XIV.

A un certo punto della storia ho fatto capire ciò che per il lettore intelligente dev’essere stato chiaro fin dall’inizio, ovvero che Annalise teneva in pugno Priscilla e Fritzing. Nel trambusto delle prime ore non ne aveva preso coscienza, ma durante i tristi giorni della disillusione a Baker’s Farm se ne era accorta con sempre maggior evidenza; e dalla domenica, giorno in cui aveva conosciuto un giovanotto sorridente e disposto a parlare con lei in tedesco e a rispondere alle sue domande, era perfettamente consapevole che doveva solo stringere il pugno per dare alle sue vittime la forma desiderata. Si riproponeva di farlo alla prima occasione in cui non ne avesse potuto proprio più, e il momento sembrò arrivare quando nell’entrare a Creeper Cottage si rese conto di cosa significavano davvero quella soffitta, la cucina e la pompa dell’acqua.

È sempre un brutto colpo scoprire di essersi allevati una serpe in seno, un brutto colpo e una sorpresa; uno spettacolo a cui, in qualche modo, non ci si abitua mai. Ma la situazione diventa addirittura spaventosa se ci si ritrova alla mercé di quella serpe, una serpe risentita, pronta a stringere le spire con tutta la propria forza. L’amara riflessione di Fritzing fu che avrebbero fatto bene a lasciare Annalise a casa. Fatto bene a lasciarla a casa? Oh, sarebbe stato mille volte meglio. Cos’aveva fatto se non piagnucolare, e restare passiva? E ora che si era attivata, come un vulcano che eruttava infuocati torrenti di slealtà sulle loro teste innocenti – proprio lei, insignificante, di umili origini e senza cervello – si ritrovava effettivamente in potere di rovinare i piani della più nobile tra le donne.

Ecco a cosa pensava Fritzing mentre si asciugava la fronte. Annalise era fuggita in soffitta dopo avergli scaraventato in faccia tutta la sua ribellione; il suo spirito non sarebbe arretrato davanti a nulla, ma il corpo era troppo esile per rischiare di rimanere a tiro di un uomo che sembrava avere ogni intenzione di afferrarla e scuoterla.

Fritzing si asciugava la fronte, poi di nuovo, senza mai smettere. Si trovava ancora dove lei l’aveva lasciato, con gli occhi a terra, in preda a un’angoscia tale da essere prossimo alle lacrime. Cosa fare? Cosa dire alla principessa? Come impedire alla ragazza di tornare a Kunitz? Come impedirle di percorrere la distanza che la separava dal giovane Morrison? Sarebbe stato terribile se gli avesse rivelato la vera identità di Priscilla. A quel punto non avrebbero più potuto vivere a Symford. Né altrove in Inghilterra. Il granduca avrebbe dato loro la caccia, e sarebbero dovuti fuggire in un altro paese, ricominciare da capo, mettersi alla ricerca di una nuova casa, il tutto con nuove spiegazioni, finzioni, bugie, timori... tutte cose di cui era già stanco. Ma c’era qualcos’altro, ancora peggiore di tutto questo, che induceva Fritzing ad asciugarsi la fronte in modo tanto disperato: Annalise gli aveva chiesto il denaro che le doveva, e lui non ne aveva.

Fritzing non aveva la stoffa del cospiratore. La natura non l’aveva destinato a ordire trame, a orchestrare brutte sorprese a danno di genitori. Non l’aveva destinato a essere un fuggitivo. Probabilmente l’aveva destinato a trascorrere i suoi giorni in comunione col passato in maestosi saloni dalle pareti affrescate e busti tutt’attorno.

