Mio padre non m’insegnò a volergli bene. Da bambino mi prendeva per mano e uscivamo. Del resto, non è che a lui avessero chiesto se voleva essere padre, se davvero aveva preso la decisione di essere padre in modo libero e senza costrizioni.
Mio padre scriveva i suoi duplicati, annotava quello che vendeva ai sarti delle province di Huesca, Lérida e Teruel; sarti che fecero abiti su misura a uomini che sono già morti e che forse furono seppelliti con quegli abiti; sono morti anche i sarti e nessuno dei loro figli ha ereditato il lavoro perché non c’era più lavoro da ereditare.
Non ha saputo insegnarmi a volergli bene, ma come lo si insegna?
Diverse volte gli diedero dei diplomi perché era l’agente di commercio che vendeva di più. A me mettevano la lode in quella facoltà da poveracci che frequentai a Saragozza, una facoltà la cui finalità era imparare quattro frasi su Lope de Vega e qualche abilità nell’analizzare le proposizioni relative: bel risultato. Erano la stessa cosa, la stessa cosa quella che faceva mio padre e quella che facevo io. Il sottosviluppo persisteva, si era camuffato un po’, ma era sempre là.
I ricchi continuavano a essere gli altri.
Mai noi.
Non c’è stato verso di trovare qualche miniera d’oro, è questo la Spagna per tutti noi, per quaranta milioni di spagnoli: vedere come un milione di spagnoli trovano sempre qualche miniera d’oro e tu non la trovi mai.