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Mi stavo stirando i vestiti. Mi sono stirato un paio di camicie. Mio padre aveva molti completi, il cui destino ignoro. Li teneva in un armadio rosso, il cui destino sarà stato l’immondezzaio. Perché era rosso quell’armadio? Sicuramente per una pensata di mia madre, un delirio decorativo. Be’, il giorno in cui decise di dipingerlo di quel colore dev’essere stato un giorno felice.

Non so dove vanno a finire i mobili vecchi. Non so neanche cosa ne è stato dei completi di mio padre. Mio padre amava i suoi completi. Erano l’opera della sua vita. Io a volte aprivo l’armadio rosso e ci guardavo dentro: era una successione di abiti che evocava una successione di uomini poderosi: tutti sulla loro gruccia: tutti perfettamente stirati: darei un anno di quelli che mi rimangono da vivere per rivedere quei completi: erano un distillato visivo di mio padre: erano la forma di visibilità sociale di mio padre: erano la forma in cui mio padre veniva al mondo: erano lo splendore della vita di mio padre: la sua giovinezza, la sua maturità, la sua indifferenza: il suo regno su tutte le cose: su tutte le specie: il suo segno di distinzione in mezzo alla natura.

Mio padre contemplava i suoi completi con flemma e con meticolosità, sto parlando degli anni Sessanta e Settanta. Durante il franchismo, il ceto medio-basso arrivò a possedere un completo, vale a dire una camicia bianca con la cravatta, un pantalone di terital e una giacca.