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Alla fine degli anni Sessanta mio padre ci portava in vacanza in una pensione in un paese di montagna. Quel paese era Jaca. Conosceva quella pensione per il suo lavoro di commesso viaggiatore. Diceva che si mangiava molto bene. Gli dava gioia portarci lì. Essere lì con la sua famiglia, stare con i suoi nel posto in cui abitualmente stava da solo. Regalarci la sua scoperta.

È questo che faceva: ci offriva una scoperta, una vittoria.

Era vero che si mangiava bene, facevano una tortilla squisita e misteriosa, con un sapore che non ho mai più ritrovato in nessuna tortilla. Avevo sette anni, allora, perciò questo accadeva nel 1970, più o meno. L’immagine che ho di quegli anni implica una distorsione incorporea: vedo cose che brillano, vedo polvere gialla, mobili grandi e antichi allo stato liquido, corpi irreali, odori sani, ma odori defunti. Anticamente, gli odori erano migliori, credo; non migliori, forse più naturali. La sala da pranzo della pensione aveva un tocco ottocentesco, o così lo ricordo. Le tovaglie dei tavoli erano di stoffa buona, bianchissime. Le scale che portavano alle camere erano di legno. Le porte delle stanze erano alte. I letti mi facevano paura. A cena, offrivano per dessert un flan fatto in casa che era una delizia. Mi lasciavano entrare in cucina. Non ero mai stato nella cucina di un ristorante e mi stupì che fosse così grande e con tante padelle e tante pentole e tanta gente che ci lavorava. Andavamo a passeggio per Jaca, che mi sembrava una città stupenda, ma non aveva la spiaggia. Non riuscivo a capire perché non ci fosse la spiaggia se eravamo in vacanza. Mia madre mi portava alla piscina municipale. Lì mi insegnarono a nuotare, e lì ho inghiottito molta acqua. In quegli anni ci fu il boom delle piscine municipali. Tutti i paesi con più di diecimila abitanti si emanciparono dai fiumi.

La Spagna si trasformò in comuni che costruivano piscine municipali. E ci dimenticammo dei fiumi, che finirono i loro giorni fungendo da immondezzai.

È da molti anni che quella pensione ha chiuso. Non so cosa abbiano fatto di quelle tovaglie così bianche, né delle padelle, dei letti, dei mobili, delle posate, delle lenzuola.

Anche le cose muoiono.

La morte degli oggetti è importante. Perché è la scomparsa della materia, l’umile materia che ci ha accompagnato e che ci è stata accanto mentre la vita si stava compiendo.