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Presto sarà Natale. Ai tempi della mia infanzia, a mio padre piacevano da matti le feste di Natale. Mio padre comprava l’albero e il torrone e tanti biglietti della lotteria. Comprava un albero vero, li vendeva un taglialegna sulla piazza del mercato di Barbastro, ce n’erano di diverse misure. Comprava un abete che arrivava al soffitto. Era un autentico fan delle feste di Natale. La mattina del 22 dicembre verificava se i numeri dei biglietti che aveva erano stati estratti. Dalle dieci del mattino, ogni 22 dicembre mio padre accendeva il televisore e annotava i numeri premiati, «cantati» dai bambini dell’orfanotrofio di San Ildefonso, con la sua calligrafia inclinata ed elegante.

Non vinse mai nulla, tranne qualche rimborso. Ma io ero felice nel vederlo annotare i numeri su un quaderno, quei numeri disegnati con tanta attenzione. Scolpiva un 5 pieno di virtuosismi, dove il trattino superiore si trasformava in un berretto inclinato verso il cielo. Anche i 4 e i 7 gli venivano barocchi e ricercati. Mi piaceva vedere mio padre tanto concentrato, tanto festoso. E poi fischiava perché lo aspettava un buon pranzo. Credo che fosse profondamente felice. Si sentiva fortunato, allegro, pieno di propositi.

La calligrafia di tuo padre è sempre importante. Non importa nessun’altra calligrafia al mondo. Firmo quasi uguale a mio padre. Perfino la mia firma è sua. L’ho visto firmare tante volte, e firmava con lettere alte e piene di nuvole, ricamava il suo nome con tratti arrotondati e l’insieme era il disegno dell’identità di un angelo.

Perché firmava così se non era ricco?

Sembrava la firma di un grande di Spagna. Sembrava la firma di un duca, di un marchese.

Era una firma gotica, barocca. La mia è molto simile, ma ha meno ornamenti, è più austera, più povera.

M’innamorai della firma di mio padre. Era uno spettacolo l’amore per il suo stesso nome. Si vedeva pieno di sfarzo, di corone, di orgoglio. L’orgoglio di mio padre era cosmico.