Vado a fare la spesa alla catena di supermercati discount Dia. C’è un Dia vicino a Ranillas.
Entro ed è pieno di gente, gente che vive nella catastrofe, eredi della crisi e della disoccupazione e del nulla. Salve, amici, comprate yogurt a marchio bianco, non sono come i Danone, ma sono infinitamente più economici. Mi piace comprare al Dia: tutto è economico e semplice e ovvio e commestibile, come il mio passaggio in questo mondo. Tutto è economico perché è quasi scaduto. Se guardi la data di scadenza di quello che compri, hai la sorpresa di scoprire che buona parte dei prodotti sono così economici perché stanno per scadere. I biscotti sono quasi scaduti, il pesce è quasi scaduto, perciò abbassano i prezzi, perché i prodotti sono quasi cadaverici. Dei biscotti scaduti sono come un cadavere. Fa paura mangiare cose scadute, è come lanciarsi nel forno dell’industria alimentare. I tecnici che dovevano vigilare sulla data di scadenza dei prodotti sono scaduti anche loro. La gente scade. Morire è scadere, voglio dire che abbiamo esteso il concetto di deterioramento a tutto ciò che ci circonda. E alla fine la misura o l’importanza della nostra morte non è lontana dalla misura e dall’importanza di uno yogurt scaduto.
La data di scadenza è una data funebre.
I morti, però, non scadono; i vivi sì. La morte è il luogo in cui la scadenza non conta più.
Una bottiglia di Coca-Cola Zero da un litro costa un euro: un’equità simbolica, che mette insieme la misura di esseri liquidi con quella di esseri monetari. Le persone che comprano al Dia nel mio quartiere alle undici o alle dodici del mattino sono disoccupati, anziani e casalinghe, e matti e malati. Anziane che hanno in mano i soldi contati, e comprano una lattina di aranciata e un sacchetto di caramelle, e scagliano le monete sul bancone, e la cassiera deve contare quelle monete sporche, piene del sudore dell’anziana demente, che va in giro con il pannolone e puzza da morire. Se quella vecchia parlasse inglese, ci troveremmo di fronte a una scena da realismo americano, piena di tagliente poesia, ma in Spagna, parlando spagnolo, e per di più parlandolo con l’accento di Saragozza, semplicemente ci ritroviamo senza tagliente poesia, senza trascendenza, senza epica, senza niente: in ogni caso, ci teniamo l’esotismo delle razze inferiori. Ma questo non importa, la cosa più inquietante è la mia propensione a fraternizzare con la disgrazia; non a porvi rimedio, ma a farla mia, a mettermela nel cuore. Mi metto l’anziana nel cuore, e la amo. E penso che una volta quell’ottantenne è stata una bambina accanto a una madre giovane. Penso a questo, con forza.
Sono stato da solo per tutta la settimana, nel mio appartamento.
Piccoli viaggi in cucina, in camera da letto, in bagno, passeggiate per la stanza in cui scrivo, accendere il televisore. Contemplare la cucina, i piatti, le posate, la caffettiera. Contemplare il letto disfatto in camera. Guardare l’agenda. Stendermi sul divano. Fraternizzo con la mia tristezza come se provenisse da una terza persona, questa è un’altra cosa che mi preoccupa, e che mi schiaccia, perché penso di stare impazzendo.
È l’affratellamento con tutto ciò che è venuto male; con questo fraternizzo, con ogni avversità, con ogni sofferenza; ma sono ancora capace di fraternizzare con qualcosa di infinitamente superiore all’avversità: fraternizzo con il vuoto degli uomini, delle donne, degli alberi, delle strade, dei cani, degli uccelli, delle auto, dei lampioni.