Lara si presentò davanti a casa di Antonio nel primo pomeriggio. La porta era socchiusa, come sempre, ma lei preferì bussare e attendere. Marco si era addormentato da poco, spossato, dopo aver mangiato solo un po’ di frutta e averle raccontato tutto ciò che era accaduto al mattino. Sentì i passi di Antonio che si avvicinava, poi la porta si aprì e i due si guardarono per un attimo, in silenzio.
«Posso?» disse, infine, Lara.
Antonio la fece entrare, dopo una piccola esitazione. Lara avanzò verso di lui e sentì il profumo della salsedine, osservò la sua maglietta maltrattata, macchiata di aloni candidi come bordi di nuvola sul blu intenso del tessuto, i capelli arruffati, secchi, e si rese conto che Antonio non si era lavato, né cambiato: aveva lasciato che il mare gli si asciugasse addosso, che imprimesse le sue impronte sulla pelle e sugli indumenti leggeri, e se ne domandò il perché.
«Come sta Marco?» le chiese lui, con aria stanca.
«Dorme...» rispose Lara. «Si sente a pezzi.»
«È tutta colpa mia», ammise Antonio. «Mi ero distratto con la rete... non ho sentito il vento che diventava storto... e ho messo a rischio anche la sua vita. Mi dispiace...»
Mi dispiace...
Lara si impadronì di quelle due parole, le imprigionò tra le ciglia che si chiusero nel tempo di un solo battito e sentì la voglia di ripeterle ad alta voce, di urlare mille volte «mi dispiace» per tutto ciò che era accaduto, per quella sera maledetta, per il dolore che aveva impregnato tutto il dopo e che aveva invaso le loro vite, inchiodandole, nello stesso tempo, al passato, a quel momento, a quell’ultima volta in cui le stelle avevano brillato sul soffitto.
«Comunque... è stato bravo...» ammise Antonio, in un sussurro.
Lara colse l’emozione che si era accesa negli occhi dell’uomo, mentre lodava il ragazzo: sembrava un lampo d’orgoglio pudico misto a gratitudine.
«Non si riesce a perdonare perché non ha avuto il coraggio di tuffarsi...» gli disse. «Ha detto che si sente un vigliacco...»
«Intanto mi ha tirato su. E mi ha salvato», replicò Antonio, come se parlasse a sé stesso.
«Secondo me non è questo il problema... È che pensa che se non è riuscito a tuffarsi stavolta, non ci riuscirà più. Lui non lo ammette e non lo ammetterà mai, ma ci tiene ancora a diventare un tuffatore, forse ci tiene pure più di prima... Che ne so... forse la vede come una forma di riscatto, in un certo senso... un modo per farsi notare, per sentirsi importante...»
Antonio annuì, assorto.
«Comunque mi sembra che il braccio e la mano siano in via di recupero... ha fatto dei grandi progressi, se è riuscito a remare da solo e a tirarti sulla barca col remo... e... e ti volevo ringraziare per quello che stai facendo», aggiunse Lara.
Poi frugò nelle tasche dei jeans, un po’ imbarazzata.
«Anzi...» disse, estraendo alcune banconote, «io ti devo dare il compenso per questi giorni che non hai lavorato al porto e...»
«Non li voglio i tuoi soldi», la interruppe Antonio con decisione.
Lei lo guardò, sorpresa e ferita.
«Ma noi avevamo deciso che...» tentò di ribattere.
Antonio le fece cenno di tacere con un gesto della mano.
«Avevamo un patto», ribadì Lara.
«Lo sto facendo perché lo voglio fare. Non per i soldi. Anzi, digli che domani lo aspetto alle sei», aggiunse. «Non si illuda che abbiamo finito solo perché muove meglio il braccio e la mano.»
Lara lo guardò, sorpresa. Poi si ritrovò ad abbracciarlo di slancio, senza rendersene conto, spinta da una forza che non poteva controllare, dalla gratitudine, dalla paura che aveva provato nel saperlo in pericolo tra le onde, dal sollievo di saperlo vivo, dagli anni passati ad amarlo in silenzio. Lo abbracciò e lui rimase immobile dentro quella stretta improvvisa, ghiaccio che incontra il fuoco e non si scioglie ma sente il rischio di tornare acqua e poi vapore.
«Scusami...» sussurrò Lara mentre si distaccava da lui. Poi si voltò verso la porta e fuggì via, con la salsedine che gli aveva rubato attaccata alla sua pelle.
