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Mia madre vedeva la mano del diavolo nelle sue avversità quotidiane. Molte volte diceva: «Il diavolo è in questa casa», quando cercava qualcosa e non la trovava. E concludeva urlando: «Impossibile che il diavolo non sia in questa casa». E cercava qualcosa che aveva sotto gli occhi, ma che non riusciva a vedere. Io ho ereditato lo stesso principio di demenza. Cerco cose che ho sotto gli occhi, come un libro o una lettera o un pullover o un coltello o un asciugamano o dei calzini o un documento di una banca, e non riesco a vedere. Mia madre era convinta che il demonio le nascondesse le cose, che il demonio fosse il colpevole dei piccoli contrattempi. Viveva tutti quegli incidenti domestici con un’intensità da pazza. E io sono lei adesso, e il demonio non è altro che una degenerazione neuronale ereditaria che colpisce il nervo ottico e si trasforma in ondate di connessioni chimiche spente o esitanti, e in quel deterioramento elettrico della trasmissione della realtà sono in incubazione i batteri della psicosi, e la forma organica della volontà marcisce in una massa di ordini estranei al mondo sociale e mi trasformo in un museo di aridità, di silenzio, di solitudine, di suicidio, di sordità e di sofferenza.

Per mia madre e per me, la vita non aveva o non ha trama.

Non stava succedendo nulla.