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Rachma venne da Lugo a Barbastro, doveva essere verso il 1972. Voleva ritrovare il proprio paese. Se n’era andato agli inizi degli anni Sessanta. Venne con una macchina nuova. Si era comprato una Simca 1200. I due fratelli erano al culmine della carriera.

Johann Sebastian aveva una Seat 124, comprata nel 1970. E Rachma si era comprato una Simca 1200. Erano motori della stessa cilindrata. Pensavano in grande, i due fratelli, la forza della giovinezza. Vollero fare una corsa. Credo che abbia vinto Rachma. Sì, fecero una corsa da Barbastro al paesino di Castejón. Sono quindici chilometri. Quella strada non esiste più, molti anni fa hanno costruito una nuova superstrada e non si passa più da Castejón. Rachma voleva dimostrare al fratello maggiore che la Simca correva più della Seat. Mio padre si fece carico della Spagna attraverso le Seat che comprò nel corso di tutta la vita. Fu fedele alla Spagna attraverso la Seat. Mi commuove quella fedeltà. Quando vidi il film Gran Torino, in cui Clint Eastwood mostra la propria fedeltà alla Ford come una forma di fedeltà agli Stati Uniti, mi sentii ricompensato, sentii che mio padre non si era sbagliato con la Seat. Non gli passò mai per la testa di comprarsi una Renault o una Simca. In realtà, credo che Seat e automobile per lui fossero la stessa cosa. Perciò non capì bene la corsa di Rachma, né la macchina di Rachma. Gli parve che, non avendo una Seat, era come se Rachma stesse smettendo di essere spagnolo.

A mio nonno, che non so chi fu, né come si chiamasse, né quando nacque o quando morì, sarebbe piaciuto vedere i due fratelli che pensavano in grande. Ma era morto, sepolto in un loculo senza nome nel cimitero di Barbastro.

Mio nonno fu un loculo alla deriva. Non so neanche dov’è sepolta mia nonna. Non dico il cimitero, ma la città. Cosa pensava mio nonno dei suoi figli? Era orgoglioso di loro? Li baciava? Gli allargavano il cuore come lo allargano a me Bra e Valdi? Il mio amore per Bra e Valdi si perderà nello stesso modo in cui si è perso l’amore di mio nonno per Bach e Rachma? Non posso recuperare mio nonno da nessuna parte, non posso nemmeno inventarlo. Non so neanche in che anno è morto. Chi era? Mi avrebbe voluto bene? Mi avrebbe preso per mano quando ero piccolo? Non mi ha visto nascere e non gli è stato dato immaginare la mia nascita. Tutto ciò che, essendo della mia famiglia, non mi ha sfiorato né intuito né previsto mi sembra di una purezza soprannaturale. Perché la memoria che conservo di Bach e di Wagner, di Monte e di Rachma si è trasformata in qualcosa di sovrumano. Porto dentro di me quella memoria come un battito di oscura allegria. Non è rimasto nulla: né un orologio, né un anello, né una penna, né una foto.

Non so neanche dove è sepolto Rachma. Un giorno mi chiamò mia cugina e me lo disse. Rachma se ne andò a settantaquattro anni, uno meno di Johann Sebastian. Passarono più di trent’anni senza vedersi, ma si amavano. Rachma pensava che Bach avesse un carattere molto rigido. Ed è vero, mio padre era incline alla severità morale, ma questo lo aiutò a vivere, era come un pilota automatico quella severità. Lo orientava nella vita. Rachma era diverso, e ben presto la sua voce s’impregnò di un accento galiziano.

Si amarono senza vedersi. Erano fratelli. Mio padre lo portava dentro, nel suo cuore. Si portava Rachma dentro, suo fratello minore, del quale non parlava mai. Io so che lo amava moltissimo, ma non l’ha mai detto.

Rachma diventò galiziano. Era come se fosse nato in Galizia, però era nato a Barbastro. Rachma era molto diverso da Johann Sebastian. Prima di tutto, Johann Sebastian era più alto. Rachma era magro e aveva molta simpatia personale. E per colmo, Rachma divorziò. Quello sì che fu incredibile. Del divorzio di Rachma mio padre non disse mai nulla. Non fece nessuna valutazione. Sembrava che la vita di Rachma fosse piena di emozioni. Vinse anche alla lotteria. Credo che fossero tre milioni di pesetas di metà degli anni Settanta. Cambiò macchina, diede via la Simca 1200 e comprò una Chrysler 180, un’auto che, quella sì, implicava un salto considerevole. Ma successe qualcosa fra loro. Non saprò mai neanche questo, che cosa successe, e non lo saprà nessuno. Forse non successe assolutamente niente, ma decisero di compiere gli anni ciascuno per conto suo. O qualcosa del genere. Poi arrivarono notizie attraverso dei conoscenti sul fatto che Rachma beveva. Io immaginavo la sua vita da divorziato. Lo immaginavo che viveva da solo in un appartamento di Lugo, in una strada stretta, e la sera scendeva al bar sotto casa a bere un cognac e a parlare a lungo con il cameriere. Non so perché gli inventai quella vita. Credo che sia stato a metà degli anni Ottanta che gli inventai quella vita. La cosa più curiosa è che gli invidiavo quella vita. Penso che il matrimonio di lunga durata non sia proprio della natura umana. Sono contento che Rachma sia arrivato a rendersene conto. Immagino che si sia trattato di questo. Gli uomini accettano i matrimoni di lunga durata perché smettono di credere nella giovinezza.

Penso che dopo il divorzio dev’essersi trasformato in un altro uomo. Bene, capisco allora che Rachma abbia detto di no a quell’ordinamento simbolico della realtà che c’è dietro il matrimonio di lunga durata, che è un incubo, che è una prigione; è chiaro che chi vive in quei matrimoni sorride e sembra che sia un sorriso vero. I matrimoni di lunga durata non credo che valgano la pena, capisco che quest’affermazione è esagerata, ma anche la rinuncia alle passioni è un’esagerazione del sacrificio ragionevole. Alcuni antropologi sostengono che la monogamia non è naturale. Una giostra interminabile di infedeltà fra uomini e donne, di malintesi dolorosi, questo c’è dietro l’imposizione della monogamia.

Forse i matrimoni di lunga durata sono stati inventati dal capitalismo ecclesiastico.

Non ci sono certezze.

Mi sono appena svegliato a Ranillas e la luce, sorellastra della vita, è là. Sembra un personaggio, la luce, qualcuno che mi dice: «Sono la luce, sei figlio della luce, guarda come do consistenza alle cose, perché le cose esistono grazie alla luce».

Fisso il cielo.

Cosicché Rachma mi stava aprendo la strada. Sembra come se Dio in persona mi mandasse messaggi attraverso i fratelli di mia madre e di mio padre.

Monteverdi disse: «Catastrofe e solitudine e fallimento».

Rachmaninov disse: «Divorzio e Chrysler 180 e Galizia».

Entrambi i messaggi sono buoni perché in essi arde la vita, che serviamo. L’unico peccato che può commettere un uomo è smettere di servire la vita. E non è neanche un gran peccato, piuttosto un reato minore.