Marco si svegliò nel pomeriggio inoltrato. Masticò tra le labbra un senso di amarezza, mentre riapriva gli occhi nella sua stanza. Non gli bastava aver salvato Antonio, non lo rinfrancava la forza che stava ritrovando nel braccio e nella mano. Continuava ad avere impresso nella mente il momento in cui avrebbe dovuto tuffarsi e la paura che l’aveva bloccato, quella morsa che stritolava lo stomaco, il senso di paralisi non solo del corpo, ma soprattutto della volontà. Tornò indietro col pensiero alla piscina, ai trampolini, alla felicità spudorata che provava durante i tuffi e il tutto gli sembrò appartenere a una vita precedente che gli sarebbe mancata per sempre. Poi, il pensiero corse a Virginia: non si era fatta più sentire dall’ultima visita a Sarcola, come se anche lei si fosse defilata per sempre insieme al coraggio di staccare i piedi da una superficie solida e librarsi nel vuoto. Ora, forse, anche la parentesi di Sarcola si era chiusa. Pensò, infatti, che dopo la brutta avventura e il rischio di annegare, anche Antonio sarebbe scivolato via dalle sue giornate. Presto, sarebbe tornato in città, magari con il fisico guarito, ma con il morale definitivamente in frantumi. Avrebbe cercato un altro lavoro, perché preferiva non vedere ogni giorno Virginia in quella piscina e desiderarla sapendo che stava per sposarsi, si sarebbe adeguato a una vita che non avrebbe mai scelto, crescendo e invecchiando senza lasciare traccia. Sentì la presenta di Cirmolo, che gli dormiva accanto. Lo accarezzò, malinconico, mentre dalla cucina provenivano le voci di Lara e di Giuseppe. Si alzò dal letto e li raggiunse, in silenzio. Giuseppe gli andò incontro e lo abbracciò, premuroso, chiedendogli come si sentisse.
«Di merda... come mi dovrei sentire?» rispose Marco. «A questo punto è meglio se vado via e torno a casa... Tanto, il braccio va meglio e la paura di tuffarmi non mi passa comunque...»
«Il braccio va meglio, certo. E pure la mano», intervenne Lara. «Ma dovresti remare ancora un po’...»
«Eh... e come facciamo? Prendiamo la barca io e te?» replicò Marco, polemico.
«Intanto Antonio ha detto che domani si ricomincia...» gli annunciò Lara, con un sorriso.
E allora, Marco sentì un tepore salire all’interno del petto. Un senso di speranza improvviso, come da tempo non gli accadeva.
L’indomani, Marco e Antonio si avviarono lungo la discesa alle sei in punto del mattino, immersi in un silenzio reciproco che ormai non dipendeva più dall’imbarazzo dei primi tempi. Conteneva, bensì, uno strano pudore: era come se entrambi attendessero il momento giusto per parlare e rompere, finalmente, una tacita tregua, un lungo riprendere fiato dopo aver affrontato insieme il pericolo di annegare. La strada era scivolosa a causa dell’umidità che aveva prodotto una leggera nebbiolina, così che i loro passi sembravano affondare in uno strato di acqua e anice, mentre il cielo, a contrasto, si tingeva lentamente di un azzurro metallico, come una lastra compatta sopra le loro teste. Quando il percorso diventò più ripido, Marco sentì il bisogno di sostenersi e poggiò una mano sulla spalla di Antonio, un gesto istintivo, dettato da una naturalezza che sorprese entrambi. Era come se rischiare la vita insieme li avesse uniti, una sorta di «sindrome da frontiera», quel legame che cementa tra di loro i soldati sopravvissuti alla guerra e alle pallottole e sgretola i muri della diffidenza.
Antonio sentì il tocco leggero della mano sulla sua spalla e si voltò a guardare Marco, che ricambiò lo sguardo.
«Non ti ho ancora ringraziato...» disse, allora.
Marco emise un lieve sospiro, scuotendo la testa.
«Lo so cosa pensi, me l’ha detto Lara...» aggiunse Antonio. «Sei incazzato con te stesso perché non hai avuto il coraggio di tuffarti.»
Marco annuì in silenzio.
«Però la cosa più importante è che non ti sei arreso. E hai trovato un’altra soluzione. Forse non lo sai, ma anche quello è coraggio...» incalzò Antonio.
«Ecco... allora vuole dire che volevo fare i tuffi, ma mi darò al canottaggio...» sussurrò Marco, ironico a amaro.
«Non è detto che non sia una soluzione. A volte uno cerca una cosa e poi si accorge che voleva altro...» rispose Antonio, esponendo un sottile sorriso che sorprese Marco.
«A te è mai successo?» chiese il ragazzo.
«Qualche volta...» rispose Antonio.
«Per esempio?»
