XX.

Quella notte l’unico occupante di Creeper Cottage a chiudere occhio fu Annalise. Priscilla la trascorse camminando avanti e indietro nella sua camera, e anche Fritzing, al di là della parete, la trascorse camminando avanti e indietro nella propria. Ognuno sentiva l’altro camminare, un suono deprimente. A un certo punto Priscilla fu colta da un attacco di riso – non una risata a piena gola, ma pur sempre riso – e dovette buttarsi sul letto e affondare il viso nei cuscini perché Fritzing non udisse. Era successo quando i loro passi avevano rimbombato all’unisono per svariati giri di stanza, e proprio mentre Priscilla ci faceva caso le campane della chiesa avevano battuto le tre. Non era per questo, per camminare avanti e indietro in camera tutta la notte, che se ne erano andati da Kunitz. Le tornò in mente come si erano immaginati la vita a Creeper Cottage, come erano certi sarebbe stata: notti tranquille immerse in sonni rigeneranti; giornate impegnate in opere fruttuose; serate passate in compagnia dei poeti. Le era tornato tutto in mente, e d’un tratto quel loro tormentato marciare le era parso incredibilmente buffo. Rise nel cuscino finché le lacrime presero a rotolarle giù per le guance, e gli sforzi per evitare che Fritzing la sentisse non sortirono altro effetto che farla ridere ancor più.

Era una notte di vento forte, che sospirava attorno al cottage e faceva sbatacchiare le finestre; di tanto in tanto si intensificava, producendo un orribile ululato. Mentre Priscilla rideva, una potente raffica di vento scosse la casa, e lei involontariamente alzò la testa a sentire. Poi il vento si chetò, e la testa ricadde sulle braccia, ma la risata era ormai esaurita. Col viso tornato solenne, ascoltò gli scricchiolii provocati da Fritzing pensando alla giornata passata, e a tutte quelle a venire, fino a sentirsi gelare il sangue nelle vene. Ma allora lei era una specie di erbaccia infestante, fatale per chiunque le fosse vicino?

Fritzing, Tussie, la povera Emma... oh, riguardo a Emma ancora non ci credeva. Forse aveva perso il denaro, e le mancava il coraggio per venire a dirglielo; oppure, semplicemente, non era ancora riuscita a cambiare la banconota. Fritzing era saltato alla conclusione che fosse fuggita col denaro perché a casa non avevano sue notizie dalla mattina. Priscilla si girava e rigirava nel letto, in preda ai tormenti. A tormentarla non era la perdita delle cinque sterline – per quanto grave fosse, data la loro totale povertà – quanto il pensiero che se Emma era davvero fuggita allora era stata lei, con la sua avventata follia, ad averla portata alla rovina. Inoltre c’era Tussie.

Che cosa terribile. Alle tre del mattino, con l’urlo del vento ora più forte ora più debole e la camera immersa nel nero pece di una notte di ottobre senza luna, la complicazione di Tussie le parve gigantesca, di dimensioni spaventose; minacciava di soffocarla, di prosciugarla di tutto lo slancio e la gioventù che aveva in corpo. Se Tussie fosse guarito lei gli avrebbe spezzato il cuore; se fosse morto, sarebbe stata colpa sua. Nessuno all’infuori di lei era responsabile della malattia di lui, solo lei, da quell’egoista e detestabile che era. Sì, era un’erbaccia infestante, una cosa maligna e fatale, inadatta alle grandi imprese, inadatta ai nobili ideali, troppo sciocca per deviare con successo dalla rotta che altri avevano tracciato per lei; perversamente incauta; vergognosamente miope; capace di guastare, di rovinare tutto quello che toccava. Priscilla fremette. A nessuno piace riconoscere di essere un’erbaccia infestante. Il solo essere una semplice erbaccia è già penoso per la propria vanità, ma essere un’erbaccia e per di più infestante è addirittura devastante. Priscilla trascorse una notte terribile. La peggiore che ricordasse.

