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La morte di mio padre fu anche la scomparsa di una gestualità, di determinati movimenti corporei, del colore di certi occhi, che non rivedrò mai più. Una forma di espressività nelle mani, nelle braccia, nello sguardo, nelle labbra, nelle gambe. E se mi dimentico di lui, mi dimentico di quei gesti. È più efficace e perfetta la morte di coloro di cui non conserviamo video o film.

È una scomparsa energica. Se esistessero dei video di mio padre, potrei ricordare la sua gestualità, ma non ce ne sono, perché lui non volle mai che ce ne fossero, perché sapeva che sarebbe arrivato questo momento, il gran momento di tutti i momenti, l’ultimo giorno della vita, il momento in cui scopriamo che non c’è attestazione che quell’essere umano sia stato una volta sopra la terra.

È la grandezza dell’addio, l’evoluzione dell’addio. Non lo rivedrò mai più, ripeto come un mantra. E lì si manifesta la grandezza dell’addio. La fede allora è qualcosa di naturale, perché ti è impossibile accettare l’idea che non lo rivedrai mai più per la semplice ragione che sta lì. Se allungo la mano tocco la sua luce.

Non si muove.

Sta lì, e mi guarda.