Sua madre si era arrabbiata parecchio con lui, e lui si era arrabbiato parecchio con lei per essersi arrabbiata, e si era allontanato dalla canonica con l’amaro in bocca e la ribellione nel cuore. Era la prima volta che si rivolgeva a lei con parole tanto dure, ed era stato un frangente scioccante, per quanto un frangente talvolta inevitabile nella vita di genitori e figli dal carattere forte e dai desideri contrapposti. Accecato dalla rabbia, si era ritrovato incapace di mascherare la forza brutale di quelle parole dure, e alla fine aveva voltato le spalle alle risposte amareggiate di lei ed era fuggito a Baker’s Farm, grato di scoprire, una volta arrivato, che la bellezza di Priscilla e l’interesse per il mistero che l’avvolgeva riuscivano a cancellare ogni altro pensiero.
Priscilla si trovava nell’ampia cucina della fattoria a sovrintendere al tè dei piccoli. Un giro per la stanza di tanto in tanto per fare qualche complimento a ogni bambino era tutto il suo contributo alla festa; e il suo girare tra gli ospiti avveniva con movenze così perfette, in maniera così esperta, dispiegando una scorta apparentemente infinita di commenti adeguati e con tale gentilezza – sebbene in modo, come dire... meccanico? – che per la centesima volta Robin si ritrovò a domandarsi cosa potesse essere quel non so che di strano, di come già visto, di sfuggente che la ragazza irradiava. E poi c’era lo zio, palesemente un uomo che non aveva mai partecipato a una festa scolastica, palesemente un uomo infelice in un’occasione del genere; eppure come si dava da fare mentre lei se ne stava in panciolle a osservare, e come si affannava per servire agli ospiti dolci e pane e burro, impacciato, infaticabile e con tutto lo zelo e l’affanno di una persona il cui unico desiderio è compiacere e obbedire. Già, era proprio questo che faceva: finalmente Robin era riuscito a inquadrarlo.
Quello zio straordinario obbediva agli ordini della nipote, e Robin sapeva fin troppo bene che la Germania era l’ultimo dei paesi a produrre uomini che si comportavano a quel modo. Non aveva forse anche lui una cugina che aveva sposato un ufficiale tedesco? Una cugina un tempo vispa e gaia, che trascorreva i suoi giorni, come gli scriveva in tono afflitto, a lasciarsi ripulire la mente dalle erbacce infestanti delle sue piccole opinioni, a farsela cospargere di ghiaia e spianare col rullo, ad accettare le impronte delle opinioni dei parenti acquisiti di sesso maschile. «Eppure io preferisco di gran lunga le erbacce alla ghiaia» gli aveva scritto nei primi tempi, quando ancora non aveva accettato passivamente il rullo, «perché almeno, se non altro, sono verdi».
Ma ormai da un pezzo aveva smesso di lamentarsi; ormai da un pezzo era entrata nell’acquiescenza di chi ha rinunciato, di chi è diventato ciò che gli uomini elogiano in quanto ragionevole e gli dei deplorano in quanto debole, di chi è stanco di prendersela, stanco di tentare, stanco di tutto, se non di dormire. E poi c’era la cameriera della ragazza. Era la prima volta che Robin la vedeva; e mentre aiutava Mrs Pearce a riempire di cioccolata le tazze e a mettervi in cima una grossa cucchiaiata di panna montata alla maniera tanto cara ai tedeschi e tanto meravigliosa agli occhi dei bimbi invitati, Robin andò a offrirle il proprio aiuto.
Annalise lo guardò con occhi pesti e fece un cenno di diniego.
«Non parla inglese, signore» spiegò Mrs Pearce. «È un’incivile totale».
«No inglese» le fece eco con aria lugubre Annalise, che almeno quelle parole le aveva imparate, «No inglese, no inglese».
Robin rispolverò i suoi rudimenti di tedesco e glieli offrì con un sorriso. Subito, nell’udire la propria lingua, la giovane si ridestò con un sussulto, e producendo rapidamente un piccolo taccuino e una matita gli chiese eccitata dove si trovavano.
«Dove ci troviamo?» ripeté Robin sbalordito.
«Ja, ja. L’indirizzo. Di questo posto. Qual è? Dove siamo?»
«Come, non lo sapete?»
«Ditemelo... alla svelta» lo pregò Annalise.
«Insomma, non capisco. Non potete non sapere che siamo in Inghilterra».
«Inghilterra! Certo, questo lo so anch’io. Ma qui... dove siamo? Qual è l’indirizzo? Per farmi mandare le lettere. Alla svelta... ditemelo, alla svelta!»