Anche la sera era stata terribile, per quanto, contrariamente alle sue aspettative, Fritzing non avesse mostrato il desiderio di sfidare Tussie a duello. Non si era dimostrato irragionevole come lei aveva temuto; oltretutto era talmente schiacciato dal peso delle sue responsabilità da non poter fare altro che dispiacersi per quel giovane infelice. Più di una volta, la sera, aveva fissato Priscilla in uno stupefatto silenzio, mentre rifletteva sulla quantità di problemi che una sola giovane donna riusciva a dare. Ora si rendeva conto che lo stratagemma che nella sua ignoranza aveva sempre osteggiato, mettere cioè una donna anziana come la Disthal a controllare le azioni e a seguire i passi delle Priscille di questo mondo, era invece del tutto saggio e necessario. Odiava la Disthal e quelle come lei, donne dai corpi imponenti e dai cervelli minimi, corpi saziati fino a perdere forma; cervelli trascurati fino a scomparire; e tanto più nobile, semplice e generosa era la ragazza, tanto più bisogno aveva di quel mix di carnosità e furbizia sempre al suo fianco. Sembrava assurdo, e del tutto sbagliato, ma era così. Momentaneamente svuotato di ogni bellicosità, rimase immerso a lungo in cupe meditazioni sulle ombre del futuro che si allungavano sul suo spirito, oscurandolo.

Avevano chiesto un prestito ad Annalise – era stato un momento orribile – per pagare la cuoca a giornata. Per i loro approvvigionamenti avevano deciso di aprire un conto al negozio; ogni giorno, però, c’era da pagare la nuova cuoca, e ogni giorno bisognava chiedere un nuovo prestito ad Annalise. Annalise prestava con grandiosità, con l’aria di chi dà a piene mani e con gioia. In cambio non chiedeva altro che la firma della principessa su un promemoria da lei compilato col quale si impegnava a restituire il prestito, raddoppiato, entro tre mesi.

Priscilla lesse, arrossì fino alla radice dei capelli, firmò e le ordinò di uscire dalla stanza. Annalise, che cominciava a divertirsi, salì in soffitta cantando. In salotto Priscilla fece a pezzi la penna usata per firmare e la gettò nel fuoco, dimostrazione inutile, ma del resto era una giovane donna irascibile. Su in soffitta, Annalise stava scrivendo una lettera traboccante di nobili sentimenti alla contessa Disthal a Kunitz, dicendole che non poteva più tacere al pensiero delle ansie dell’augusto genitore ed era disposta a rivelare l’indirizzo della principessa Priscilla e a fermare l’emorragia di un nobile cuore, se il granduca avesse inviato a lei o a suo nome presso i genitori la somma di ventimila marchi. Avrebbe reso volentieri tale servizio, al tempo stesso anche un dovere, senza alcun compenso, ma doveva pensare al proprio futuro e al padre infermo. Intanto diede l’ufficio postale di Symford come indirizzo, assicurando alla contessa che si trovava a quasi cento chilometri dal nascondiglio della principessa, la cui ubicazione avrebbe reso nota alle condizioni sopra specificate. Poi, immensamente compiaciuta della propria ingegnosità, si recò svelta all’ufficio postale, comprò i francobolli e infilò personalmente la lettera nella buca.

La sera cantò in cucina, cantò in bagno, cantò in soffitta e sulle scale che portavano in soffitta. Ciò che cantava, senza pause e ripetutamente, nonché più forte davanti alla porta di Fritzing, era una canzone tedesca su com’è bello, la sera, sentire le campane che chiamano al riposo; il ritornello alla fine di ogni verso era un ding dong ripetuto due volte. Questo spinse Priscilla, che non riusciva a sopportare oltre, a suonare il suo, di campanello, ma evidentemente Annalise non lo riteneva un suono altrettanto bello, e non rispose finché Priscilla non ebbe suonato per la terza volta.

«Non cantare» le ordinò Priscilla quando apparve.

«Vostra altezza granducale disapprova?»

Priscilla arrossì. «Non sono tenuta a dare spiegazioni» rispose glaciale. «Non cantare».

«Eppure è segno di cuor leggero. A vostra altezza granducale non piaceva vedermi piangere, quindi a maggior ragione dovrebbe essere contenta di vedermi allegra».

«Puoi andare».

«Stasera il mio cuore è leggero perché ho modo di rendermi utile a vostra altezza granducale, di dimostrare la mia devozione, di mettermi al servizio».

«Allora renditi utile stando zitta».

Annalise fece la riverenza e si ritirò, e trascorse il resto della serata producendosi in improvvisi scoppi di canto, subito soffocati; li interrompeva dopo poche battute con un colpo di tosse di imbarazzo e scusa. Ogniqualvolta questo accadeva, Fritzing e Priscilla si scambiavano uno sguardo con occhi seri e pensierosi; sapevano bene, infatti, di essere in suo completo potere.