Che fosse obbligato ad agire, a prendere decisioni, a giocare d’astuzia, a litigare con una cameriera, a far quadrare il bilancio, a costringere la sua notevole statura e natura esuberante dentro un Creeper Cottage, dove solo una porta che si chiudeva malamente lo separava dai rumori e dagli odori della cucina, era di certo uno scherzo crudele del destino, ancor più in quanto ne era stato lui l’artefice. L’esser fuggito come un qualunque altro essere umano è la dimostrazione di quanto onesto fosse il suo animo. Un uomo che riesce a orchestare con successo una fuga si porta dietro, oltre a molte altre cose, un’ingente somma di denaro, e quando è necessario sa esattamente come procurarsene dell’altro. Fritzing si era detto che era meglio andar via alla svelta con poco denaro piuttosto che aspettare e prenderne dell’altro. Aveva prelevato quanto più possibile dei propri risparmi non investiti, e Priscilla aveva ritirato un po’ di contante alla banca di Kunitz.

Ma, una volta pagato il guardaroba di Priscilla e corrotto Annalise, ciò che gli restava nelle ghette non ammontava a più di trecento sterline. Cosa sono mai trecento sterline per una persona che compra e arreda cottage e distribuisce banconote da cinque sterline tra i poveri? I cottage erano pagati. Aveva insistito per pagarli subito, e chiudere alla svelta il suo rapporto d’affari con Mr Dawson; Mr Dawson però si era rifiutato di lasciarglieli a meno di centocinquanta sterline per tutti e due, anche se per Tussie cento sarebbero state sufficienti. Quando Fritzing aveva riferito a Mr Dawson le parole di Tussie, Mr Dawson gli aveva dimostrato all’istante come l’avesse senz’altro frainteso; e Fritzing, a conoscenza delle ricchezze di Priscilla e degli ingenti risparmi che lui aveva in Germania in forma di titoli sicuri, aveva pagato senza discutere e si era allontanato in tutta fretta da quella sgradita presenza. Il loro viaggio da Kunitz era costato parecchio, così come, strano a dirsi, il soggiorno a Baker’s Farm.

Confortare Mrs Jones era stato oneroso; le madri del villaggio avevano alleggerito il portafoglio di Priscilla di dieci sterline per ben due volte; e neppure il ricevimento per i bambini di Symford era stato a buon mercato. Una volta saldato il conto – il pasticciere di Symford si era rivelato uomo di poca fede negli stranieri a lui sconosciuti, e aveva preteso il pagamento alla consegna – a Fritzing erano rimaste circa quaranta sterline. Aveva ipotizzato che la somma avrebbe coperto le spese per il cibo, l’illuminazione e tutto il resto per un bel pezzo, di certo fino a quando avesse escogitato un piano per mettere mano ai soldi di Priscilla e ai propri risparmi senza rivelare dove si stavano nascondendo; ma lì, sul tavolo, aveva trovato la seconda spiacevole sorpresa dal suo ingresso nella nuova casa (la prima era stata il sorriso agghiacciante del suo ex padrone): la fattura per gli arredi.

A un uomo in possesso di sole quaranta sterline qualunque fattura sarebbe parsa esorbitante. Questa particolare ammontava a quasi duecento; e alla fine della lunga lista di articoli, il più oneroso dei quali era la stanza da bagno senza acqua corrente che aveva indotto Annalise a scioperare, c’era l’informazione che era dovuta una rimessa. Una rimessa! Povero Fritzing.

Appallottolò il foglio nel pugno e si lasciò andare ad alcuni commenti caustici sull’indecenza di quella gente, che strepitava per avere i propri soldi ancor prima che l’ultimo operaio avesse lasciato la casa, di certo prima che l’odore di vernice fosse svanito, e che strepitava, oltretutto, nonostante lui vantasse la garanzia e il sostegno degli Shuttleworth. Era a Symford da neppure una settimana, ed era stato così occupato che aveva rimandato l’elaborazione di un piano per far arrivare il denaro dalla Germania a quando si fosse stabilito nella nuova casa.

