Mi pentii di aver scelto la cremazione. Mia madre, mio fratello e io volevamo dimenticare tutto. Liberarci del cadavere. Tremavamo di paura, e fingevamo di tenere sotto controllo la situazione, ci sforzavamo di ridere di qualche dettaglio comico che ci proteggeva dal terrore. Le tombe sono state inventate perché la memoria dei vivi vi si rifugi e perché i resti ossei sono importanti, anche se non li vediamo mai: pensare che ci sono è sufficiente. Però le tombe, in Spagna, sono loculi. La tomba è nobile; i loculi sono deprimenti, cari e brutti. Perché tutto è brutto e caro per il ceto medio-basso spagnolo, più basso che medio. Sono stati un’invenzione sinistra quel trattino e quell’ammucchiata «ceto medio-basso», e una falsità.
Eravamo ceto basso, ma il fatto è che mio padre andava sempre in giro molto elegante. Sapeva essere all’altezza delle cose. Però era povero. Soltanto che non lo sembrava. Non lo sembrava e in questo era un fuggitivo dal sistema socioeconomico della Spagna degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Non ti potevano mettere in carcere per questo, perché avevi uno stile anche se eri povero. Non ti potevano mettere in carcere perché eludevi la visibilità della povertà essendo povero.
Mio padre era un artista. Aveva stile.
Prima di essere cremato, il cadavere di mio padre venne esposto nella camera ardente per alcune ore. Veniva gente a vederlo. Quando l’agenzia funebre monta il piccolo spettacolo dell’esibizione della morte, nasconde tutto a eccezione di un volto truccato. Non vedi le mani né i piedi né le spalle del cadavere. Chiudono le labbra con la colla. Mi chiesi se fosse una colla industriale quella che utilizzavano per sigillare le labbra. Immagina se la colla cede e all’improvviso si apre la bocca del cadavere. Venne un uomo che non conoscevo. Non era amico di mio padre, al massimo un conoscente. Il tizio si rese conto che la sua presenza era ingiustificata. Si avvicinò e mi disse: «È che avevamo la stessa età, sono venuto a vedere come sarà la mia salma». Parlava sul serio. Guardò di nuovo e se ne andò.
Poi seppi che quel tizio era morto due mesi dopo mio padre. Mi ricordo la sua espressione, perfino il tono di voce. Mi ricordo come guardava il viso morto di mio padre attraverso la vetrina dove si trovava la bara, tentando, con uno sforzo d’immaginazione, di sostituire il viso di mio padre con il suo, per scoprire quale sarebbe stato il suo aspetto da morto.
Anch’io rimasi a guardare mio padre morto. Se ne stava andando dal mondo il sorvegliante, il custode, il comandante in capo della mia infanzia. Stavo contemplando la disintegrazione dell’umanità. L’irruzione del cadavere. La nascita dell’inconsistenza. La follia. La grandezza. Il cadavere in tutto il suo mistero.