XXIII.
«Hullo» disse il principe, che parlava un inglese ineccepibile.
Priscilla lo guardò a occhi sgranati.
Se lui avesse seguito l’istinto, avrebbe dato voce all’esclamazione che rappresentava perfettamente l’emozione del momento, poiché l’aspetto di Priscilla – abiti, espressione, tutto quanto – l’aveva lasciato sbalordito. Ma dubitava fortemente dell’opportunità di pronunciarla. «È qui che abitate?» chiese invece.
«Sì» disse Priscilla.
«Posso entrare?»
«Sì».
La seguì in salotto, scrutandola con aria critica da capo a piedi mentre camminava lenta davanti a lui; osservò ogni centimetro del logoro abito di serge, la testolina con i capelli acconciati alla bell’e meglio, il piccolo tacco che si impigliava in un lembo di passamano scucito, la scarpetta dal fiocco sfilacciato, e sotto i baffi la bocca gli si aprì in un ampio sorriso. Ma quando Priscilla si voltò, era tornato perfettamente serio.
«Suppongo sia quello che viene definito un posticino accogliente» disse il principe infilando le mani in tasca e guardandosi attorno con aria di amabile interesse.
Priscilla taceva. Provava la stessa sensazione di chi venga svegliato di soprassalto nel sonno. Il viso, anche dopo il massacrante periodo trascorso, e nonostante i cerchi scuri sotto gli occhi, la piega amara della bocca e, va aggiunto, l’evidente foggia campagnola dell’acconciatura approntata da Annalise, appariva bello agli occhi del principe, il viso dei suoi più cari e rosei sogni, oltre che illuminato – tralasciando la grazia dei colori e le felici circostanze dei lineamenti – dalla luce di una natura dolce e nobile, evidente espressione esterna di un animo incantevole. Dopo un’occhiata circolare alla stanza, posò gli occhi sul viso di Priscilla e non li distolse più.
Per un paio di minuti Priscilla rimase zitta cercando di riordinare i pensieri, di scuotersi di dosso la sensazione di trovarsi in un sogno ed essersi risvegliata di colpo. Non era stato un sogno, continuava a ripetersi; per quanto brutto non era stato un sogno ma realtà; e quell’uomo, arrivato all’improvviso da un altro mondo, era lui il sogno, una parte del sogno contro cui si era ribellata, da cui era fuggita due settimane prima.
Poi lo osservò, e seppe che erano tutte sciocchezze. Il principe non era affatto un sogno, anzi non aveva mai visto nessuno così totalmente, manifestamente reale. E apparteneva alla sua stessa razza, al suo stesso mondo. Loro due erano uguali. Potevano parlarsi chiaro, senza mezzi termini, in un dialogo del tutto privo di deferenza, o di eccessiva gentilezza.
Priscilla trovò molto rinfrancante la sensazione di essere di nuovo alla presenza di un suo pari. Nei pochi istanti in cui rimasero in silenzio l’uno di fronte all’altra – pochi istanti che le sembrarono un’eternità – Priscilla, pur tentando in ogni modo di tenerla a distanza, sentì una grande calma pervaderle l’animo. Eppure motivi per essere calma non ne aveva, si disse ribellandosi. Non aveva piuttosto ogni motivo per vergognarsi? E lui perché era venuto? Già, tra tutti, proprio lui. Lui, che era stato scandalosamente piantato, oltraggiato, rifuggito. Era forse l’aver avuto sempre Fritzing sotto gli occhi a farle apparire quell’uomo tanto ben curato? O Tussie, a farglielo apparire così prestante? O Robin, per cui lo vedeva così modesto? Ed era perché gli occhi della gente – quelli di Mrs Morrison, di lady Shuttleworth – ultimamente erano stati così malevoli nel posarsi su di lei che quelli di lui le apparivano tanto gentili? No; li aveva trovati tali già la prima volta che l’aveva incontrato a Kunitz, anzi, l’avevano colpita. Arrossì al ricordo di quel giorno e di ciò che era seguito. «Non è molto accogliente» rispose infine cercando di nascondere sotto una freddezza attentamente calcolata la ridda di sensazioni che le si agitavano dentro. «Quando piove l’ingresso si riempie d’acqua. Perché, vedete, la porta si apre direttamente sulla strada».
