È una mattina di luglio del 1969. Sto per compiere sette anni. Tutta la famiglia è a bordo di una Seat 850 quattro porte. Si tratta di una breve vacanza estiva. E siamo in montagna. Abbiamo appena superato il paese di Broto. Ci sono turisti ed escursionisti lungo la strada; escursionisti con gli zaini, e mangiano panini avvolti in carta di alluminio, che è tutta una novità, quell’involucro è appena arrivato in Spagna. Tutto è gioia e allegria, perché andare in montagna quando d’estate fa caldo è una festa sana. Mio padre guida la Seat 850 e parla di un posto meraviglioso. Sta parlando di quel posto da quando siamo partiti da Barbastro. E anche prima di questo viaggio parlava di quel posto. Quel posto si chiama Ordesa ed è una valle montana.
Dev’essere da queste parti, dico a Valdi e a Bra. Proprio qui. Ho fermato la macchina e ho cominciato a cercare il punto esatto in cui quarantasei anni prima mio padre ha bucato una ruota della sua Seat 850 mentre stavamo entrando nella valle di Ordesa. Penso che devo chiedere a mia madre dov’era il punto esatto. Ma non posso più fare quella domanda. Lei mi risolverà il dubbio. Ma se è morta. Me ne rendo conto ancora una volta. È sempre così.
La verità è che lei non ricordava più quasi nulla. Non ricordava neanche il marito. Concentrò la sua attenzione su quello che riteneva fosse profondamente vivo. Così si concentrò su Valdi e Bra. E fu a loro che regalò il titolo di re della vita e del tempo, l’intoccabile trono dove un tempo eravamo stati mio fratello e io. Passò dall’adorare il marito all’adorare i figli; e dall’adorare i figli all’adorare i nipoti, sempre attenta a ciò che allungava ed estendeva la sua esistenza nel regno indefinito della vita sulla terra. Lei era così, un istinto di una ferocia non colpevole. Mia madre fu soltanto natura, per questo non aveva memoria, aveva soltanto presente, come la natura. Dovunque sarà, adorerà i figli di Bra e Valdi, e sarà accanto a loro, come un albero tanto gigantesco quanto invisibile. Nella permanenza del suo sangue lei persevererà, perché io l’ho conosciuta, e so bene che non aveva fine. Mia madre era infinita. Mia madre era il presente. La forza dei suoi istinti la conduce alla mia presenza. La sua presenza nella mia presenza si trasforma in presenza nei miei figli presenti, e facendosi presente nei miei figli presenti, avvisa della sua presenza nei figli dei miei figli quando si trasformeranno in presente.
È a mio padre, perché era lui a guidare, che avrei dovuto chiedere a tempo debito dove si bucò la ruota della Seat 850, in quale preciso tratto di quel rettilineo.
Non ho detto a Valdi e a Bra che avevo scelto Ordesa per trascorrere tre giorni di vacanza con l’intenzione di ricordare il luogo in cui quarantasei anni prima si era bucata una ruota, ma devono essersi sorpresi quando ho fermato la macchina lungo un rettilineo che sale a Ordesa dal paesino di Torla e mi sono messo a cercarlo. Il rettilineo è sempre lì, imperturbabile. Quella strada non è stata allargata né rinnovata, è esattamente uguale, magari sarà stata asfaltata nove o dieci volte in cinquant’anni, ma niente più. È stretta ed è fiancheggiata da alberi alti. Su un lato della strada c’è un albergo storico. Ho cercato di farmi dare una stanza, ma era pieno. Non ha molte camere, calcolo al massimo venti o venticinque, è normale che sia al completo, perché è estate, alta stagione, e anche se l’albergo è pieno, questo non rovina il paesaggio, che è rimasto intatto.
Quell’albergo si trova in un posto privilegiato; può darsi che l’ubicazione di quell’albergo sia la chiave del fatto che la strada sia rimasta uguale a cinquant’anni fa. Ricordo che dopo aver contemplato la ruota bucata, schiacciata contro il suolo, perso il suo vigore, guardai davanti a me con i miei occhi da bambino e vidi quell’albergo come un’apparizione, come se fosse sorto dal nulla, e poi osservai la faccia contrariata di mio padre, che guardava la ruota e apriva il cofano per cambiarla.
Fui cosciente della mia vita. La prima volta che fui cosciente che cominciava il tempo.
Ricordo in maniera confusa la fatalità della bucatura: non so come si risolse tutto. Ricordo bene la Seat 850 bianca e ricordo il posto. Mio padre era affascinato da Ordesa. Perché d’improvviso a Ordesa tutte le pazzie della vita scompaiono di fronte allo splendore delle montagne, degli alberi e del fiume. Cerco il posto preciso, con la lanterna della memoria. Valdi e Bra non sanno cosa sto facendo. Passano automobili. Fiuto una traccia, come un cane da caccia. Guardo le pietre.
È Ordesa.
Qui si bucò la ruota, da queste parti. E sento la sua presenza. Prese la ruota di ricambio dal bagagliaio. È accanto a me. Era giovane, fischiava, sorrideva, nonostante la foratura. Era il suo regno, la sua valle e le sue montagne, la sua patria. Io scesi dalla macchina e guardai le montagne e comparve quell’albergo a cui ho telefonato qualche giorno fa per farmi dare una stanza e non c’era.
Però tutto è svanito.
Per questo so che non esiste Dio; se esistesse Dio, mi sarebbe stata concessa una stanza tripla in quell’albergo, per i miei due figli e per me, e così avrei avuto tutto il tempo del mondo per cercare una foratura. Ma la stanza non c’era, era tutto pieno.
Tutto era futuro, allora, quando ci fu la foratura.
Tutto è passato, ora, quando cerco la foratura, la ricerca più illusoria o assurda della terra. Però la vita è assurda, perciò è così bella.
La valle di Ordesa è sempre là, non cambia, non è cambiata in questi ultimi cinquanta milioni di anni. È sempre uguale, com’era stata creata nell’era terziaria. Dopo cinquanta milioni di anni da sola, il 16 agosto 1918 fu dichiarata Parco Nazionale e cominciarono ad arrivare gli alpinisti per scalare i 3.355 metri di altezza del Monte Perdido.
Lassù non c’è nessuno.