Introduzione

«Il mio Memorie del Terzo Reich non è mai stato in cima alla classifica newyorchese dei libri più venduti» mi ha detto Albert Speer. «Al primo posto si era insediato, e ci è rimasto per lungo tempo, Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere)».

Ancora oggi mi chiedo se Speer stesse scherzando. L’ex ministro degli armamenti di Hitler aveva un senso dell’umorismo tagliente, che sfoderava soprattutto quando parlava degli uomini con cui aveva condiviso la prigione di Spandau; si riferiva sempre al Feldmaresciallo Milch col nomignolo di «Milk» (latte). E, quando si incontrano, gli scrittori spesso parlano di vendite.

Ma non è stato Albert Speer a ispirare SS-GB. Tutto è cominciato durante una serata di bevute con Ray Hawkey, lo scrittore e designer, e Tony Colwell, il mio redattore alla Jonathan Cape. «Impossibile immaginare cosa sarebbe successo se avessimo perso la battaglia d’Inghilterra» ha sentenziato Tony sospirando, mentre sceglievamo la foto per la copertina del mio La battaglia d’Inghilterra.

«Io non sarei così categorico» ho risposto. «Molti dei piani di occupazione tedesca sono stati resi pubblici».

Avevo letto parte di quei documenti e, dopo la nostra conversazione, mi sono messo a cercare le pubblicazioni ufficiali tedesche e ho cominciato a chiedermi se l’ipotesi dell’Inghilterra sotto il dominio tedesco avrebbe potuto trasformarsi in una storia. Se avrebbe potuto diventare uno di quei romanzi sull’«universo parallelo», come si diceva all’epoca: un genere in cui non mi ero mai avventurato. D’altro canto, le ricerche condotte per La battaglia d’Inghilterra, Funerale a Berlino e, in particolare, L’incursione, mi avevano portato in contatto con molti tedeschi, quasi tutti ex combattenti.

Lavoro molto lentamente; non do inizio a una storia se non sono sicuro di potermi procurare il materiale per svilupparla e di poterci convivere per mesi, se non anni. I problemi relativi alla trama parevano insormontabili. Il mio eroe doveva far parte dell’esercito di occupazione tedesco? L’idea di un eroe nazista non mi piaceva. Se avessi affidato la storia allo sguardo di un civile britannico, come avrebbe fatto questo protagonista a gestire le informazioni necessarie per far funzionare la trama? Un membro importante della Resistenza sarebbe stato l’eroe perfetto, ma era il genere di eroe che moriva o si dava alla macchia.

Questa storia andava raccontata dal centro del potere. La posizione della polizia, punto di raccordo tra vincitori e vinti, non mi attraeva affatto. Ho continuato a rimuginare sulla questione, fino a quando ho pensato a un investigatore di Scotland Yard. Solo un uomo che risolvesse i delitti e desse la caccia ai veri criminali poteva essere in contatto con i vertici ed essere al contempo un personaggio centrale convincente. Avrei inserito la storia nella cornice del romanzo giallo convenzionale, con un cadavere all’inizio e la soluzione del caso alla fine.

Mi piacciono i grafici e i diagrammi intricati. Fungono da guida e da promemoria, intanto che si scrive un libro. Sfruttando i dati sui tedeschi, ho creato una linea gerarchica che evidenziava i collegamenti tra civili e governo fantoccio, borsaneristi e collaborazionisti, potenza occupante, forze di sicurezza ed elementi dell’esercito e delle Waffen-SS in feroce competizione. Il mio caro amico e collega scrittore Ted Allbeury aveva trascorso l’immediato dopoguerra nella Germania occupata, in qualità di quello che i residenti chiamavano «capo della Gestapo britannica». L’esperienza di Ted è stata preziosa, e io vi ho attinto a piene mani.

Per l’ambientazione londinese, ho usato solo luoghi che mi erano familiari durante la guerra: in tal senso, la storia ospita un elemento autobiografico. Ricordavo la Londra del periodo bellico: le strade male illuminate, i lampioni a gas che sibilavano e sfrigolavano, le vasche da bagno di latta davanti al fuoco, il razionamento che metteva il cibo al centro dei pensieri e delle conversazioni, e le case bombardate che esponevano agli occhi di tutti il loro contenuto privato.

Il teatro della mia storia doveva essere l’edificio di Scotland Yard, ma la polizia non lo usava più. Ormai ospitava gli uffici dei membri del parlamento ed era strettamente sorvegliato. I rappresentanti della polizia metropolitana si sono mostrati estremamente disponibili nel permettermi di entrare nel nuovo edificio e di usare la loro affascinante biblioteca e gli archivi senza pormi limitazioni. Ho trascorso giornate intere immerso nei delitti compiuti in tempo di guerra e nell’osservazione delle foto che ritraevano gli investigatori di Scotland Yard nei completi eleganti, all’epoca obbligatori. Ma l’ostacolo rimaneva: la polizia non aveva alcuna autorità sull’edificio che aveva abbandonato.

Per un meraviglioso colpo di fortuna, ho trovato un anziano ex agente che conosceva l’edificio dalla cantina alla soffitta. Ho raccolto le sue descrizioni per ore, ma l’accesso mi era ancora interdetto. Poi, il mio amico Freddy Warren ha escogitato il modo di farmi esplorare ogni angolino e anfratto della sede storica di Scotland Yard. In qualità di addetto al protocollo, Freddy assegnava gli uffici ai politici. Mi ha portato a fare un giro turistico. Con lui, sono andato ovunque: ho aperto porte, interrotto conferenze, svegliato i dormienti e declinato offerte di bevande varie. Nessuno si arrischiava a infastidire Freddy. Resto in debito con lui e spero che questa mia testimonianza sulla ex sede di Scotland Yard basti a compensarlo per l’onere che si è assunto a mio beneficio.

Quando comincio a scrivere il corpo centrale di un testo, trovo salutare accantonare telefoni, amici e obblighi sociali. Con mia moglie Ysabele e due figli piccoli, mi sono infilato in una vecchia Volvo con il bagagliaio traboccante di documenti. Destinazione, Toscana. Il mio amico Al Alvarez, scrittore e giornalista televisivo, ci ha prestato la sua splendida casa sul crinale di una montagna dalle parti di Barga. Era inverno e, a dispetto delle foto sulle brochure, l’inverno in Italia del nord è freddo e umido. Ho cercato in lungo e in largo una macchina da scrivere elettrica, senza risultati. Ho trovato solo una minuscola, leggerissima Olivetti Lettera 22 portatile. Sì, lo so che la Lettera 22 è un’icona degli anni ’50 del secolo scorso e che troneggia nei musei di design, ma, dopo i tasti duttili di una macchina elettrica, pestare sulla tastiera meccanica è stata dura. Le dita mi si gonfiavano come salsiccia toscana. L’Italia rurale, però, ha compiuto la magia. Siamo stati adottati dagli anziani vicini della «porta accanto». La signora Ida e suo marito, Silvio, hanno circondato i nostri figli d’amore, hanno fatto la pizza nel loro forno all’aperto, ci hanno rivelato il segreto della preparazione dei ravioli e il segreto della felicità che l’esile guadagno ricavato da qualche ulivo può dare. Non dimenticheremo mai quelle due persone meravigliose. Hanno reso il periodo in Toscana, durante la stesura di SS-GB, uno dei più felici della mia felicissima vita.

LEN DEIGHTON

2009