Ma Robin non si lasciò mettere fretta. «Come mai nessuno ve l’ha detto?» chiese divorato dalla curiosità.
«Ach, nessuno. Non so niente. Sono tenuta al buio come... come una prigioniera». Annalise tirò fuori dalla tasca il fazzoletto e se lo portò agli occhi appena in tempo per fermare le lacrime che altrimenti sarebbero finite dritte nella panna montata, rovinandola.
«Ecco, ci risiamo» disse Mrs Pearce in tono sprezzante. «Piange dal mattino alla sera, e non le va mai bene niente. Grazie al cielo tra poco se ne va. Mai vista una roba del genere».
«Ditemelo, alla svelta, prima che la padrona...» lo implorò Annalise.
«Ve lo scrivo qui» disse Robin prendendole il taccuino dalle mani. «Ma dalla prossima settimana andrete ad abitare in un cottage. Ecco, vi metto il nuovo indirizzo». Scrisse l’indirizzo con la sua calligrafia larga e rotonda e le restituì rapido il taccuino, poiché Mrs Pearce tendeva l’orecchio a tutto quel tedesco e lo guardava scrivere con un’espressione che lo faceva sentire sleale. Talmente sleale che almeno per il momento resisté alla tentazione di continuare a interrogare Annalise; si infilò le mani in tasca e si diresse a passo lento al capo opposto della cucina, dove Priscilla stava seduta tenendo d’occhio i bambini.
“Temo sia stato proprio sleale da parte mia” pensò contrito una volta giunto nuovamente all’incantevole cospetto di Priscilla; ma si consolò al pensiero che nessuna ragazza avrebbe dovuto fare la misteriosa, e che se questa aveva deciso di farlo allora era giusto metterle qualche bastone tra le ruote. Ciononostante continuava a sentirsi sleale; e quando Tussie, che correva affaccendato con una tazza di cioccolata in ogni mano, nell’urtarlo gliene rovesciò un po’ su una manica, l’imprecazione che gli sfuggì in un improvviso accesso d’ira, «Maledizione, Tussie!», aveva poco a che fare con il liquido bollente che aveva trapassato la stoffa fino alla pelle e molto con la convinzione che Tussie, da lui disprezzato fin dalla comune infanzia per la sua debolezza, gracilità e bruttezza, mai avrebbe fatto ciò che lui aveva appena fatto: rivelare alla cameriera ciò la ragazza aveva deciso di tenerle segreto.
“Ma perché segreto? Perché? Perché?” si chiedeva Robin roso dal desiderio di scoprire tutto su Priscilla.
«Lo rifarò spesso» annunciò Priscilla con un sorriso compiaciuto sollevando su di lui lo sguardo. «Non ho mai visto delle creature divertirsi tanto con così poco. Non trovate bello regalare ai poveri qualche momento lieto?»
«Molto bello» disse Robin senza staccarle gli occhi dal viso.
«È ciò che mi riprometto di fare in futuro» soggiunse Priscilla con aria sognante, il mento appoggiato alla mano.
«Vi verrà a costare parecchio» commentò l’altro. C’erano infatti quasi duecento bambini: sui lunghi tavoli Priscilla aveva fatto disporre il più straordinario assortimento di cibarie: nell’estendere gli inviti aveva chiesto a ogni madre cosa piacesse di più al figlio, e lo aveva ordinato a Minehead con la prodigalità dell’ignoranza.
«Oh, condurremo una vita così frugale che ne avanzerà senz’altro per fare tutto ciò che voglio. Vivere con frugalità sarà un cambiamento quanto mai piacevole. Fritzi detestava tutta la pompa e lo sfarzo tanto quanto li detestavo io».
«Davvero?» chiese Robin trattenendo il fiato. Evidentemente la ragazza aveva abbassato la guardia. Era la prima volta che la sentiva chiamare lo zio semplicemente Fritzi. E quali cerimonie e sfarzo potevano esserci mai stati nell’esistenza di un maestro tedesco?
«È stato lui a farmi capire che il corpo non è solo carne, e i pensieri non sono solo bei vestiti» rifletté Priscilla ad alta voce.
«Sul serio?»
«È stato lui a tirar fuori la mia anima dalle lusinghe della vita agiata. Io sono una specie di Israele uscita dall’Egitto, ma un Egitto decisamente troppo comodo».
«Troppo comodo? È mai possibile essere troppo comodi?»
