A Barbastro mia madre fu una pioniera in fatto di prendere il sole. Prendeva il sole ovunque. Fece scuola. E convertì alcune delle sue amiche a quella religione la cui liturgia si basava su una cosa molto semplice: prendere il sole. Quando arrivava giugno, andava già al fiume a prendere il sole con le amiche. Tutta l’estate la passava a prendere il sole. Poi diventava nera, come se cambiasse razza. E le piaceva che la gente le dicesse così: «sei nera». Non dicevano «sei abbronzata»; allora, in Spagna, si diceva «com’è nera»; perché il passato è anche un rito di parole e un modo di pronunciarle. L’arrivo della paura fa sì che la gente parli con un altro accento, con un’altra pronuncia.
La mia nostalgia è nostalgia di un modo di parlare lo spagnolo. La mia nostalgia è nostalgia di un mondo senza paura.
Anche le amiche di mia madre sono morte o sul punto di morire. È da molto tempo che nessuno mi chiede di mia madre. Non sento il suo nome a voce alta. Non sento la sua voce. Non mi ricordo della sua voce. Se risentissi la sua voce, allora forse crederei alla bellezza del mondo.
Sento adesso il caldo antico del 1969, e mia madre che prende il sole nel giardino della casa di una sua amica, più giovane di lei, mai sposata. Si chiamava Almudena, e viveva con i genitori. Aveva un giardino con dei begli alberi. C’erano piante e fiori. E là mia madre e Almudena prendevano il sole, e io stavo con loro. Almudena era insegnante e correggeva i compiti mentre faceva il suo bagno di sole. Quella casa con il giardino non esiste più: aveva una cucina grande, e uscivi in giardino dalla cucina, ed era un giardino pieno di luce, ampio e tranquillo, e protetto da un muro, nessuno poteva vederti prendere il sole. A me sembrava il paradiso. Mio padre mi comprò una bici della marca Orbea e imparai a stare in equilibrio su due ruote in quel giardino. Cadevo e mi graffiavo le gambe. Almudena e mia madre assistevano ai miei progressi con l’Orbea. Una volta andai contro un albero e ruppi un vaso. Perché ricordo così bene quella casa? Era a un piano, aveva un salone antico, e la cucina era grande ed emanava bellezza e pace.
A me piaceva Almudena perché era bellissima, mi sentivo molto attratto da lei e avevo delle fantasie. Era stupenda. Mi dava fastidio che mi trattasse come un bambino o che mi ignorasse. La mia piccola vanità si sentiva maltrattata. E lei allora doveva essere giovanissima; secondo i miei calcoli doveva avere ventidue o ventitré anni al massimo. Mia madre aveva amiche giovani, e questo mi dava un privilegio. Almudena mi insegnava matematica, mi insegnava a dividere, io non avevo la minima idea di cosa significasse dividere, a me piaceva soltanto guardarla. La guardavo quando mi faceva lezione nella scuola degli Scolopi e la guardavo quando prendeva il sole in bikini con mia madre. Tutti dicevano che era bellissima. I ragazzi della mia classe dicevano: «Com’è bella la signorina». E io nascondevo il mio segreto, il mio privilegio, il regalo di poterla vedere quasi nuda mentre prendeva il sole. Mi tormentavano quelle strane operazioni matematiche. Le divisioni mi sembravano di una complicazione infinita. Erano leggi, bisognava imparare le leggi che governavano il mondo: le leggi della divisione, della moltiplicazione, dell’addizione e della sottrazione.
La madre di Almudena coltivava un sacco di fiori. Si mettevano tutte e tre a parlare di fiori, io non capivo come si potesse parlare di fiori. Ma le cose che facevano di più erano imbrattarsi il corpo di creme solari, che erano un’invenzione moderna, e bere birra con gassosa e fumare. E ne bevevano una caraffa intera e ridevano ed erano contente. Il marchio Nivea, con il suo contenitore rotondo blu e la crema fredda e bianca, regnava sulle estati. E io me ne stavo lì seduto a guardare il sole che tramontava sugli alberi e sui fiori e sulle biciclette. Può darsi che il tramonto sia l’unica cosa importante. Fu allora che imparai ad amare il mese di giugno. Mia madre m’insegnò ad amare quel mese, che è speciale; quel giardino era una celebrazione del mese di giugno, perché giugno è l’annuncio dell’estate, fa già caldo, ma non c’è la corruzione dell’estate. Quando arriva il mese di luglio comincia l’emorragia, ancora invisibile. Agosto è il mese della visibilità della setticemia dell’estate, della sua ferita, del suo trascinarsi per l’atmosfera, sui volti degli uomini, sui rami degli alberi impietosi, mentre muore.
La morte dell’estate era orribile. Mia madre vedeva la fine dell’estate come un evento tragico, sacrilego. Chi osava uccidere l’estate? Odiava l’arrivo del cattivo tempo. Lei credeva nel sole. Era eretica, ha vissuto sotto i rituali del sole. Aveva un’ossessione per la luce e per prendere il sole. Il sole ed essere viva per lei furono la stessa cosa. Adorava l’estate. Adorava che facesse buio tardi, molto tardi. Accettava la presenza del sole come l’unica cosa degna di essere tenuta in conto; non ne era consapevole, ma nel suo amore per il sole e per l’estate c’era un’eredità millenaria, un’eredità della cultura mediterranea. Non ho conosciuto nessuna persona tanto mediterranea quanto mia madre. Difatti, lei adorava quel mare, e non le piacevano per nulla né il Cantabrico né l’Atlantico. Capii che il Mediterraneo era un mare speciale per l’amore che gli professava mia madre.
Essere vicina al Mediterraneo fu il suo paradiso.
Il Mediterraneo fu la sua unica patria.