«Capisco» disse il principe.
Seguì un silenzio.
«Non credo possiate davvero capire» disse Priscilla sentendosi rimescolare.
«Mia cara cugina»
«Siete venuto per ridere di me».
«Ne ho forse l’aria?»
«Chissà. Non ci siete passato di persona, dunque potreste trovarlo... piuttosto ridicolo».
«Mia cara cugina» protestò il principe.
Le labbra di Priscilla fremettero. Ne aveva passate di tutti i colori, e da due giorni mandava giù solo latte.
«Tocca a voi asciugare l’acqua all’ingresso, oppure al vecchio Fritzing?»
«Ecco, vedete? Siete venuto per deridermi».
«Spero vi convincerete del contrario. Devo fare la faccia scura?»
«Come fate a sapere che anche Fritzing è qui?»
«Lo sanno tutti».
«Tutti?» Seguì un silenzio stupefatto. «Come sapevate che eravamo qui... qui a Creeper Cottage?»
«È così che si chiama? Non pensavo avesse un nome. È infestato dagli insetti?»
«Come sapevate che eravamo a Symford?»
«Lo sapevano tutti».
Priscilla ammutolì. Provava di nuovo la sensazione di svegliarsi da un sogno.
«Dall’ultima volta che vi ho visto ho conosciuto un sacco di persone interessanti» disse il principe. «Interessanti per me, dato che vi conoscevano».
«Mi conoscevano?»
«Conoscevano voi e quel vecchio mascal... e il nostro buon Fritzing. A Kunitz, per esempio, c’è un simpaticissimo poliziotto...»
«Oh» esclamò Priscilla arrossendo. Non riusciva a pensare a quel poliziotto senza sentirsi accapponare la pelle.
«Siamo diventati grandi amici. Poi c’è quel tipo intelligente, e anche servizievole e cortese, che ha viaggiato con voi da Dover a Ullerton».
«Con noi?»
«Anche la conversazione con lo stalliere dell’Ullerton Arms è stata molto istruttiva».
«Ma cosa...»
«E ieri notte ho dormito a Baker’s Farm, e ho trascorso una piacevole serata in compagnia di Mrs Pearce».
«Ma perché...»
«È una donna molto interessante. Ma con un punto debole: la giuncata».
«Davvero non capisco il bisogno di parlarmi in questo modo, di essere tanto sarcastico».
«Vi riferite alla giuncata? Perché, non pensate anche voi che sia pessima?»
«Vi pare una bella cosa infierire su qualcuno che è prostrato, totalmente prostrato? Che ha ormai toccato il fondo?»
«Infierire? Vi giuro sul mio onore che l’ultima delle mie intenzioni è infierire».
«E allora perché continuate?»
«Ma non è vero, vi dico. Piuttosto, sapete perché sono qui?»
«Mio padre è qui dietro l’angolo?»
«Dietro l’angolo non c’è nessuno. A vostro padre ho messo il bavaglio. Sono venuto solo. E sapete perché?»
«No» fu la risposta secca e spavalda di Priscilla; e prima che lui potesse parlare aggiunse: «Non ne ho la più pallida idea». E di nuovo, per prevenirlo: «Se non per il divertimento di abbattere una preda indifesa».
«Oh, che immagine pittoresca» ribatté il principe mostrandosi debitamente colpito.
Priscilla arrossì. Suo malgrado, ogni parola scambiata con il principe la faceva sentire più naturale, sempre più distante dalle sue squallide paure e dal tormento, più vicina a quello stato mentale positivo, ultimamente in lei del tutto scomparso, in cui la petulanza viene più facile della docilità. La sua mera presenza sembrava sistemare ogni cosa, restituire a Priscilla la propria autostima. La sua persona emanava un che di salutare, di familiare e rassicurante, di affidabile e sensato. Gli angoli della bocca si curvarono per il primo sorriso da non so quanto tempo. «Temo di essere diventata retorica da quando... da quando...»
«Da quando siete fuggita?»
Priscilla annuì. «Vedete, Fritzing è sempre molto pittoresco. E contagioso, credo. Però è un uomo fantastico» aggiunse subito, «in quanto a pazienza e bontà».