Antonio non rispose, indicò a Marco la strada che conduceva al porto commerciale.
«Di qua...» disse, invece.
Marco lo guardò, sorpreso.
«Non andiamo alla darsena?»
«Abbiamo altro da fare. Seguimi...»
Marco lo seguì, senza fare altre domande.
Il vecchio peschereccio rosso e blu, tirato a secco, era poggiato su possenti palanche di ferro. La vernice del fasciame si era scolorita, in alcuni punti si era gonfiata in bolle irregolari che poi erano scoppiate al sole. Antonio passò una mano sul legno rinsecchito e ruvido che una volta delineava la linea di galleggiamento, poi si voltò verso Marco.
«Te la senti di aiutarmi a rimetterla in sesto?»
Il ragazzo lo guardò, sorpreso.
«Dici davvero?»
«Te la senti o no?» replicò Antonio, annuendo.
«Certo che me la sento... se mi dici come si fa», rispose Marco.
«Sarà un lavoro duro...» aggiunse Antonio. «Ci vorrà tempo, giornate intere, dalla mattina alla sera...»
Marco si avvicinò al peschereccio e lo osservò come se volesse studiarlo. Ai suoi occhi appariva imponente come la carcassa di un animale preistorico. Tese una mano ed esitò, prima di sfiorare il fianco largo e rotondo dell’imbarcazione.
«E come mai ti sei deciso a rimettere in sesto la barca?» chiese Marco, affascinato dalla linea della chiglia corrosa dal sale e dal tempo.
Antonio esitò.
Ripercorse a ritroso il sentiero di emozioni che l’aveva condotto fino a quel momento: la richiesta che gli aveva fatto Lara e la sua ritrosia nell’aiutare Marco; i primi giorni sul Rostro, a guardare il mare e a sforzarsi di non sentire il suo richiamo che lo inseguiva fino a casa, la sera, e si infilava nel letto, sotto le lenzuola, a tormentarlo. La lotta violenta contro i battiti del cuore che acceleravano mentre saliva sulla piccola barca, il piacere sensuale dell’acqua solcata lentamente e quel dolore dolciastro della fatica nelle braccia dopo ogni colpo di remo. Il profumo della salsedine e la voce familiare dello sciabordio sotto ai suoi piedi nudi, poggiati sul legno del pagliolo. La presenza di Marco al suo fianco che, giorno dopo giorno, era diventata abitudine, per poi trasformarsi in affetto. Ma, soprattutto, la strana frenesia che l’assaliva, al mattino, mentre attendeva al centro del cortile che la porta di casa di Lara si aprisse per dare inizio a una nuova giornata. Aveva combattuto a lungo, nei giorni precedenti, contro quella frenesia che non aveva un nome, l’aveva rintuzzata, maledetta, picchiata a pugni contro le pareti, l’aveva rinnegata, violentata sotto il peso del dolore a cui aveva affidato il resto della sua vita e che non voleva, a nessun costo, tradire. Poi si era lasciato blandire, da quella frenesia, senza volerlo, senza rendersene conto. Si era lasciato trasportare dentro le maglie della piccola rete da pesca che lui stesso era andato a strappare dalla polvere del vecchio gabbiotto. Si era fatto distrarre, da quella frenesia che non aveva un nome. E mentre cercava il posto più adatto a calare la rete, non era riuscito a decifrare i segnali del vento, né a scorgere i primi mulinelli che annunciavano l’arrivo della mareggiata. Si era lasciato cogliere di sorpresa proprio da quel mare che credeva di conoscere più di ogni altra cosa, fino a volare giù, nelle sue viscere, per ritrovare gli occhi di Milena.
E quello sguardo, che lo fissava e lo invitava a risalire a galla, gli aveva rivelato che quella frenesia, invece, aveva un nome: era la voglia di vivere, che aveva finalmente ritrovato.
Antonio riaprì gli occhi, si voltò a guardare Marco e gli sorrise.
«Ti dovrei prendere a schiaffi», disse.
Marco fu sorpreso da quella frase.
«Perché?» gli chiese.
«Perché a forza di insistere, mi hai fatto tornare la voglia di pescare...» gli rispose, semplicemente.
Impiegarono i primi due giorni a sverniciare il peschereccio. Le mani armate di raschietto e carta vetrata grattarono via gli strati di vernice secca, le bolle irregolari, le rugosità della salsedine miste alla muffa e al verde cupo del muschio. Era come se scrostassero, insieme alla vernice, rimanendo fianco a fianco, immersi nella stessa fatica e nello stesso sudore, strati di passato e di abbandono, di giornate immobili e fatte di nulla, per restituire alla barca un futuro tutto da scoprire, la prospettiva delle onde, la promessa del mare.
