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Vivo accanto al fiume, perché Ranillas è accanto all’Ebro. Le persone che vivono accanto a un fiume vivono più a lungo. Prendo l’ascensore e scendo in garage. L’ascensore ha un odore caratteristico, non che sia un cattivo odore, però è un odore straniero, un odore di nessuno, sa di nessuno, di grado zero dell’essere umano. Il garage è al di sotto del livello dell’Ebro. Ho la sensazione di essere in immersione. Il mio garage è sommerso; è un sottomarino.

Quando venni a vivere a Ranillas ero l’unico essere umano che abitava nel palazzo, un palazzo di sedici appartamenti; è stato uno dei grandi lussi immobiliari della mia vita. Era affascinante che l’ascensore fosse sempre al piano, ed era affascinante sapere che nei tre piani sopra e nei quattro piani sotto non c’era nessuno. Aveva anche qualcosa di raccapricciante.

Non dovevo mai aspettare l’ascensore. Quanta vita perde la gente aspettando l’ascensore. Tanta vita. Mesi.

Mi sentii un principe, mi sentii un ministro di qualche Governo della Spagna. Quando mi addormentavo, ero cosciente di farlo in un edificio vuoto, come se fossi un astronauta che riposava nello spazio profondo, come se fossi Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo. Credo che tutto questo l’abbia preparato mio padre; l’ha organizzato lui; voleva che la mia vita si fondesse con gli edifici perduti. L’ha organizzato mio padre perché dev’essere stato lui, attraverso la coincidenza dei nomi, a dirmi di scegliere questa strada, perché questa strada era lui.

Dev’essere stato lui, mi dico. Dev’essere stato lui, spuntando dai morti con un bacio lanciato verso il mio viso.

Credo che pochissime persone a questo mondo si godano qualche volta il fatto di non dover aspettare l’ascensore: non sanno cosa si prova; io invece l’ho saputo per alcuni mesi.

Era sempre lì, al piano.

Quell’immediatezza nella salita e nella discesa mi apriva una via mistica nella percezione della mia nuova casa. Perché, se uscivo, quando tornavo l’ascensore era al piano terra. Lo usavo soltanto io. E lui lo sapeva. Non c’erano nemmeno i rumori. Potevo mettere la musica a palla alle tre di notte. E lo facevo. Facevo girare il comando del volume del mio amplificatore Pioneer fino a dove le mie orecchie me lo permettevano.

La bellezza dell’edificio risiedeva nella sua astratta solitudine, che era un simbolo materiale della scomparsa dei miei genitori. Come se ne sono andati bene, come hanno detto addio senza dire addio. Come posso vederli bene dalla morte, e da Ranillas; come evoca le loro vite l’industria elettrica: l’ascensore Siemens, l’amplificatore Pioneer.