«Io lo ero. Non riuscivo a muovermi, a vedere o a respirare per il troppo agio. Era come affondare in un letto di piume».
«Non lo chiamerei agio» disse Robin; Priscilla si era fermata e lui temeva che non avrebbe proseguito. «Sembra una tortura».
«Infatti alla fine lo era. Fritzi mi ha aiutata a scuotermi di dosso tutto questo. Se non l’avesse fatto, avrei finito lentamente per soffocare, e forse, se non l’avessi mai conosciuto, sarebbe successo con la stessa eleganza con cui è successo alle mie sorelle. Dico, non si sono ancora accorte di essere morte».
Robin taceva. Temeva che, parlando, qualcosa avrebbe ricordato alla ragazza la parte che era tenuta a recitare. Ora non aveva più dubbi: stava tenendo un segreto. Alle sue labbra si affollavano mille domande. Si detestava per la voglia che aveva di porle, di essere tanto curioso, di approfittare della ragazza mentre aveva la guardia abbassata, ma chi è in grado di opporsi alle debolezze ricevute in eredità?
La madre di Robin era curiosa, caratteristica che gli aveva trasmesso col sangue, e che io sappia non esiste magnesia morale capace di depurare da una cosa del genere. «L’altro giorno mi avete detto» disse infine, incapace di trattenersi oltre, «che al mondo avevate solo lo zio. Le vostre sorelle... vivono a Londra?»
«A Londra?» domandò Priscilla fissandolo per un attimo vagamente sorpresa. Poi una luce di paura le si accese negli occhi. «Non vi ho forse detto che sono morte? Soffocate?» disse alzandosi alla svelta mentre il viso le si incupiva. Era lo stesso cipiglio che aveva raggelato Tussie nella brughiera.
«L’avevo presa per una parabola».
«E io cosa posso farci se l’avete presa per tale?»
E si allontanò di scatto per fare un giro tra i tavoli, riprendendo a fare complimenti ai bambini nel modo che per qualche ragione tanto lo colpiva.
Conosceva bene quel genere di comportamento. Aveva visto lady Shuttleworth metterlo in atto almeno cinquanta volte nei confronti degli affittuari, degli abitanti dei cottage, alle esposizioni floreali, alle vendite di beneficenza, insomma, in tutte quelle occasioni pubbliche in cui agiva in veste di madrina; ma per quanto esperta e veterana potesse essere lady Shuttleworth, questa ragazza sembrava esserlo ancora di più. Era come un’artista che avesse raggiunto la perfezione nel suo campo, si disse Robin nell’appoggiarsi alla parete con il bel viso arrossato e lo sguardo imbronciato fisso su di lei.
L’insieme di mistero e distacco di Miss Neumann-Schultz era più che sufficiente a far imbronciare qualunque giovane di bell’aspetto. Incredibilmente, con lei non era ancora riuscito ad abbandonarsi a quella forma di dialogo più o meno metaforico noto ai giovanotti e alle fanciulle di Symford come flirtare. Robin avrebbe flirtato con lei ben volentieri. Era un’attività in cui eccelleva. E benché si fosse prodigato per tre lunghi giorni, durante i quali si era inerpicato su scale a pioli, aveva legato rampicanti, acquistato e recapitato rum, e avuto un terribile scontro con la madre a causa di lei, non si era avvicinato di un centimetro a una confidenza più intima e personale. Miss Neumann-Schultz lo ringraziava con gentilezza per il disturbo che si era preso; oh, affabile lo era di sicuro, la stessa affabilità di cui faceva mostra anche lady Shuttleworth quando, nel tornare dalla villeggiatura, era solita accarezzargli la testa e rivolgergli qualche parola gentile. Poi, però, si dimenticava di lui fino alla volta successiva in cui aveva bisogno di qualcosa.
«Fritzi» annunciò Priscilla, quando nel fare il giro della stanza si imbatté in quell’uomo oberato, «ho il terribile sospetto di essermi lasciata sfuggire delle sciocchezze».
Fritzing posò su una credenza il vassoio di dolci che aveva in mano e si asciugò la fronte. «Vostra altezza» rispose con espressione corrucciata, «non posso tenere d’occhio voi e allo stesso tempo distribuire cibo a questi barbari. Se la vostra lingua è così indisciplinata suggerisco il più completo silenzio».
«Mi sono lasciata sfuggire qualcosa riguardo alle mie sorelle».
«Sorelle, vostra altezza?» indagò Fritzing con aria ansiosa.
«È molto grave?»
