Mia madre chiedeva la morfina quando soffriva di coliche epatiche, negli anni Settanta, ma da dove venivano quelle coliche mai spiegate? La famiglia è un mormorio di malattie mai chiarite.
Beveva? No, assolutamente. Però non lo so. Non so niente. Mi oriento con l’amore. Con la perdita dell’amore.
Smise di averle da quando compì cinquant’anni, e smise di chiedere la morfina.
Ormai potrebbero legalizzare le droghe una buona volta. Questa insistenza dello Stato sul fatto che i cittadini sperimentino l’agonia della solitudine, che vivano e muoiano soli.
Mio padre è morto solo.
Mia madre è morta sola.
È la più grande rivincita della natura, che si presenta nelle stanze degli ospedali e distrugge tutti i patti umani, distrugge il patto dell’amore e il patto della famiglia e il patto della medicina e il patto della dignità umana e convoca la risata degli altri morti, dei morti antichi, che ridono del cadavere appena arrivato.
I miei genitori non ebbero mai una macchina fotografica. Mio padre non fece mai una foto. E mia madre odiava essere fotografata. Le sembrava sempre di essere venuta male nelle foto. Odiava la fotografia. Neanche a me piace che mi fotografino. Né mia madre né io vogliamo che resti testimonianza del fatto che siamo stati sotto la luce del sole. A volte ho provato a farle qualche foto; non me le lasciava fare oppure le stracciava se riuscivo a farle.
La manciata di foto che ho ereditato sono trascurate, piegate, alcune strappate. Non si è azzardata a distruggerle completamente, le nascondeva e le sgualciva soltanto, sperando che si volatilizzassero da sole. Ma ho trovato questa:
Immagino che questa non sia riuscita a stracciarla. Qualcuno deve averla fatta e deve avergliela data per ricordo. La foto di questo bambino consente la sua datazione. È scattata in un vecchio cinema di Barbastro che non esiste più. Si chiamava cinema Argensola. Il palazzo fu abbattuto ormai più di dieci anni fa, per colpa dell’alluminosi. Ma questo non serve per la datazione della foto. Serve il cartello che sta dietro la figura del bambino diabolico. È la pubblicità di un film spagnolo intitolato Los Palomos, del 1964, interpretato dagli attori Gracita Morales e José Luis López Vázquez, entrambi morti, ovviamente.
La mano che non regge la palma sembra una protesi di rame.
Mia madre odiava i ricordi; era qualcosa di istintivo, quell’odio, e anche di raffinato. Disprezzava i ricordi, le facevano schifo e la facevano vergognare.
Maliziosamente, sapeva che nulla dev’essere ricordato. Questo vuol dire avere competenza sulla morte.
Cosa è venuto a fare al mondo il pupazzo diabolico della fotografia? È venuto a tirare avanti in un paese che si chiama Spagna.
Mangio un biscotto guardando la foto del pupazzo diabolico. Penso alla fame, agli attacchi di fame. Mia madre diceva che da piccolo era una tortura farmi mangiare. Sì, sembra che questo fosse vero. Lo diceva anche mia zia Maria Callas. Mi rifiutavo di mangiare. Dovevano combattere per farmi mangiare. Fui sul punto di morire d’inedia. Magari avessi persistito in quella vocazione alla denutrizione, ora non starei mietendo morti, ascoltando la musica dei morti. Ero consapevole di quello che facevo, non volevo che nulla mi entrasse nel corpo, che nulla di esterno irrompesse nelle mie intimità, non volevo che venissero contaminati i miei organi, il mio sangue, la mia carne immacolata. Non volevo che lo stomaco, il fegato, i reni, fossero toccati dalla vita. Volevo tornare dov’ero stato, volevo tornare a mia madre.
Dovettero ricoverarmi in ospedale quando avevo appena tre anni perché non mangiavo. E adesso, paradossalmente, l’ansia mi porta al cibo. Passo le giornate a contabilizzare quello che mangio, a misurare le calorie. Chi mangia cerca la rigenerazione della vita; nel cibo c’è l’ordine della manutenzione delle macchine della vita, ma le macchine invecchiano, e il combustibile si consuma in corpi che non vanno più. I vecchi affamati hanno corpi che non funzionano più, che consumano soltanto cibo, come le auto che bruciano olio; auto ad alto consumo e basso rendimento.
Così sono i vecchi, alto consumo e basso rendimento, questo è invecchiare.
Il rapporto che ebbero le due sorelle, Maria Callas e Wagner, fu speciale, molto tacito e molto profondo. Maria Callas era pura bontà, ma quella bontà non seduceva Wagner. Maria aveva otto anni più di Wagner. Crebbero insieme e sapevano molto l’una dell’altra.
Ora non so più chi delle due è morta prima.
È stata Maria Callas, sì, e Wagner non andò al suo funerale, e neanch’io.
Né Wagner né io andammo al funerale di Maria.
Quanto assomiglio a mia madre, assolutamente uguali.