«Oh, lo sanno tutti che è fantastico. Dov’è adesso?»
«Nella stanza qui accanto. Volete parlargli?»
«Buon Dio, no. Non mi avete ancora detto cosa pensate io sia venuto a fare».
«Invece sì. Ve l’ho detto, non ne ho la più pallida idea».
«È per la ragione più bella e nobile in assoluto. Indovinate».
«Non sono brava con gli indovinelli».
«Su, almeno provateci».
Infastidita, Priscilla si sentì arrossire. «Immagino per vedere i punti indifesi del paese» disse in tono severo.
«State parlando di nuovo in modo pittoresco. Dovete avere letto un’infinità di libri, ultimamente. Per forza, con quel vecchio fossile attorno. No, mia cara, sono venuto semplicemente per capire se siete felice».
Lo fissò, e il rossore le defluì dal viso.
«Soltanto per convincermi del fatto che siete felice».
Poiché gli occhi le si erano riempiti di lacrime, Priscilla pensò bene di tenerli puntati sulla tovaglia. Nel farlo, la frangia dorata delle ciglia, che a ragion veduta il principe riteneva tanto bella, si dispose in lunghe curve scure sul viso serio. «È molto gentile da parte vostra... ammesso sia vero» mormorò.
«Certo che è vero. E se lo siete, se mi assicurate di esserlo e riuscite a convincermi, io mi farò da parte, cara cugina, e dedicherò tutte le energie rimaste a continuare a tenere vostro padre imbavagliato. Così che lui non possa in alcun modo disturbarvi. Non sono stato bravo a tenerlo a bada finora?»
Priscilla sollevò gli occhi a incontrare quelli di lui. «Siete stato voi a tenerlo buono?»
«Già, mia cara. Era parecchio agitato. Non potete immaginare la quantità di cose che aveva intenzione di fare. Ci voleva polso fermo e mano leggera, credetemi. Ma ero ben deciso a lasciarvi fare di testa vostra. E la Disthal...»
Priscilla trasalì.
«Perché, non vi va a genio?» chiese il principe comprensivo.
«No».
«Temevo una riposta del genere. Ora si trova a Londra».
Priscilla sobbalzò di nuovo. «Credevo... credevo fosse a letto ammalata» disse.
«Lo era, poi però è guarita. La vostra... partenza l’ha curata».
«Non avevate detto che dietro l’angolo non c’era nessuno?»
«Londra non è esattamente dietro l’angolo. E non le ho permesso di avvicinarsi oltre. È là che aspetta tranquilla».
«Aspetta cosa?» ribatté Priscilla.
«Beh, dopo tutto è la vostra dama di compagnia. Quindi è naturale che cerchi la vostra compagnia, no?»
«No» disse Priscilla accigliata.
«Non crucciatevi. Non poteva non venire. Ha portato alcune domestiche e un ampio assortimento...» gettò un’occhiata al suo vestito di serge azzurro e si portò la mano ai baffi, «un ampio assortimento di abiti».
«Abiti?» Un’ondata di colore le salì al viso. Non riusciva a trattenersi, proprio come un uomo che sta per morire di fame non si trattiene quando gli viene messo davanti del cibo. «Oh, spero tanto siano quelli che aspettavo da Parigi!» esclamò.
«Molto probabile. E pare ce ne siano parecchi. Non ho mai visto così tanti bauli tutti destinati a una sola cuginetta».
«Non potete immaginare quanto io sia stufa di questo vestito» disse Priscilla con un movimento impaziente delle mani.
«Invece sì» le assicurò il principe.
«L’ho indossato ogni giorno».
«Ci credo».
«Ogni santo giorno da quando... da quando...»
«Da quando siete fuggita da me».
Priscilla arrossì. «Non sono fuggita da voi. Non precisamente. Voi siete stato solo l’ultima goccia».
«Oh, una gran bella cosa da essere, per un uomo».
«Sono fuggita perché... perché... beh, è una storia lunga, e temo anche molto sciocca».