Mai avrebbe immaginato che qualcuno pretendesse un pagamento in questi termini. O che la principessa avesse bisogno di tanto denaro per i poveri, o che a tre giorni dall’arrivo ci sarebbe stata una festa per i bambini. Ma soprattutto, mai avrebbe immaginato di dover sborsare subito una tangente per Annalise. Dopo essere rimasto per un bel pezzo a pensare e ad asciugarsi il sudore freddo dalla fronte, comprese che era effettivamente l’unica cosa da fare. Doveva comprare il suo silenzio, acconsentire alle sue richieste. Doveva perciò separarsi da quelle quaranta sterline; e anche dal suo orgoglio, e rassegnarsi ad avere il piede di quella sfrontata sul collo. Un giorno, pensò Fritzing digrignando i denti, gliel’avrebbe fatta pagare. Promise a sé stesso che quando quel giorno fosse arrivato avrebbe cominciato con una sonora scrollata. “È proprio vero” rifletté, “che le cose sciocche del mondo sconfiggono quelle sagge, e le cose deboli sconfiggono quelle grandiose”. Uscito nel cortile posteriore, si posizionò sotto la finestra di Annalise e la chiamò a bassa voce. «Fräulein» la invocò con la voce carezzevole di un colombo che corteggia la compagna.

“Aha!” esclamò tra sé Annalise sedendosi sul letto, svelta a cogliere il cambiamento; ma non si mosse.

«Fräulein» la esortò lui di nuovo. Non era tanto una convocazione quanto un melodioso mormorio.

Annalise non si mosse, ma sorrise.

«Fräulein, scendi un attimo» tubò Fritzing, la cui testa raggiungeva quasi la finestra della soffitta, tanto era basso Creeper Cottage. «Ho bisogno di parlarti. E ho qualcosa da darti».

Annalise non si mosse, ma si ficcò in bocca il fazzoletto; per la prima volta da quando aveva lasciato Calais si stava divertendo.

«Se sono stato irascibile, poco fa» proseguì Fritzing dopo una pausa colma d’ansia, «e temo di essere stato alquanto brusco, non devi darci peso, è solo perché sono gravato da molte afflizioni. Vieni giù, Fräulein, e lascia che faccia ammenda».

Il campanello della principessa suonò. Subito l’abitudine indusse Annalise a fare quello che le suppliche di Fritzing non sarebbero mai riuscite a ottenere: si precipitò giù per la scala e, lasciandolo lì sotto la finestra, si presentò dalla padrona con la solita espressione di mansueto rispetto.

«Ho chiesto il tè» scandì Priscilla articolando distintamente le parole e guardandola con un sopracciglio inarcato.

Annalise fece la riverenza e scomparve.

«Come sono a modo le cameriere tedesche» commentò Tussie.

«In che senso?» chiese Priscilla.

«Tutte queste riverenze. Sono magnifiche».

«Le cameriere inglesi non fanno la riverenza?»

«Mai, che io abbia visto. Solo ai membri della famiglia reale, credo».

«Oh!» disse Priscilla trasalendo. Era ancora talmente scossa dall’incontro inaspettato col padre sulla parete di Creeper Cottage che non riuscì a controllare quel lieve sobbalzo.

«Mi chiedo cosa farebbe una cameriera tedesca al servizio di una famiglia reale» disse Tussie, «se davanti a una normale padrona si inchina in questo modo. Davanti a una principessa cadrebbe in ginocchio, immagino».

«Come posso saperlo?» rispose Priscilla in tono irritato e allarmata per il rossore che sentiva salirle alle guance; e con grande convinzione cominciò a parlare di letteratura.

Fritzing, in attesa di Annalise, la incrociò mentre entrava nella stanza da bagno.

«Fräulein» disse l’uomo disperato cercando di comporre il proprio viso in un’espressione persuasiva, «non puoi lasciare la principessa senza il tè».

«Sì che posso» ribatté Annalise.

Lui si infilò le mani in tasca per impedirsi di abbrancarla per le spalle.

