XVII.
Verso le tre del pomeriggio Priscilla si rese conto di ciò che aveva già vagamente intuito quella mattina: se voleva la pace domestica tra le mura di Creeper Cottage doveva muoversi. E a lei muoversi non piaceva, quanto meno non in tutte le direzioni. Era disposta ad aiutare i poveri, ad allietarli, persino ad accudirne i piccini e a rimestare il loro porridge, ma fino a quel momento non aveva preso consapevolezza dei propri bisogni, di quanto fossero pressanti, importuni. Era stata la fame a darle chiarezza di pensiero. I primi morsi l’avevano divertita. Ora, quando li sentiva, ne restava sorpresa e indignata. «Possibile che questo stupido corpo non possa mai starsene tranquillo?» si disse spazientita quando le prime fitte la distolsero inesorabili dalle scorate elucubrazioni accanto al fuoco. Ricordava i sudori freddi della notte prima, e sapeva che quei sintomi sarebbero ricomparsi se non avesse mangiato al più presto. Suonò il campanello per chiamare Annalise. «Di’ alla cuoca che alla fine ho deciso di pranzare» ordinò.
«La cuoca se n’è andata» disse Annalise con occhi ancora più gonfi del solito.
«Andata dove?»
«Andata via. Per sempre».
«Ma perché?» chiese Priscilla costernata.
«Herr Geheimrath l’ha insultata. L’ho sentito io. Nessuna donna per bene accetterebbe di essere trattata in quel modo. Se n’è andata immediatamente. Nessuno ha preparato il pranzo. E ho paura che non ci sarà n-nemmeno la c-cena». Annalise se ne uscì in un gran singhiozzo e si coprì la faccia col grembiule.
Allora Priscilla capì che se voleva vivere tranquilla toccava a lei tirare la carretta. Era evidente che tra le classi basse Fritzing non aveva successo come carrettiere. La visione di sé stessa intenta a tirare una carretta era agghiacciante, ma non ci si soffermò più di tanto. «Annalise, portami cappello e cappotto. Devo uscire» disse scuotendosi leggermente e alzandosi.
Annalise lasciò cadere il grembiule quel tanto che bastava per indicare il diluvio che imperversava fuori. «Con questo tempo?» balbettò. Aveva davanti agli occhi immagini moleste di indumenti zuppi di fango che richiedevano una sfacchinata a suon di sapone e spazzola.
«Valli a prendere, ti dico».
«Vostra altezza granducale si bagnerà da capo a piedi».
«Valli a prendere. E smettila di piangere. È un terribile spreco di tempo».
Annalise si ritirò, e Priscilla andò da Fritzing. Era la prima volta che entrava in casa sua. Lui era seduto al tavolo, col viso tra le mani, lo sguardo fisso sul conto del mobiliere. Colto di sorpresa dall’arrivo inaspettato di lei dalla cucina, chiuse in tutta fretta il conto in un cassetto.
«Fritzi, oggi hai mangiato?»
«Certo. Ho fatto un’eccellente colazione».
«Nient’altro?»
«Non mi è ancora venuta fame».
«Sapevi che la cuoca mandata da lady Shuttleworth se n’è andata?»
«Cosa? Quella che mi è piombata in casa era la cuoca di lady Shuttleworth?»
«Sì, e tu l’hai fatta spaventare, perciò è scappata a casa».
«Vostra altezza, aveva superato i limiti della mia pazienza».
«Caro Fritzi, mi chiedo spesso dove stiano esattamente i limiti della tua pazienza. Con me si sono ritirati nell’infinità dello spazio. Non sono mai stata capace di raggiungerli. Ma tutti gli altri sembrano avere un vero talento nel riuscirci. Beh, qualcuno deve pur cucinare. Tu mi dici che Annalise non lo fa. Forse non è davvero capace. Ma in ogni caso non voglio dirle niente, sarebbe troppo orribile se si rifiutasse apertamente di ubbidire a un mio ordine senza che io abbia la possibilità di licenziarla. Ma qualcuno deve pur cucinare, e io sto per uscire a cercare quel qualcuno. Shh» disse alzando la mano prima che lui potesse aprir bocca, «lo so, sta piovendo. So che mi bagnerò. Non sprechiamo tempo in inutili discussioni. Io vado».