La sera Fritzing scrisse all’amico di Londra che gli aveva prenotato le stanze a Baker’s Farm e gli chiese di prestargli per una settimana cinquanta sterline, o preferibilmente trecento (la cifra sarebbe servita a pagare i mobili), e aggiunse che se non fosse stato in grado di prestargli nessuna delle due, allora sarebbero andate bene anche cinque sterline. L’amico, un insegnante di tedesco, non era in grado di mettergli a disposizione nessuna somma, considerato quanto fosse a sua volta povero, e bisognoso di un prestito; ma molto prima che la sua lettera di spiegazioni raggiungesse Fritzing, lettera in cui dava eloquente espressione al proprio rincrescimento (era un amico leale), successero talmente tante cose a quel pover’uomo sconcertato, al quale già tante altre erano successe, che si dimenticò sia dell’amico che della propria richiesta.

Così, dunque, trascorsero il pomeriggio e la sera di giovedì. Il venerdì mattina, coi nervi a fior di pelle per la notte insonne, Priscilla e Fritzing avevano appena deciso di andare assieme nella brughiera, a cercarvi ampiezza d’orizzonti e freschezza, a lasciarsi sferzare dal vento carico di umidità e a dimenticare per un po’ la schiacciante angustia e le complessità di Creeper Cottage, quando comparve Mrs Morrison. Prima aprì la porta, poi, quando era già dentro per metà, bussò con le nocche, non essendoci altro per bussare alla porta sguarnita di Priscilla.

Priscilla, già pronta per uscire e in attesa di Fritzing presso il fuoco, fissò l’apparizione con immenso ed evidente stupore. Che diritto aveva la gente, diceva l’espressione di Priscilla in modo più eloquente di qualunque parola, di entrare nei cottage altrui in quel modo? Seduta immobile, scrutò Mrs Morrison con lo stesso sguardo interrogativo che trovava tanto efficace ai tempi di Kunitz, quando si trovava davanti una persona incline a dimenticarsi quale, esattamente, fosse il suo posto.

Ma Mrs Morrison non sapeva niente di Kunitz, e senza quello sfondo maestoso l’occhiata di Priscilla perse metà della sua forza. Oltretutto la donna non era tipo da notare sottigliezze quali un’occhiata; per tenerla al suo posto si sarebbero resi necessari metodi decisamente drastici. Entrò senza aspettare di essere invitata, fece un cenno al posto di un vero e proprio saluto, che Priscilla neppure notò, il tutto con la faccia arrabbiata.

“Povero parroco, avere una moglie già arrabbiata alle dieci del mattino...” pensò Priscilla.

«Sono qui nell’interesse della religione e della moralità» esordì Mrs Morrison con voce non meno arrabbiata della faccia.

«Sono due cose diverse?» chiese Priscilla infilandosi i guanti.

«Come vi immaginerete niente mi avrebbe indotto a venire da voi, se non il forte senso del dovere per la posizione che rivesto in seno alla comunità parrocchiale».

«E perché dovrei immaginarlo?»

«Avevo già messo in conto l’impertinenza».

«Temo siate venuta qui per essere sgarbata».

«Nulla di ciò che potrete dire mi scoraggerà dal compiere il mio dovere».

«In tal caso vi dispiace compierlo alla svelta?»

«Spesso alla moglie di un sacerdote toccano compiti molto sgradevoli».

«Forse vi siete fatta un’idea completamente sbagliata di quali siano i vostri».

«È la prima volta che me lo sento dire da una ragazza della vostra età».

«Non lo sto dicendo. Mi limito a suggerirlo».

«Avevo già messo in conto la villania».

«Allora perché siete venuta?»

«Per quanto tempo rimarrete tra noi?»

«Non penserete davvero che vi risponda?»

«Non siete qui neppure da due settimane e avete fatto più danni di quanto riesca a fare la maggior parte delle persone in un’intera esistenza».

«Mi sembrate davvero esagerata».

«Avete indotto a bere».

«Ho solo dato a una moribonda ciò che più desiderava».

«Avete indotto a non osservare il giorno di festa».

«Ho solo reso felici molti bambini».