«Fallo almeno per questa volta, Fräulein, e assumerò una donna del paese perché lo faccia d’ora in poi. Non devi lasciare il servizio presso la principessa, un servizio che ti fa grande onore, solo perché sono stato un poco irascibile. Ti darò duecento marchi come consolazione per la leggera, benché indubbia, differenza nello stile di vita, e come già detto assumerò una donna che venga ogni giorno a cucinare. Direi che così va bene, no?»

«No» rispose Annalise.

«No?»

Annalise si mise le mani sui fianchi e, dondolandosi leziosa da un lato all’altro cominciò a cantare con voce sommessa. Fritzing osservò quella metamorfosi in un silenzio sbalordito. «Jedermann macht mir die Cour, c’est l’amour, c’est l’amour» cantava Annalise con la testa china di lato, gli occhi sul soffitto.

«Ma liebes Kind, allora le tue promesse non valgono niente? Non avevi promesso di tenere la bocca chiusa, di non tradire la fiducia della principessa? Non ti ho forse scelta tra tutte per affidarti l’onore di mantenere i suoi segreti? E tu, dopo una sola settimana, saresti già pronta a divulgarli a un estraneo? A non lavorare più al suo servizio? A tornare a Kunitz? Dico, ti sembra una bella cosa?»

«C’est l’amour, c’est l’amour» gorgheggiava Annalise dondolandosi.

«Ti sembra una bella cosa?» ripeté Fritzing, soffocando la voglia disperata di prenderla a schiaffi.

«Avete parlato?» domandò Annalise interrompendo il canto.

«Certo che ho parlato. Ti ho chiesto se ti sembra una bella cosa tradire i segreti della tua nobile padrona».

«Mi avete fatto patire la fame» disse Annalise.

«Hai mangiato quel che abbiamo mangiato noi».

«Mi avete insultato».

«Ho già espresso il mio rammarico».

«Mi avete trattato come una pezza da piedi».

«Beh, ti ho chiesto scusa».

«Se mi aveste trattata come merita di essere trattata la cameriera di una principessa, io avrei fatto la mia parte con lealtà e avrei tenuto la bocca chiusa. Ora datemi i miei soldi, perché io me ne vado».

«Ti darò i tuoi soldi, certo, certo, liebes Kind. È esattamente quello che ho intenzione di fare. Ma solo a condizione che tu rimanga. Se te ne vai, lo farai senza soldi. Se invece rimani farò come ho detto riguardo a una cuoca e...», qui Fritzing esitò un istante, «cercherò di non dire più niente di offensivo».

«Duecento marchi non sono niente» disse Annalise fissando il soffitto.

«Niente?» ripeté Fritzing. «Sai benissimo che per te è una somma considerevole».

«Non sono niente. Ne voglio mille».

«Mille? Ma dico, cinquanta sovrane? Ragionare con te è impossibile» gemette Fritzing con un tono di cupa disperazione. Cogliendo la convinzione della voce di lui, Annalise tentennò. «Ottocento, allora».

«Impossibile. Inoltre sarebbe profondamente disonesto. Te ne darò venti».

«Venti? Venti marchi?» Annalise lo fissò sbalordita per un attimo, poi riprese a dondolarsi e a cantare. «Jedermann macht mir die Cour» intonò con rinnovato vigore.

«No, non marchi, venti sterline» specificò Fritzing interrompendo quella melodia esasperante. «Quattrocento marchi. Senza far niente, solamente per tenere la bocca chiusa, otterresti quello che molte ragazze tedesche guadagnano in due anni di lavoro».

Annalise strinse le labbra e scosse il capo.

«Per quella cifra la mia bocca si rifiuta di stare chiusa» annunciò riprendendo a dondolarsi e canticchiare.

Mille epiteti affiorarono alle labbra di Fritzing, ma lui li ricacciò indietro. «Mädchen» disse con la delicatezza di un pastore in una classe di cresimande, «dimentichi forse che l’amore per il denaro sta alla radice di tutti i mali? Non ti riconosco più. Da quando sei diventata tanto avida?»

«Datemi i miei ottocento marchi e smetterò di esserlo».