Fritzing fu colto dai rimorsi di coscienza. «Vostra altezza» disse, «dovete scusarmi se sono stato malaccorto e vi ho causato questo fastidio. Se avessi avuto tempo per riflettere, sarei stato meno brusco. Ma la donna mi ha preso alla sprovvista, non sapevo neppure chi fosse. Mi sarei tagliato la lingua piuttosto che offenderla, se avessi previsto che poi sarebbe toccato a voi andare in cerca di un rimpiazzo sotto la pioggia. Permettetemi di cercarne un’altra».
«No, no, non hai fortuna con le cuoche» rispose Priscilla sorridendo. «Vado io. Guarda, mi sento già più allegra. Il semplice fatto di alzarmi da quella poltrona mi fa sentire meglio».
«Non eravate allegra, prima?» la interrogò Fritzing con la voce venata di ansia.
«Non molto» ammise Priscilla. «Ma del resto neppure tu. Credi che non ti abbia visto con la testa tra le mani quando sono entrata? Le persone allegre non si tengono la testa in quel modo. Ora, Fritzing, lo so cosa ti preoccupa: la storia assurda di ieri sera. Io ho già smesso di pensarci. Ho intenzione di tornare a essere felice, e lo stesso deve valere per te. Non permetteremo a un giovane scellerato di rovinarci l’esistenza, vero?»
Fritzing si chinò e le baciò la mano. «Permettetemi almeno di accompagnarvi» la implorò. «Non potrei sopportare...»
Ma lei fece un cenno di diniego; e mentre di lì a poco camminava sotto la pioggia con l’ombrello di Fritzing – non ne avevano ancora acquistato uno nuovo per rimpiazzare il suo, andato rotto durante il viaggio – infangandosi e inzuppandosi col passare dei minuti, sentiva che ora finalmente era arrivata alla condizione elementare, era scesa dalle alte vette e atterrata dove l’esistenza è scomoda e senza fronzoli, dove il Bisogno passa il suo tempo a obbligarti a fare tutto ciò che non ti piace, dove tutto il mondo appare affamato, infangato e fradicio. Per lei fu un’esperienza eccezionale sciaguattare in quel modo nel fango con le scarpe zuppe, senza la prospettiva di un pasto e con il cuore che insisteva a sprofondarle in petto nonostante cercasse in ogni modo di convincersi che la situazione era divertente.
No, non la trovava affatto divertente. Ma qualcun altro, forse, avrebbe potuto trovarla tale: il granduca, per esempio, se avesse potuto vederla in quel momento (da una finestra in stile gotico, diciamo, all’asciutto, sazio e ben accudito), mentre riceveva la giusta, inevitabile punizione tramite armi che la Provvidenza non lascia mai arrugginire, armi che risparmierebbero a genitori e tutori tanta fatica se solo lasciassero che le cose seguissero il loro corso: le conseguenze dolorose e repentine che sempre accompagnano le azioni dell’impetuoso. Se questa fosse una predica per una congregazione impossibilitata a fuggire mi dilungherei sull’abitudine di dette armi a colpire con identica furia il giusto e l’ingiusto; su come basti comportarsi in modo anche solo un poco sciocco, ed ecco che ti colpiscono, incontrastate e inesorabili, con un’irrevocabilità che ci lascia invalidi per anni; su come le cause non contino affatto – possono persino essere circonfuse di bontà – né tanto meno le circostanze, che potrebbero avere reso impossibile un qualunque altro svolgersi di eventi. Ecco, tutto ciò non conta nulla, perché siamo e saremo comunque colpiti. Ma questa non è una predica. E se anche lo fosse, il lettore potrebbe semplicemente saltare la pagina.
