È una mattina d’estate del 1970: Rachma e Bach camminano sulla spiaggia galiziana di La Lanzada, vicino a Combarro. C’è vento, c’è luce, un enorme spazio di mare e di sabbia. È il paradiso, ma è soltanto il mio ricordo. Il mare guarda i fratelli. Il mare è mio nonno, li sta guardando, manda loro onde, manda vento, silenzio, solitudine, gratitudine, manda loro fervore.
Sono due grandi fratelli, eredità delle terre del nord della Spagna, sono così diversi. E quella spiaggia di La Lanzada, lunga otto chilometri, sbocca adesso nel mio cuore.
Ho quell’immagine in testa: i due che passeggiano sulla spiaggia, accanto al mare troppo blu, accanto al sole troppo alto.
Perfino le classi sociali meno favorite dalla Storia reclamano un destino leggendario, vogliono parole buone, un poco di poesia.
Poi vanno in un bar di pescatori e mangiano granseole e mangiano granchi e scampi e bevono vino albariño. Rachma ha trovato una bella donna. Si è sposato con una donna splendida. È andato a lavorare in Galizia e lì ha sposato una galiziana. Ed è una bellezza esotica, dai capelli rossi. Del suo fidanzamento non ho mai saputo nulla, ma immagino che mio padre invece sapesse, e ciò che sapeva ormai si è perduto. Non so nulla neanche di ciò che facevano Bach, Rachma e le loro mogli, quando erano giovani: immagino cene con gli amici, risate, gioventù, qualche viaggio, feste, balli, e adesso il nulla.
Feste, balli e cene e tutti e quattro insieme.
La mia devozione per Rachma è concreta e comincia da quando nel 1972 si presentò a Barbastro con la sua Simca. Era euforico e felice di ritrovare il proprio paese. Insistette che voleva fare un regalo al nipote. Non so quante volte Rachma mi abbia visto nella vita: non devono essere state molte, sette o otto, forse, con un po’ di fortuna, dieci. Quella fu importante. Rachma e io andammo in un negozio che stava, e continua a stare, nel centro di Barbastro. Si chiamava Magazzini Roberto. Rachma voleva comprarmi un bel giocattolo. Io mi sentivo allo stesso tempo contento e confuso, perché non era Natale e mi avrebbero fatto un regalo come quello dei Re Magi.
C’era un commesso del negozio, un tizio poco più che ventenne, che si offrì di mostrarmi tutti i giocattoli. Rachma mi lasciò alle cure del ragazzo mentre andava a salutare un vecchio amico per dirgli che era a Barbastro, e così mi presi il mio tempo per scegliere il regalo che mi piaceva di più.
Il commesso era un tipo alto, sudato, silenzioso, grasso, con la pelle bianca. Mi portò per mano nello scantinato, dov’era immagazzinata una bella quantità di giocattoli. Me ne mostrò alcuni.
E qui si verifica di nuovo il blackout, come con il sacerdote.
Le sue mani sudate toccano il mio corpo e vogliono accarezzarmi. Mi tocca. Mi palpa. Vuole darmi un bacio in bocca. Io provavo vergogna, una vergogna priva di razionalità. E senso di colpa.
Ma stavolta è diverso. Quello che non avevo saputo dire a mio padre, lo dissi a Rachma. A Rachma fu facile dirlo, o piuttosto lui seppe vederlo, seppe indovinarlo e dovetti soltanto dargliene una conferma. E Rachma montò in collera. Rachma cercò quel tizio, voleva spaccargli la faccia.
Rachma voleva ammazzare quel tizio.
Non mi sono mai sentito tanto protetto.
Invoco quella protezione in questo momento di fronte al mistero della morte.
Quel tizio era un figlio di puttana.
Rachma mi difese e mi tolse il senso di colpa. Non era colpa mia. Quella certezza che non ero stato colpevole poi mi servì nella vita, mi fu utile molte volte. Rachma lo proclamava con il suo modo di agire. Mi stava difendendo, alla fine. Lo ricordo con forza nelle sue azioni, mentre parla con il proprietario del negozio, senza paura di nessun potere sulla terra, senza paura delle conseguenze, senza paura perché stava difendendo me. Per difendere qualcuno bisogna essere, prima, sicuri di sé stessi. La sicurezza che aveva Rachma non la ebbe Bach. Quella sicurezza è l’oro più grande dei corpi e delle menti. Spero che la ereditino Bra e Valdi, perché è nel nostro sangue, perché Rachma ce l’aveva.
Grazie, Rachmaninov, la tua musica suona ancora nel mio cuore stanco.
La tua difesa della mia vita torna a me in questa notte del Venerdì Santo, quarantacinque anni dopo.
Alla fine, la colpa non era mia.