«Avete rovinato l’abitudine alla parsimonia che tanta pena ci siamo dati per insegnare e incoraggiare negli ultimi venticinque anni».

«Ho aiutato i poveri nel momento del bisogno».

«E adesso voglio sapere che ne è stato della giovane Hancock».

«Si può sapere di chi state parlando?»

«La sfortunata creatura è stata qui a servizio mercoledì».

Il viso di Priscilla si trasfigurò. «Emma?» chiese.

«Solo l’altro ieri a quest’ora era una ragazza per bene come tutte le altre. Era per bene, ubbidiente e onesta. Adesso invece... cos’è diventata, e dov’è?»

«Non... non è a casa?».

«A casa non è mai tornata».

«Volete dire che ha perso il denaro?»

«Non l’ha perso, l’ha rubato. Non vi rendete conto di avere preso una ragazza onesta e di averne fatto una ladra?»

Priscilla fissava costernata la moglie del parroco assetata di vendetta. Allora era proprio vero: aveva il dono fatale di rovinare tutto ciò che toccava. «Ora lui non la sposerà mai più».

«Lui?»

«Non sapevate che il ragazzo con cui era fidanzata se ne è andato con lei?».

«Io non so niente».

«Sono andati a piedi fino a Ullerton, poi si sono diretti a Londra. Ieri, dopo che vostro zio è stato da lui a chiedere informazioni, il padre è venuto da noi, ed è tutto chiaro come l’oro. Finché vostro zio non l’ha informato del denaro il padre non ne sapeva nulla, quel giorno era troppo... troppo indisposto per accorgersi che Emma non era rientrata. La visita di vostro zio l’ha fatto tornare sobrio. Abbiamo telegrafato alla polizia. I due sono stati rintracciati a Londra. È tutto. Solo che un’altra vita è stata rovinata» e qui guardò Priscilla con tutta l’ira di un profeta i cui avvertimenti si sono dimostrati fondati.

«Oh, mi dispiace... mi dispiace moltissimo» disse Priscilla in tono così accorato, così infelice, persino, che gli occhi le si riempirono di lacrime. «Solo ora mi rendo conto di quanto sia stato avventato da parte mia».

«Avventato!»

«Imperdonabilmente avventato».

«Avventato!» esclamò di nuovo Mrs Morrison.

«Scelleratamente avventato, se preferite».

«Avventato!» esclamò l’altra per la terza volta.

«Ma niente di più che avventato. Non so cosa darei per poter sistemare tutto. Sono sinceramente addolorata. Ma non è un po’ troppo ingiusto ritenermi responsabile?»

Mrs Morrison la guardò come se vedesse uno strano mostro. «Siete incredibilmente egoista» disse infine in toni quasi reverenziali.

«Egoista?» balbettò Priscilla, che cominciava a chiedersi quali fossero i difetti che non aveva.

«Davanti a un disastro simile, a un fallimento così totale, voi riuscite solo a pensare a ciò che è ingiusto per voi. Voi! Ve ne state qui senza un problema al mondo, senza le apprensioni e le tentazioni contro cui devono combattere i poveri, con tanto di quel tempo a disposizione da doverlo riempire con dei guai e tanto di quel denaro da non sapere che farvene» – Priscilla premette le mani tra loro – «tenuta nella bambagia, lontana da ogni preoccupazione» – Priscilla aprì la bocca per parlare ma la richiuse di nuovo – «con quella povera Emma irrecuperabile, marchiata e per sempre reietta, tutto per colpa vostra, e voi osate pensare a voi stessa, osate blaterare di ingiustizia».

Priscilla fissò Mrs Morrison, fece per parlare ma rinunciò. Poi, con un filo di voce, disse che solo il cuore conosce la propria amarezza.

«Puah» rispose Mrs Morrison, furiosa perché qualcuno citava le sacre scritture, una sua prerogativa, per darle contro. «Sarei proprio curiosa di sapere quale amarezza ha mai conosciuto il vostro cuore, se non quella di una coscienza sporca. Quest’oggi sono venuta a darvi una possibilità» disse con voce sempre più acuta e ammonitrice, «per farvi riflettere, per additarvi la strada che avete imboccato. Siete giovane, ed è mio dovere non lasciare che i giovani prendano una china discendente senza ricevere una parola di avvertimento.

