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Finalmente viene qualcuno a trovarmi. È Bra. Gli preparo la cena con entusiasmo: salsiccia, patate e uova. Gli ho comprato una buona salsiccia, con i funghi dentro, una salsiccia costosa, sofisticata. Pelo le patate. Friggo le patate, con olio d’oliva pulito. Odio riutilizzare l’olio d’oliva, mia madre non lo faceva mai. Bra ha trascorso quattro giorni di vacanza in montagna con i suoi amici; sono due mesi che non mi vede. Ma insomma, fa lo stesso.

Cena guardando la televisione.

Guardiamo la televisione.

Cosa faremmo senza la televisione.

Gli chiedo se andiamo al cinema, dopo che ha cenato. C’è un bel film. Dice che non gli va, che ha un appuntamento con gli amici. Quando sta per andarsene, gli chiedo se posso accompagnarlo per un pezzo. Sono stato tutto il giorno in casa, mi va di sgranchirmi le gambe.

La proposta lo infastidisce.

Dice di no, che va da solo.

E se ne va.

Sparecchio la tavola, carico la lavastoviglie. Mi fa piacere sapere che ho potuto comprare una lavastoviglie e che va bene, pulisco la cucina, e mi siedo a guardare la tele. Scopro delle molliche di pane sul pavimento della stanza della tele. Torno in cucina e me ne resto a fissare la lavastoviglie di marca OK. E penso che per fortuna c’è la lavastoviglie, sembra una soluzione a tutto. Sembra una forma di umile rivelazione di Dio in persona.

Il suo rumore mi fa compagnia.

A Wagner, negli ultimi anni, avrà fatto compagnia il rumore del frigorifero, perché la lavastoviglie non ce l’aveva.

Johann Sebastian, negli ultimi anni, si faceva accompagnare dal rumore della televisione, perché al cinema non ci andava mai. Come poteva andare al cinema, se lui era la storia del cinema? Lui era lo schermo e i volti degli attori, smangiati dal tempo, sullo schermo ingiallito.

Mia madre sapeva perfettamente che tutto si sarebbe ripetuto. Lei preparava cene e pranzi. Io preparo cene e pranzi. I miei sono peggiori, certo, perché lei sapeva cucinare. In questo ritorno, in questa ricomparsa delle azioni gemelle c’è un’estasi che mi fa impazzire. Sta venendo così, mia madre, attraverso il suo vaticinio. Non viene a dirmi: «I tuoi figli ti trattano come mi hai trattato tu», no, non viene a dirmi questo, ma a dirmi che ha trovato un cammino per tornare da me. Viene a dirmi: «Ti amerò sempre, sono ancora qui».

Ed è questo il portento.

Il portento è che sapeva già, quando era viva, dell’esistenza di quel cammino, lo conosceva già.

È il cammino della stregoneria, un cammino primitivo.

Quando alcuni anni fa mi diceva: «Guarda che se non vieni a trovarmi, i tuoi figli faranno la stessa cosa con te», ciò che in realtà mi stava dicendo era: «Quando sarò morta, tornerò da te lungo quel cammino, quel cammino fiancheggiato da alberi frondosi e dalla luce di giugno, con il rumore dei fiumi vicino, quando sarò morta continuerò a stare con te attraverso le nostre solitudini, la tua e la mia; il cammino, guardalo, è un cammino, un cammino assolato, il cammino dei morti». Ogni volta che Bra e Valdi non vengono a cena da me, Wagner torna lungo quel cammino, tutta defunta, tutta deteriorata, tutta cadavere, con l’orchestra ingiallita dell’eterno ritorno dell’uguale.

Mia madre era una donna nietzschiana. Perciò si chiama Wagner.

Wagner mi dice: anche tu utilizzerai questo cammino, parla a Bra e Valdi del cammino, è ormai ora che parli loro del cammino. È il grande cammino della nostra famiglia, quello che permette ai morti di stare con i vivi.

Non lo farò, non è ancora il momento di mostrargli il cammino lungo il quale tornerò da loro quando sarò morto, dico a mia madre.

Wagner mi dice: è già tempo, perché non ti rimane tempo.

Ma il giorno dopo Bra decide di dormire a casa mia, il che mi dà un’enorme gioia, che ben presto finisce. Perché si sveglia di cattivo umore. Gli do un bacio, che gli dà fastidio o piuttosto gli pare assurdo.

Bra se ne va nell’altra casa, la casa di sua madre, che è anch’essa mia, anche se ora non ho alcun diritto su quella casa, perché lì il suo letto è più grande. Gli offro caffè e biscotti, li rifiuta con una faccia amara e sdegnata. È uno «stai zitto, stai zitto una buona volta, ho già fatto abbastanza dormendo in quel letto spaventoso che hai».

Wagner dice: sta costruendo il cammino, è un cammino ampio e fiorito grazie al quale starai di nuovo sempre con lui, come lo percorrevi tu ogni volta che non mi baciavi o non mi prendevi la mano o non venivi a trovarmi, è lo stesso cammino, lo stesso ritorno.

L’eterno ritorno della maternità e della paternità sgretolate, il ritorno dell’uguale, sempre.

Fisso i biscotti rifiutati. Fisso i biscotti come un idiota. Li avevo comprati con entusiasmo. Sono i biscotti più sconfortati del pianeta. Anche mia madre deve aver comprato molte volte con entusiasmo delle cose per me, cose che non ho saputo vedere, che al momento mi sono sembrate insignificanti, e quell’insignificanza vola per il tempo ed è rimasta per quarant’anni addormentata e adesso ricompare e mi si siede accanto. Mi parla di mia madre così, è il modo che il fantasma di mia madre ha scelto per parlare con me: il cammino wagneriano si apre di nuovo.

L’ha ideato lei.

I miei genitori passarono la vita a programmare e a progettare e a inventare perturbati cammini fino a me, per non lasciarmi mai solo, cammini dalla loro morte alla vita del figlio.

Ranillas e Arnillas è stato un altro cammino.

Il mio divorzio, un altro cammino.

La mia disperazione, il cammino con più sole.

È come se si chiudesse un cerchio giallo, sempre giallo. E il figlio di mio figlio non saprà apprezzare le cose che mio figlio gli regalerà con amore. È un labirinto in cui comunichiamo fra noi al di là della scomparsa, attraverso il malinteso. Come se il malinteso fosse un’equazione matematica che distrugge la fisica della morte.

E Bra se ne va.

Non si è nemmeno rifatto il letto.

L’ha lasciato tutto in disordine.

Mi metto a fargli il letto.

Anche il letto è sconfortato.