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Si sposarono il 1º gennaio del 1960.

Di loro mi sono rimaste poche cose materiali, poche gravitazioni della materia, come le foto. Foto, pochissime. Uno dei due si è preso la briga di cancellare qualunque traccia, qualunque gittata futura delle loro vite, forse non in maniera premeditata. Nessuno dei due ha pensato al mio futuro, nel quale adesso li sto ricordando, nel quale sono solo.

Ho trovato questa foto:

ORDE_pareja

Non l’avevo mai vista prima. Mia madre la nascondeva. La cosa curiosa è che io credevo di conoscere ogni angolo di casa di mia madre, una casa che è stata anche la mia. Credevo di conoscere ogni cassetto, ma evidentemente non era così. E quindi mia madre nascondeva foto che neanche mio padre sapeva esistessero. Il livello di inconsapevolezza dei miei genitori sulle loro vite mi sembra un enigma. Ancora più enigmatico è che sia io, una volta che sono morti, a cercare di sapere chi sono stati. Il livello di omissione sulle loro vite mi sembra arte.

Furono due Rimbaud, loro, i miei genitori: non volevano la memoria, non pensarono a sé stessi. Furono inavvertiti, ma generarono me, e mi mandarono a scuola e imparai a scrivere, e ora scrivo le loro vite; lì abbassarono la guardia, avrebbero dovuto abbandonarmi al più rivoluzionario e radicale e inappellabile analfabetismo.

Il fatto che non potrò mai più parlare con loro mi sembra l’evento più spettacolare dell’universo, un fatto incomprensibile, della stessa entità del mistero dell’origine della vita intelligente. Non mi fa chiudere occhio la constatazione che se ne siano andati. Tutto è irreale o inesatto o sfuggente o indeterminato, da quando se ne sono andati.

Le fotografie restituiscono sempre la precisione della realtà; le foto sono l’arte del demonio. Tutta la cristianità ucciderebbe per avere una foto di Gesù Cristo. Se avessimo una foto di Gesù Cristo, crederemmo di nuovo nella resurrezione dei morti.

Nascosero le loro nozze, non so perché e non lo saprò mai più. So che si sposarono il 1º gennaio del 1960 da uno stato di famiglia, che era stato anch’esso nascosto. Non so come fosse la gente allora, nel 1960. Potrei guardare documentari o film dell’epoca. Non vedo alcun rapporto fra la mia persona attuale e questa fotografia dei miei genitori che ballano.

Dev’essere stata una serata magnifica.

Del matrimonio dei miei del 1º gennaio 1960 non esiste nessuna foto sul pianeta Terra. Si fecero scattare qualche foto? Tutti conservano una foto del loro matrimonio. I miei, no. Se c’era qualche foto, mia madre deve averla stracciata. Perché? Per stile, perché entrambi avevano stile.

Nessuno che fosse presente a quel matrimonio è ancora in piedi sulla terra; sono tutti sotto terra.

Andarono in viaggio di nozze a Lourdes. Non mi raccontarono mai molti particolari su quel viaggio. Mio padre aveva già la sua Seat 600. Spesso immagino quel viaggio. Dovettero attraversare la frontiera; forse lo fecero dal Portalet, anche se, essendo inverno – l’inverno del 1960 – il passo doveva essere pieno di neve. Non so come fece mio padre a superare quel passo con una Seat 600. Quando giro con la mia macchina per le strade francesi di montagna che portano a Lourdes me ne ricordo sempre.

«Sono stati qui» mi dico.

Non lo dico a nessuno.

Non la smetto mai di toccare quelle ombre. Quei fantasmi. In che albergo erano andati? Stavo per domandarlo a mio padre e non posso farlo. Sembra una stupidaggine, dici: «Ah, questo devo chiederlo a mio padre, lui lo sa di sicuro». E invece tuo padre è morto da nove anni. Così non saprò mai in quale albergo siano stati in quell’insolita città di Lourdes. È una città di invalidi, di miracoli, di madonne e sante, e allo stesso tempo è una città dalla fertile vegetazione, tutto molto verde e frondoso.

Perché andarono lì in viaggio di nozze?

Sarebbero potuti andare a Barcellona. O a Madrid. O a San Sebastián. A Parigi impossibile, non c’erano soldi. Che strana scelta, che nessuno più potrà spiegarmi. Chiunque sia stato in quella città riconoscerà che è un posto indimenticabile, messianico, liturgico, esoterico, folle. Come ho fatto a non chiedere, finché potevo, perché avevano scelto per il viaggio di nozze quella città in cui la Vergine Maria era apparsa diciotto volte alla pastorella Bernadette Soubirous? La risposta è ovvia: non l’ho chiesto finché potevo perché ho pensato uno di questi giorni glielo chiedo, come se dovessero essere sempre lì. Forse mi dava fastidio chiedere di quel viaggio, sembra una cosa molto personale. Insomma, in ogni modo, l’unica cosa ovvia è che se devi chiedere qualcosa a qualcuno, fallo subito.

Non aspettare domani, perché il domani è dei morti.

Se avessi un’altra opportunità, nemmeno in quel caso riuscirei a chiedere qualcosa sul loro viaggio di nozze. Non l’ho chiesto allora perché sapevo che non volevano parlarne.

Posso immaginare perché non volessero parlarne. A loro non piaceva la parola «matrimonio», era questo il punto, in realtà. Qualcosa di semplicemente istintivo.