Un luccichio si accese negli occhi del principe. Si avvicinò a Priscilla di un passo, poi però ci ripensò e tornò dov’era. «Forse» disse amabilmente, «è stato sciocco solo l’inizio. Forse tra qualche tempo metterete radici e vi affezionerete a Creeper Cottage».
Priscilla lo fissò sorpresa.
«Vedete, mia cara, il vostro è stato un gesto strabiliante. Dovevate essere davvero disgustata della vita a Kunitz. Credo di poter capire. So di non poter pretendere di piacervi così, tutt’a un tratto. E se avessi anch’io quella Disthal che mi segue a ogni passo mi sparerei. In realtà siete stata molto più coraggiosa che se vi foste sparata. Quello che mi chiedo, però, è se siete soddisfatta quanto vi aspettavate».
Priscilla gli scoccò una rapida occhiata e non disse nulla.
«Perché se la risposta è no, allora c’è la Disthal che vi aspetta con tutti quei bei vestiti. Non dovete far altro che indossarli e tornare a casa».
«Di tornare a casa non se ne parla. Come potrei? Ormai sono in disgrazia. Mio padre non mi aprirebbe mai la porta».
«Oh, a quello ci penserei io. Se seguirete alla lettera i miei consigli, non penso lo troverete arrabbiato. Se invece questo posto vi piace e volete restarci, non c’è altro da aggiungere. Vi dirò addio e vi prometto di lasciarvi in pace. Sarete libera di essere felice a modo vostro».
Priscilla tacque.
«Non... sembrate felice» disse scrutandola in volto.
Lei continuò a tacere
«Siete dimagrita parecchio. Come è stato possibile, in così poco tempo?»
«Abbiamo gestito le cose piuttosto male» disse con un sorriso quasi vergognoso. «Nei giorni in cui avevo fame non c’era niente da mangiare, e quando c’era da mangiare non avevo fame».
Il principe prese un’aria perplessa.
«Possibile che quel briccone di... voglio dire, che il nostro buon Fritzing non abbia portato abbastanza denaro?»
«Lui credeva di sì, ma non è bastato».
«Avete speso tutto?»
«Siamo nei debiti».
Di nuovo il principe si coprì i baffi con la mano.
«A questo provvederò io, naturalmente» disse in tono grave. «E una volta sistemata la cosa siete sicura di voler rimanere qui?»
Priscilla chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e per un istante lo guardò dritto in faccia. «No» rispose.
«No?»
«No».
Un’altra pausa di silenzio. Lui era in piedi sul tappeto davanti al caminetto, lei al di là del tavolo; ma la stanza era così piccola che se lui avesse allungato una mano avrebbe potuto toccarla. La fissava, e nei suoi occhi c’era uno strano sguardo, del tutto in contrasto con le parole calme e bonarie, lo sguardo colmo d’ansia di chi è consapevole che la propria felicità è appesa a un filo. Lei non lo guardava, preferiva tenere gli occhi sulla tovaglia.
«Sono successe cose spaventose, qui» annunciò a bassa voce.
«Di che genere?»
«Cose agghiaccianti. Terrificanti».
«Raccontatemi».
«Non ce la faccio».
«Credo comunque di saperlo».
Lo guardò stupita.
«Mrs Pearce...»
«Ve l’ha detto?»
«Mi ha detto quello che sapeva. Ma forse non sa tutto».
A Priscilla venne in mente Robin, e arrossì.
«Sì, me l’ha detto» annuì il principe.
«Vi ha detto cosa?» chiese Priscilla allarmata.
«Del signorotto che vuole sposarvi».
«Oh».
«Incredibile da parte sua, vero? Avete mai pensato che cose del genere potrebbero accadere spesso a Miss Maria-Theresa Ethel Neumann-Schultz?»
«Temo siate davvero venuto solo per prendervi gioco di me» protestò Priscilla con labbra tremanti.
«No, ve lo giuro, solo per vedere se siete felice».
«Ebbene, allora guardatemi». Gettò all’indietro il capo in un gesto di aperta sfida e lo fissò con gli occhi pieni di lacrime, lacrime che subito cominciarono a rigarle penosamente le guance. Tuttavia non cedette, e continuò a fissarlo.
«Vedo» disse il principe pacato. «E capisco ogni cosa. Pertanto vi suggerisco di lasciare questo posto».
