«La chiave di questo libro sta in un documento. Non si tratta della solita invenzione letteraria, il “manoscritto dell’anonimo” cui si sono in tempi diversi riferiti Chrétien de Troyes, Alessandro Manzoni e Umberto Eco. No. Qui il documento è autentico, e conservato nell’Archivio di Stato di Firenze. Parla d’un viaggio alla fine dell’XI secolo – la prima crociata? – compiuto verso la Terrasanta dal conte Guido, antenato di quella gran dinastia dei Guidi di Casentino che avrebbe offerto, due secoli dopo, generosa ospitalità a Dante. Conosciamo anche il nome d’un accompagnatore del conte alla crociata: Rimondino di Donnuccio. Solo un nome, nient’altro. Li abbiamo accompagnati lungo l’Arno limaccioso d’un autunno del 1096 fino a Roma e a Costantinopoli, all’Anatolia e all’Armenia, fino alla Siria, al Libano, alle coste della Palestina, fino a Gerusalemme. Il conte, il suo oscuro accompagnatore e un gruppo eterogeneo di chierici, scudieri, giullari, pellegrini: abbiamo inserito loro, le loro vicende, i loro sentimenti, nel contesto della prima crociata. Tre anni di viaggi, di battaglie, sofferenze, massacri, violenze, avventure: tre anni d’infamie, di fede, d’amore. Abbiamo raccontato la crociata: non abbiamo voluto né assolverla né smitizzarla. Forse, semmai, disincantarla. Come si usa fare quando si racconta la storia, che nel disincanto trova proprio il suo fascino più forte e più profondo. Attraverso il sangue e il sudore fino al profumo d’incenso e di grano: l’odore biblico ed eterno di Gerusalemme. Forse questo non è un romanzo storico. Però è un romanzo fedele alla storia. Che non ne dissimula gli orrori, non fa né retorica né apologia. Ma tratta – questo sì – tutto con molta pietas. Perché dei demoni e delle meraviglie che popolano le vicende dell’umanità, la più infame e la più preziosa resta sempre lui: l’uomo.»