«Grave? Mi sono preso la briga di lasciare intendere a quella Pearce, che come nelle mie previsioni è andata a spifferarlo a tutto il villaggio, che voi siete l’unica figlia di mio fratello. Di conseguenza, vostra altezza, voi non avete sorelle».
Priscilla fece un gesto di disperazione. «Perché deve essere così orribilmente difficile non essere sinceri?» commentò.
«Sante parole. Da quando abbiamo dato inizio a questa avventura tutta la schiatta dei malfattori è diventata oggetto della mia più sincera ammirazione. Che intelligenza, che sveltezza, e quali capacità di inganno, di intraprendenza e di autocontrollo nell’affrontare il pericolo...»
«Sì, ma adesso cosa facciamo, Fritzi?»
«Facciamo, vostra altezza? Riguardo alle vostre auguste sorelle? Avesse voluto il cielo che nascessi malfattore!»
«Già, ma poiché non sei nato tale... devo tornare da lui e puntualizzare che sono sorelle solo per metà? O sorellastre? O cognate? Pensi sistemerebbe le cose?»
«Con chi avete parlato?»
«Con Mr Morrison».
«Vostra altezza, vi prego di essere ancora più prudente con quel giovanotto che con chiunque altro. Credo che in confronto a lui il nostro giovane amico Cesare Augusto sia l’innocuità in persona. State in guardia, vostra altezza. Tenete a freno quella fatale appendice femminile che è la lingua. Ho notato che ci osserva. E poco fa l’ho visto confabulare con la vostra cameriera. A me ha già teso diverse trappole, che sono riuscito a evitare solo grazie a una straordinaria presenza di spirito e a una prontezza dialettica degna quasi di un malfattore nato».
«Oh Fritzi» esclamò Priscilla impaurita, la mano sulla manica di lui, «vai tu a dirgli che non intendevo dire quel che ho detto».
Fritzing si passò di nuovo fazzoletto sulla fronte. «Non riesco a capire» disse guardando Priscilla con occhi pieni di preoccupazione, «cosa abbiamo che attira tanto l’attenzione degli altri».
«Niente» rispose Priscilla convinta. «Siamo stati molto attenti e scaltri. È solo adesso che... non so perché, ma ho cominciato a pensare a voce alta».
«A voce alta?» le fece eco Fritzing inorridito. «Oh vostra altezza, vi imploro di non farlo mai più. Sarebbe mille volte meglio non pensare affatto. E cos’è di preciso che vostra altezza ha pensato a voce alta?»
Priscilla, mortificata, gli riferì quanto riuscì a ricordare.
«Cercherò di porvi rimedio» disse il povero Fritzing ravviandosi i capelli con mano tremante.
Priscilla sospirò, e con aria contrita restò a capo chino accanto alla credenza mentre lui attraversava la stanza diretto al punto in cui Robin era ancora appoggiato alla parete.
«Signore» esordì Fritzing – a differenza di quanto faceva con Tussie, non lo chiamava mai «giovanotto» – «mia nipote mi riferisce che siete incapace di distinguere la verità da una parabola».
«Come dite?» chiese Robin fissandolo a occhi sgranati.
«Non dovete supporre, signore, che quando mia nipote descrive le sue sorelle come morte esse lo siano realmente».
«Ma certo, signore» rispose Robin con occhi che cominciavano a luccicare.
«L’unica parte della storia in cui mia nipote ha fatto ricorso all’allegoria è stata quando le ha descritte morte soffocate. Perché vedete, signore, quelle giovani donne sono morte normalmente, nel loro letto».
«Un letto di piume, signore?» si informò Robin prontamente.
«Signore, non mi sono mai interessato alla natura del loro letto» lo riprese Fritzing con severità.
«Non trovate alquanto strano» domandò Robin, «che due giovani donne della stessa famiglia muoiano entrambe contemporaneamente? Erano di salute cagionevole?»
«Signore, non sono morte contemporaneamente, né erano di salute cagionevole. Sono state perfettamente sane finché... finché hanno cominciato a morire».
«Capisco» replicò Robin con partecipazione opportunamente venata di rammarico. «Mi sia almeno concesso esprimere le mie condoglianze, signore» aggiunse compito dopo una pausa in cui lui e Fritzing si erano guardati in cagnesco.
«Concesso, signore». E dopo un inchino rigido Fritzing tornò da Priscilla, e con un sospiro di sollievo la informò di avere sistemato le cose.
«Caro Fritzi» disse Priscilla avvolgendolo con uno sguardo in cui l’affetto si mescolava all’ammirazione, «come sei intelligente».