«È ciò che intendo fare».
«E di affidarvi alle cure della Disthal».
Priscilla trasalì.
«Solo per poco. E di lasciarvi accompagnare a Kunitz».
Priscilla trasalì di nuovo.
«Solo per poco» ribadì il principe.
«Ma mio padre non consentirebbe mai...»
«Sì, mia cara, consentirà. Sarà felice di vedervi. Ne gioirà».
«Ne gioirà?»
«Ve lo assicuro. Dovrete fare solo quello che vi dico».
«Verrete... anche voi?»
«Se me lo permetterete».
«Ma allora... ma allora...»
«Ma allora cosa, mia cara?»
Gli puntò gli occhi addosso; il viso virò lentamente dal bianco al rosso, poi di nuovo al bianco. Le attraversarono la mente le parole di Fritzing: «Se lo sposerete sarete perduta per sempre», e nel profondo del cuore seppe che erano follia. Perché mai sarebbe stata perduta per sempre? Che razza di ragnatele erano mai quelle? Ragnatele di una mente senile, cose polverose da spazzare via al primo passaggio della vigorosa ramazza della Natura. Priscilla pensava invece che probabilmente si sarebbe ritrovata per sempre. Ma si vergognava di sé, di tutto ciò che aveva fatto, del modo ignobile in cui aveva trattato quell’uomo, si sentiva amareggiata, svuotata di ogni arroganza. Rimase così, a capo chino, mentre il viso le cambiava di colore, umiliata, pentita, senza più neppure un brandello della dignità che le era stata inculcata, soltanto una donna che si era comportata in modo molto sciocco ed era parecchio dispiaciuta.
Il principe allungò la mano.
Lei finse di non vederla.
Lui fece il giro del tavolo. «Il nostro fidanzamento non è ancora stato rotto, sapete».
L’istinto le suggeriva di spostarsi, ma lei non voleva piegarvisi. «È mai stato annunciato?» chiese, incapace di alzare la voce a più di un sussurro.
«In pratica».
Un altro silenzio.
«Perché, allora...» fece per dire Priscilla poiché il silenzio era diventato più vibrante, più insopportabilmente eloquente di qualunque parola.
«Sì?» la incoraggiò il principe facendosi vicino.
Priscilla voltò lentamente la testa. «Perché, allora...» ripeté mentre il viso le si apriva in un sorriso per metà commosso, per metà malizioso, del tutto adorabile.
«Lo penso anch’io» disse il principe; e le chiuse la bocca con un bacio.
«E ora» disse il principe dopo un po’ di tempo, «andiamo da quel vecchio peccatore di Fritzing».
Priscilla indugiava; era riluttante a infliggere quell’ultimo colpo a un cuore che già tanti ne aveva subiti.
«Temo ne rimarrà sconvolto» disse.
Ma il principe rispose che andava fatto; così, mano nella mano, uscirono in strada, e aperta la porta di Fritzing gli si pararono dinanzi.
Era ancora assorto in Eschilo. Mentre nella stanza accanto, al di là dei pochi centimetri di intonaco e carta il momento presente pulsava e riluceva, chiamando a raccolta una schiera di piccole anime dai capelli rossi, sino ad allora dormienti, anime con ciglia dorate, anime ansiose di manifestarsi e diventare principi e principesse di... oh, stavo quasi per rivelare il nome della potente nazione, Fritzing era rimasto immerso nelle gesta di genti remote e passate – di Serse e Dario, morti da tempo immemore, persino dei pesci, muti ma voraci, morti anch’essi come i poveri marinai dilaniati –, immerso, insomma, in tali e vari cadaveri. Un’ombra cadde sul libro; Fritzing sollevò gli occhi e vide due figure ritte davanti a lui, mano nella mano.
Priscilla tratteneva il respiro: quale indicibile angoscia avrebbe espresso il suo viso una volta afferrata la situazione? Giudicate dunque voi stessi lo sbigottimento di Priscilla, il suo dibattersi tra contentezza e contrarietà, tra riso e pianto, quando afferrata la situazione l’uomo balzò in piedi e in tono di smisurato, inenarrabile sollievo, esclamò tre volte di fila: «Gott sei Dank!»