Andai a vedere la sua auto. In tutta l’auto si respirava il vento spirituale di mio padre. Le sue grandi mani sul volante, i suoi occhiali, il portabagagli vuoto, la coperta nel portabagagli per proteggere il portabagagli va’ a sapere da cosa (e ovviamente anche la mia auto ha una coperta nel portabagagli per proteggere il portabagagli va’ a sapere da cosa), il vano portaoggetti con i documenti in ordine. Mio padre seppe vedere la fusione mistica del ceto medio-basso spagnolo con le automobili che quel ceto medio-basso giunse a possedere.
Era una mistica industriale e politica: un affratellamento ancestrale di lamiera e pittura con carne e sangue.
Il suo modo di andarsene da questo mondo per me è segno di un’arte superiore. Se ne andò con una discrezione ammirevole.
Non gliene fregava niente della morte, non la considerava. Gli fece pena l’auto. Dovette spaventarlo il fatto che ciò che era stato un motivo di costante preoccupazione nel corso della sua vita – e pertanto fondamento e senso di quella vita – non importasse più. Era un cambiamento radicale.
Sarebbero morti nello stesso momento, la sua auto e lui.
Il giorno in cui abbandonò la sua auto, ebbi un tuffo al cuore.
Sapevo cosa significava l’auto per lui. Era un po’ di radicamento materiale nel mondo, una proprietà. L’anima di mio padre veniva da molto lontano nel tempo, dalla vecchia notte planetaria, l’anima di uomini privi di radicamento – uomini vivi o morti, era uguale –, da lì veniva l’anima di mio padre; anime che non si radicavano, che erano di un’estrema bellezza e di un’estrema volatilità.
Diventammo invisibili per mio padre.
Mia madre ebbe attacchi di panico.
Aveva paura delle ultime fasi della malattia.
Eravamo una famiglia catastrofica, e allo stesso tempo avevamo la nostra originalità.
Andavamo e venivamo dagli ospedali.
Non parlavamo.
Non capisco cosa successe. Credo di aver avuto una buona dose di responsabilità. C’era in me un’insoddisfazione che mi impediva di farmi carico di tutto. Mi venivano attacchi depressivi negli ospedali. Non sopportavo quella situazione.
La mia vita andava male e la vita di mio padre se ne andava.
Ci davamo la colpa a vicenda. Mio padre a mia madre. Mia madre a me. Io a mio padre. Mio padre a me. Mia madre a me, eccetera. Era una specie di mare magnum di insoddisfazione e colpe.
Senza neppure un istante di riposo.