Per Priscilla fu un conforto sapere che quasi tutto il villaggio era disponibile a cucinare per lei. L’abilità culinaria di quelle donne era molto limitata, ma si proponevano di compensare i limiti dandosi indefessamente da fare per lei in altri modi: avrebbero strofinato, spazzato, pulito i vetri, fatto il bucato, insomma, qualunque cosa. Erano anche disposte ad attaccare i bottoni sugli indumenti dello zio? chiese Priscilla apprensiva. Sì, erano disposte ad attaccare bottoni, a ricoprire Fritzing di bottoni da capo a piedi, se questo l’avesse resa felice. Uno zelo molto gratificante, ma anche imbarazzante. Le uniche ad astenersi dall’offrire i propri servizi furono le donne più vecchie e quelle molto giovani.
Alcune ragazze vennero scartate perché troppo gracili; alcune madri perché i figli erano troppo piccoli; alcune mogli perché i mariti erano troppo impegnativi. Ciononostante quando Priscilla contò i nomi rimasti scoprì che erano venticinque. Restò per un attimo sbigottita. Poi però si mostrò all’altezza della situazione, e aggirò il problema con una soluzione geniale: non volendo deluderne ventiquattro, decise che le avrebbe fatte venire tutte a turno di un giorno. Alla fine, quando ognuna avesse lavorato un giorno, avrebbero ricominciato di nuovo dalla prima.
Non era un piano fenomenale? A Creeper Cottage la vita si preannunciava quanto mai varia. Le radunò nel negozio del villaggio per discutere i termini. Chiese loro se dieci scellini al giorno più il vitto fossero sufficienti. Lo chiese esitando, temendo che l’offerta fosse troppo frugale. Provò quindi sollievo davanti alle loro esclamazioni di assenso. Che furono però seguite da un mormorio da parte delle donne sposate, dopo un attimo di riflessione, sull’ingiustizia di pagare lo stesso salario anche alle giovani inesperte. Priscilla fece orecchie da mercante. Alzò la mano per imporre il silenzio. «Forse le giovani non sapranno fare tutto il lavoro che fate voi in un giorno, ma quando verrà sera saranno stanche come voi. Perciò saranno pagate allo stesso modo». Fece tirare a sorte su chi dovesse cominciare, e si portò a casa la vincitrice. Nonostante la giornata stesse per volgere al termine, la donna avrebbe avuto comunque i suoi dieci scellini.
«Dico, avete dimenticato il Nuovo Testamento?» esclamò Priscilla quando una nuova ondata di mormorii accolse l’annuncio. «Non ricordate quelli che nel tardo pomeriggio andarono a lavorare nella vigna del padrone e furono pagati tanto quanto gli altri? Perché non dovrei mettere in pratica gli insegnamenti delle parabole?» Il carisma di Priscilla era tale che le donne di Symford non poterono non trovarsi d’accordo. Ventiquattro se ne andarono per la loro strada. La venticinquesima corse a casa per indossare un grembiule pulito e tornò al negozio in tempo per prendere le uova, il burro e il pane acquistati da Priscilla. «Mi sono scordata di portare il denaro» disse Priscilla quando la direttrice dell’ufficio postale – era lei a mandare avanti il negozio del villaggio – le presentò il conto. «È un problema?»
«Oh, no, nient’affatto, Miss Neumann-Schultz» rispose quella donna ingenua e fiduciosa; e suggerì a Priscilla di comprare anche l’ottimo stinco di montone in vendita quel giorno. Priscilla rabbrividì alla vista e si ripromise di non mangiare mai più stinco di montone. Anche il bacon, ammonticchiato in alte pile sul bancone, la disgustò. Le uniche cose che sembravano guardabili sia crude che una volta cucinate erano le uova; decise allora sui due piedi che in futuro lei e Fritzing avrebbero vissuto di uova. Spezzò un pezzetto di crosta del pane che Mrs Vickerton stava incartando e la mangiò, sforzandosi di apparire incurante, decorosamente indifferente.
«È molto buono» disse Mrs Vickerton mentre impacchettava il tutto.
«Si può sapere dove ve lo procurate?» chiese Priscilla in tono entusiastico. «Chi lo fa è un vero mago».
«Ce lo porta ogni giorno l’uomo delle consegne» disse Mrs Vickerton, compiaciuta e commossa da un tale apprezzamento. «Lo fa un panettiere di Minehead».