«Te ne darò seicento» concesse Fritzing combattendo per le sue ultime, preziose sterline.

«Ottocento».

«Seicento».

«Ho detto ottocento» ribadì Annalise smettendo di dondolarsi e guardandolo con un sopracciglio inarcato; aveva imitato il modo di parlare chiaro e distinto con cui con poco prima la principessa aveva articolato: «Ho chiesto il tè».

«Seicento è una somma esorbitante. Dico, cosa te ne fai?»

«Questo è affar mio. Magari mi ci comprerò da mangiare» disse lanciandogli un malizioso sguardo in tralice.

«Ti dico che ci sarà una cuoca».

«Una cuoca» disse Annalise contando sulle dita, «e che sia brava, badate, non una come Frau Pearce. Una cuoca, quindi, basta insulti e ottocento marchi. Allora rimarrò qui. Soffrirò. E terrò la bocca chiusa».

«Ma è impossibile. Non posso darti ottocento marchi».

«C’est l’amour, c’est l’amour... La principessa sta aspettando il tè. Per questa volta glielo preparo. Lo vedete? Sono di animo buono. Però voglio ottocento marchi. C’est l’amour, c’est l’amo-o-o-o-o-our».

«Te ne darò settecento» propose Fritzing dopo un rapido calcolo mentale. Settecento equivalevano a un poco meno di trentacinque sterline. Gliene sarebbero rimaste ancora cinque per le spese di casa. Ammise tra sé che solo il cielo sapeva quanto sarebbero durate, ma sperava che facendo qualche economia sarebbero bastate per un paio di settimane, al termine delle quali avrebbe certo trovato un modo per ottenere rifornimenti freschi dalla Germania. «Te ne darò settecento. Di più non posso. Almeno non finché mi arriveranno altri soldi dalla Germania. Al momento ho qui in tutto poco più di questa somma. Lo vedi? Ti tratto come una persona ragionevole, ti dico senza giri di parole come stanno le cose. Anche volendo non potrei dartene più di settecento».

«Bene» disse Annalise interrompendo la nenia all’istante. «Per ora prenderò questi, e prometto di stare zitta per due settimane. Al termine delle due settimane Herr Geheimrath avrà molti più soldi, e se vorrà ancora i miei servizi e il mio silenzio mi darà i trecento marchi che mancano ai mille richiesti. Se Herr Geheimrath preferisce fare altrimenti, allora tornerò al mio paese. Nelle prossime due settimane soffrirò in silenzio tutto quello che ci sarà da soffrire. Siamo intesi, Herr Geheimrath

“Svergognata!” la insultò tra sé Fritzing. “Aspetta e vedrai cosa succederà quando mi capiterà l’occasione”. Ma ad alta voce accettò l’accordo. «E va bene allora, Fräulein. Va’ a portare il tè alla principessa, poi presentati da me e ti darò il denaro. In cucina il fuoco è acceso. Gli utensili sono a portata di mano. Non dovrebbe essere un compito difficile» la istruì.

«Forse Herr Geheimrath può mostrarmi dove si trovano il tè e il latte? E anche lo zucchero. E il pane e il burro, se ce ne sono» suggerì Annalise con una vocetta suadente mentre lo precedeva a passo spedito verso la cucina.

Cosa poteva fare Fritzing se non seguirla? Il piede di lei era già saldamente calcato sul suo collo; e mentre rovistava afflitto tra i barattoli realizzò che se quella creatura si fosse messa in testa di sposarlo era ragionevole supporre che avrebbe dovuto acconsentire. Di fatto fu lui, e non Annalise, a prendere il bollitore e ad andare alla pompa per riempirlo. Mentre svolgeva il compito il viso di lei sarebbe stato motivo di gioia per i genitori e le altre persone a cui era cara, tanto ampio era il sorriso di soddisfazione che vi campeggiava. Trovarsi alla mercé di una Annalise può essere un vero supplizio.