Avete portato molto male nel nostro villaggio, e non riesco a capire perché voi, un’estranea, siate tanto determinata a rendere tutti infelici. Da ipocrita fate finta che ciò che la gente comune chiama il male sia in realtà il bene. Ma la vostra ultima malefatta, costringere Emma Hancock a diventare ladra e anche peggio, è indifendibile persino da voi. Avete molto sulla coscienza, molto più di quanto io sopporterei mai di avere sulla mia. Ed è stato perverso dare tanto denaro a Mrs Jones. Non capite che in questo modo inducete a rubare coloro che sanno quant’è indifesa? Forse anche a ucciderla? Ma io l’ho salvata. Lo vedete? Non avete fatto i conti con me. Ascoltate il mio consiglio, andatevene da Symford, tornate da dove siete venuta» – Priscilla sussultò – «e trovatevi qualcosa da fare che vi tenga sempre occupata. Se non lo fate, vi spianerete la strada per un futuro infelice, forse umiliante. Non dovete credere» – proseguì a voce sempre più alta – «che qui siamo degli stupidi, che non abbiamo occhi per vedere come avete cercato di irretire i nostri giovanotti» – Priscilla sussultò di nuovo – «nella speranza di farvi sposare da uno di loro. Fortunatamente però i vostri piani sono stati vanificati, in un caso perché la Provvidenza ha fatto ammalare la vostra vittima, nell’altro perché avevate completamente sottovalutato il tipo di giovane con cui eravate alle prese».

Mrs Morrison si fermò per riprendere fiato. L’ultima parte del discorso era stata pronunciata in tono sempre più collerico. Ritta in piedi, Priscilla la fissava, le sopracciglia corrugate tanto da formare un’unica linea sopra gli occhi.

«Mio figlio è troppo posato, troppo coscienzioso, e troppo abituato a una compagnia di prim’ordine, per abbassarsi a una cosa così volgare...»

«Come me?» terminò Priscilla.

«Come una relazione con la prima ragazza che incontra per strada».

«Vi riferite a me?»

«Ha capito le vostre vere intenzioni, se ne è fatto beffe ed è tornato con animo tranquillo a Cambridge, ai suoi studi».

«L’ho schiaffeggiato».

«Cosa?»

«L’ho schiaffeggiato».

«Voi?»

«Sì. Per questo se ne è andato. Ma non con animo tranquillo. E non per studiare».

«Come avete osato schiaffeggiare... oh, è troppo orribile... e state lì come se niente fosse, a parlarmene senza alcun pudore?»

«Temo proprio di doverlo fare. È il tono dei vostri commenti a renderlo assolutamente necessario. Ed è stata la condotta di vostro figlio a rendere assolutamente necessario che lo schiaffeggiarsi. Perciò l’ho fatto».

«Siete la più svergognata...»

«Temo che stiate diventando come lui... impossibile».

«Voi prima lo irretite, poi... oh, è una vergogna!»

«Avete finito quello per cui siete venuta?»

«La vostra sfacciataggine...»

«Shh. Fate attenzione. Non vorrete che lo zio vi senta... se avete finito perché non ve ne andate?»

«Non me ne andrò finché non avrò detto quel che penso. Vi manderò il parroco, riguardo a Robin. La vostra condotta è stata talmente... scellerata che non riesco... non riesco...»

«Mi dispiace se vi ha turbata».

«Turbata? Siete la più...»

«Ora credo che ci siamo dette proprio tutto» disse Priscilla incalzante, terrorizzata che arrivasse Fritzing e udisse quegli insulti.

«Pensare che avete osato... pensare che il mio... il mio nobile ragazzo...»

«Con me non è stato molto nobile. Credo che le madri non conoscano mai fino in fondo i loro figli».

«Svergognata!» gridò Mrs Morrison, così fuori di sé, così infuriata che Priscilla suonò precipitosamente il campanello, certa che Fritzing l’avrebbe sentita e sarebbe accorso in suo aiuto; benché avesse imparato che una delle cose da temere di più in assoluto era Fritzing che accorreva in suo aiuto. «Accompagna questa signora alla porta» ordinò ad Annalise, apparsa con incredibile prontezza; e poiché Mrs Morrison non cedeva terreno, e si rifiutava di prendere in considerazione sia Annalise che la porta, fu Priscilla a porre termine al colloquio uscendo con grande dignità dal salotto, diretta alla stanza da bagno.