«Si meriterebbe un ordine».
«Un ordine? Per una fornitura quotidiana, Miss Neumann-Schultz?»
«No, uno di quelli che si appuntano sul petto» spiegò Priscilla.
«Ah» disse con un sorriso incerto Mrs Vickerton senza capire. Priscilla passò il pacchetto alla nuova, trafelata aiutante e si affrettò in direzione di Creeper Cottage.
Ora questa aiutante, o ragazza delle pulizie – era evidentemente troppo giovane per essere definita donna delle pulizie – era quella stessa Emma che la moglie del parroco aveva costretto a spifferare della festa per i bambini organizzata da Priscilla, quella che non restituiva i libri con puntualità. Non voglio spingermi al punto di affermare che chi non restituisce i libri puntualmente faccia peccato, anche se in fondo al cuore lo penso, ma è comunque un sintomo di indolenza morale.
Emma era abbastanza brava, se nessuno la stuzzicava. Se non trovava sassi sul suo cammino, e se nessuno la tirava di lato, sapeva tenersi sulla retta via. Ma se trovava un sasso, immediatamente ci inciampava; se qualcuno la tirava, immediatamente deviava. Era debole, bonaria, facilmente influenzabile. Aveva un padre vedovo, una persona sgradevole che a volte il sabato sera la picchiava e la domenica mattina, se era ancora immerso nei fumi del Cock and Hens, le tirava dietro le suppellettili prima che lei andasse in chiesa. Un padre vedovo di tal calibro è un gran brutto compagno di vita.
Il parroco faceva del suo meglio per consolarla. Mrs Morrison le parlava dei comandamenti, del dovere di onorare il padre e la madre e di come tanto meno c’era da onorare tanta più gloria c’era nel farlo. Ed Emma era così bonaria che riusciva effettivamente a onorare il suo sei giorni su sette. Ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di pensare che sarebbe stato bello andare a vivere quanto più possibile lontano da lui. Erano molto poveri, forse la famiglia più povera del villaggio, e la sola idea di possedere dieci scellini tutti suoi le dava il capogiro. Aveva un innamorato, e tramite una sorella minore gli aveva fatto sapere del colpo di fortuna che le era capitato, pregandolo di andarla a prendere a Creeper Cottage quella sera per aiutarla a portare a casa sano e salvo il prezioso salario. Alle nove, al termine del lavoro, si presentò tutta rossori e sorrisi da Priscilla per riscuotere quanto le era dovuto.
Priscilla era sola in salotto, e leggeva. Com’era sua abitudine la mandò da Fritzing, che però, cessata la pioggia, era uscito a prendere una boccata d’aria, e quando Emma glielo riferì Priscilla le disse di tornare il mattino successivo per ritirare i soldi.
A quelle parole, Emma sbiancò in viso – dietro l’angolo c’era il suo John che la aspettava – così Priscilla sorrise e si alzò per cercare il denaro lei stessa. Nel salotto di Fritzing, nel primo cassetto che aprì, trovò un portafogli con dentro l’ultima banconota da cinque sterline. Non c’era altro, solo il conto del mobiliere. Lo scartò senza neanche guardarlo: i conti erano cose prive di importanza. Per Priscilla non ne avevano mai avuta. Lo buttò di lato per cercare degli spiccioli, ma non ne trovò. «Hai da cambiare?» chiese alla ragazza mostrandole la banconota.
«Il negozio è chiuso, signorina» disse Emma fissando a occhi sbarrati quella somma spropositata.
«Beh, prendi questa e portami il resto domattina».
Emma prese la banconota con mano tremante – in vita sua non aveva mai visto tanto denaro tutto assieme – e corse fuori nell’oscurità, da John in attesa. Symford non li rivide mai più. Priscilla non rivide mai più il resto. Emma andò alla perdizione. Priscilla andò alla sua poltrona accanto al caminetto. Aveva la netta, piacevole sensazione di essere stata il tramite verso la felicità della ragazza. “Com’è facile rendere felice la gente” si disse placida Priscilla. Sulle sue labbra incantevoli aleggiava il più dolce dei sorrisi.