Nei giorni successivi controllarono la chiodatura punto per punto; si dedicarono alla calafatatura, inserendo cordoncini di cotone negli spazi tra le tavole di legno che si erano ritirate a causa del sole e dell’arsura; restituirono l’umido alla barca, passando e ripassando vecchie coperte inzuppate d’acqua di mare sui suoi fianchi e nel suo ventre, finché il legno non riprese il suo vigore, gonfiandosi di nuova vita, serrando gli spazi tra le assi. Infine, stanchi e soddisfatti, si armarono di pennelli e vernice per restituire al peschereccio il rosso e il blu dei primi tempi. Poi lo ammirarono come se lo vedessero già navigare.
Lara entrò in casa di Antonio proprio al mattino di quell’ultimo giorno. Si guardò intorno, poggiò sul pavimento la cassetta dei detersivi, un secchio e alcuni stracci, poi si rimboccò le maniche e le idee, prima di indossare i guanti da lavoro.
«Sei sicura di quello che fai?» le domandò Giuseppe che era rimasto sulla soglia, indeciso e timoroso.
«Lui non vuole essere pagato... e io lo pago a modo mio», rispose Lara, decisa. «Tanto anche oggi stanno fuori tutto il giorno e ho tutto il tempo.»
«E se lui non vuole che gli ripulisci la casa? E se poi s’incazza?» insistette Giuseppe. «Lo sai com’è fatto, quello là...»
Lara si voltò a guardarlo e s’intenerì nel vederlo, grosso come un gigante buono che non osava varcare la soglia di casa.
«Intanto comincio dalla cucina, che è ridotta proprio male... Poi si vedrà...» rispose Lara, cominciando ad aprire gli sportelli della credenza. «Ci sarà una scopa, in questa casa?»
«Eh, forse ci starà... ma la cucina sempre dentro casa sua sta, non è che è una cosa separata... Lo sai com’è fatto Antonio o te lo sei scordato?» puntualizzò Giuseppe.
«Sta rimettendo in sesto la barca...» replicò Lara, fiduciosa. «Proprio perché so com’è fatto, qualcosa mi dice che è il momento buono... sta riprendendo a vivere, non l’hai visto?»
«Ah, se è per questo, mo’ mi saluta pure, quando mi vede... È tutto dire», ribatté Giuseppe, con un filo d’ironia.
Lara sorrise. Sentiva, in cuor suo, di dover spingere sul pedale di quella nuova euforia che aveva avvolto le giornate di Antonio, di doverlo accompagnare verso un nuovo inizio, quasi a volerlo preparare alla rivelazione che Marco era suo figlio, perché sapeva che il momento, prima o poi, sarebbe arrivato. Che, a forza di stare insieme, i due avrebbero scoperto il legame che li univa, anche se, comunque, lei continuava a temere quel momento che tanto aveva sperato, costruito con ostinazione, mattone su mattone, come un muro da innalzare per far crollare un altro muro: quello che Antonio aveva eretto tra sé e la vita.
Si avvicinò alla finestra che affacciava sul cortile, tastò le tende con le mani.
«Pure le tende avrebbero bisogno di una sistemata... andrebbero cambiate...» disse.
«Vabbuo’, alle tende ci pensiamo dopo... Mo’ cerco una scopa, se no la vado a prendere a casa, così facciamo prima...» disse Giuseppe, sospirando.
Lara socchiuse gli occhi, commossa.
«Hai detto “facciamo prima”?» domandò, «ho capito bene? Mi stai dicendo che mi aiuti?»
«Eh... tanto nun teng’ nient’a fa’...» rispose Giuseppe, trovando, finalmente, il coraggio di entrare nella cucina.
Il tramonto sul porto li trovò sfiniti, ma soddisfatti. Il vecchio peschereccio luccicava nei colori ritrovati ed era pronto a salpare. L’indomani l’avrebbero trasportato in acqua, poi sarebbero andati al largo a calare le reti.
Si diressero verso casa, tra i piccoli gruppi di turisti che rientravano dal mare e sostavano al bar per un aperitivo. Sarcola sembrava risplendere nel rosso dei raggi dell’ultimo sole con i suoi balconi fioriti, l’epifania di colori dei negozi di frutta e verdura, le vetrine delle piccole boutique di abbigliamento, le tovaglie colorate delle poche trattorie all’aperto che si preparavano per accogliere i clienti all’ora di cena.
«Sei stanco?» chiese Antonio, d’un tratto.
Marco sospirò appena e scosse la testa.
