«Non poteva dirti molte cose» dice la voce, «perché il contenuto della tua telefonata era la tristezza in sé. Sì, Rachma dissimulò bene, e con questo non voglio dire che la tua telefonata non avesse senso; volevi sapere cose di tuo zio, che non vedevi da trent’anni, correva l’anno 2002 quando gli telefonasti. Non ci parlavi dal 1972. Erano trent’anni che non lo vedevi, Dio mio. Lui si ricordava che non ti vedeva dal 1972? E la cosa grave è che nemmeno allora l’avresti rivisto. Ma se non lo vedevi era perché non esisteva più il fratello di tuo padre sulla terra; di qui il fatto che Rachma sapesse che stavi chiedendo di un morto. La tua specialità è chiedere dei morti. Fai sempre la stessa domanda: perché sei morto? In generale, fai quella domanda a tutto quanto esiste e morirà o è già morto. Ti piace parlare spagnolo, parlare in spagnolo, perché lo spagnolo ti serve per parlare con i morti. Sottolinei le sillabe, urli le sillabe spagnole perché afferrino gli esseri umani che rappresentano. Perché sei morto, perché non sei più tra noi, perché non posso raggiungerti per telefono? Sono queste le tue domande. Così Rachma manifestò un’allegria vaga alla tua telefonata, e questo ti deluse; però era la voce di Rachma, una voce che aveva risuonato nella tua infanzia; e c’era lì, nella tua infanzia, un episodio oscuro, e una gratitudine mai verbalizzata, e quella era in realtà la ragione profonda per cui volevi parlare con Rachma.»