«Va bene così...» rispose, «le giornate sono volate e mi hanno aiutato e non pensare.»
«A me invece sembra che stai sempre a rimuginare...» replicò Antonio.
«Senti chi parla...» ribatté Marco, divertito.
Antonio sorrise, intenerito.
«Siamo più simili di quanto immaginassi...» sussurrò poi, come se parlasse a sé stesso.
Marco ci pensò su per un attimo, poi lo guardò di sottecchi, mentre superavano la piazzetta.
«Forse è per questo che mi trovo bene con te...» disse, infine, «cioè, non ho bisogno di parlare per forza come mi succede con altre persone, che sembra quasi che stare zitti è una cosa imbarazzante...»
«Però non ti abituare a stare troppo zitto. Alla fine non fa bene, anzi...» disse Antonio.
E sentì che quella frase rinnegava i suoi ultimi diciotto anni di vita.
Arrivarono sotto casa.
«Alle sei?» chiese Marco.
«Alle sei. E portati qualcosa per coprirti, che farà freddo... il peschereccio non è la barca, che va piano piano...»
«Ricevuto... capo», rispose Marco, con un sorriso carico di affetto.
Si salutarono, come sempre, al centro del cortile, spiati da Lara che li osservava, al riparo delle tende della sua camera. Lei vide quel sorriso ricambiato, la luce nuova negli occhi di Antonio, e attese il momento in cui lui avrebbe varcato la soglia della cucina con trepidazione.
Sentì qualcosa di strano ancora prima di accendere la luce. Era un profumo intenso che sapeva di pulito. Chiuse gli occhi, sopraffatto dal ricordo. Era lo stesso profumo che lo avvolgeva tanti anni prima, quando rientrava in casa dopo la pesca, quando Milena si prendeva cura della sua vita e quella vita aveva un senso talmente forte e preciso da non fargli mai temere la stanchezza, il lavoro e l’ignoto che accompagna il futuro. Quando la lampadina al soffitto illuminò l’ambiente, vide il pavimento lucidato, i fiori freschi al centro del tavolo, le tende nuove, bianche e lilla. E allora capì che Lara era entrata in casa e provò un senso di rabbia pronta a esplodergli tra le tempie. Si sentì tradito, come se quella donna avesse profanato la sua vita, il suo dolore e la memoria di Milena che lui aveva deciso di onorare nell’abbandono delle cose e di sé stesso. Ebbe l’impulso di tirare via quel vaso di fiori e frantumarlo sul pavimento, di stracciare le tende e calpestarle, di uscire in fretta e andare a protestare, a urlarle in faccia la sua indignazione e poi di mandare al diavolo anche il ragazzo e quella voglia assurda di tornare a pescare. Piantò le dita sulla spalliera di una sedia e strinse forte, poggiando tutto il peso del suo corpo, come se volesse sprofondare dentro quel lucido delle mattonelle antiche. Poi chiuse gli occhi e sentì di nuovo quel profumo. Lo assaporò all’interno di un respiro profondo e lento e si domandò, sorpreso, come potesse, tutto d’un tratto, sentire tanta dolcezza all’interno del suo sfinimento. Cosa stava cambiando dentro di lui? Cosa stava accadendo, ancora, senza che lui se ne rendesse conto? Alleggerì la presa delle mani sulla spalliera della sedia e lasciò che il suo collo ruotasse lentamente, scricchiolando appena. Poi, sentì i muscoli della schiena rilassarsi e un calore che sapeva di tregua percorrergli il corpo. Si lasciò scivolare sul pavimento fino a distendersi, il viso rivolto verso l’alto. Poi allargò le braccia, carezzando con le nocche delle mani il lindore ritrovato del pavimento. Il respiro tornò regolare e tutto sembrò adagiarsi in una quiete che non riusciva a provare da troppo tempo. Pensò a Milena, alla sua voce, alle parole che gli aveva regalato nel corso degli anni, alle mani, ai lineamenti perfetti, alla pelle che si tendeva sui fianchi morbidi, al sapore dei baci, alla risata improvvisa, a tutti gli sguardi d’amore che l’avevano sorpreso ogni volta che si risvegliava al mattino, alle ciliege assaporate, d’estate, da bocca a bocca, alle ciglia lunghe come i romanzi letti insieme, d’inverno, mentre fuori pioveva. Infine pensò ai suoi occhi ritrovati sul fondo del mare. E, quasi senza rendersene conto, si lasciò andare a un sorriso. Perché c’è sempre un momento, per ogni vita, in cui anche il dolore più profondo scioglie il suo nodo e finalmente accetta di tramutarsi in nostalgia.