Capitolo quattro
La birra pareva farsi più leggera ogni giorno che passava, e chiunque si fosse bevuto la storiella dei campi di luppolo distrutti durante i combattimenti non aveva mai assaggiato le marche di esportazione vendute nelle mense dei soldati tedeschi. A dispetto delle restrizioni, Douglas ordinò una seconda pinta e affogò di senape l’insipido panino al formaggio prima di addentarlo. Al Red Lion di Derby Gate c’erano diversi altri agenti della squadra omicidi. Erano stati risolti più reati in quel pub che negli uffici, nei laboratori di anatomia patologica e negli archivi di Scotland Yard. Almeno stando a quanto si lasciavano sfuggire alcuni frequentatori abituali dopo un paio di bicchieri.
Entrò uno strillone con l’Evening Standard. Douglas ne comprò una copia e scorse le ultimissime sul fondo.
UOMO TROVATO MORTO IN APPARTAMENTO DI LUSSO DEL WEST END
In data odierna, gli ispettori di Scotland Yard sono accorsi a Shepherd Market, Mayfair, dove il cadavere di un uomo è stato scoperto dal vicino che gli portava una pinta di latte come ogni mattina. La polizia non ha ancora rivelato l’identità dell’uomo. Si tratterebbe di un antiquario, eminente esperto di collane. A Scotland Yard si ipotizza l’omicidio. A seguire l’indagine è «Archer dello Yard», che l’estate scorsa ha risolto i macabri «Delitti del maniaco sessuale».
Douglas intravide lo zampino di Harry in quella storia; sapeva quanto lui detestasse essere chiamato «Archer dello Yard» e Douglas immaginò che avesse rilasciato una dichiarazione al telefono, lasciandosi sfuggire che il morto fosse un «esperto di sottane», prima di ritrattare.
Quando uscì dal Red Lion stava piovendo. Sul punto di attraversare, scorse Sylvia, la sua segretaria. Era evidente che cercava proprio lui. Douglas fece passare un paio di autobus, poi attraversò in fretta. Aspettò ancora che passassero due auto di servizio che esibivano i gagliardetti dell’alto comando. Sobbalzarono sui solchi lasciati dai bombardamenti e lo spruzzarono d’acqua. Douglas imprecò, riuscendo solo a intensificare la pioggia.
«Caro» esordì Syvlia. Non mise molta passione nell’appellativo, ma, del resto, con lei non ce n’era mai stata.
Douglas la abbracciò e lei sollevò il viso per farsi baciare. «Sono stato in pena tutta la mattina. Nella lettera dicevi che stavi per partire».
«Scusami, tesoro. Mi detesto per averti mandato quella maledetta lettera. Dimmi che mi perdoni».
«Sei incinta?».
«Non ne ho la certezza».
«Accidenti, Sylvia... mi mandi una lettera che dice...».
«Non alzare la voce in strada, tesoro». Gli posò la mano sulla bocca. Era molto fredda. «Avrei fatto meglio a non venire?».
«Dopo tre giorni sono stato costretto a segnalare la tua assenza. L’addetta al tè ha chiesto dove fossi. Impossibile coprirti ancora».
«Non volevo certo metterti in pericolo, tesoro».
«Ho telefonato a tua zia a Streatham, ma mi ha detto che non ti vede da mesi».
«Sì, devo andare a trovarla».
«Mi vuoi ascoltare, Sylvia?».
«Lasciami il braccio, mi fai male. Sto ascoltando».
«Non con attenzione».
«Ti ascolto come sempre».
«Hai ancora il lasciapassare della SIPO».
«Quale lasciapassare?».
«Quello di Scotland Yard. Hai bevuto, per caso?».
«Certo che no. Quindi? Pensi che vada a Petticoat Lane a vendere quel cavolo di lasciapassare al miglior offerente? Chi vuoi che metta piede in quel posto orribile, a meno che non sia pagato per farlo?».
«Camminiamo. Non sai che Whitehall viene regolarmente pattugliata dalla Gendarmerie?».
«Di cosa parli?». Sorrise. «Baciami come si deve. Non sei felice di vedermi?».
Lui le diede un bacio frettoloso. «Ma certo. Andiamo verso Trafalgar Square, d’accordo?».
«Va bene».
Percorsero Whitehall, oltrepassando le sentinelle armate all’esterno degli uffici appena occupati. Quasi all’altezza del Whitehall Theatre, videro dei soldati allestire un posto di blocco. Parcheggiati lungo la carreggiata c’erano tre camion Bedford, appena ridipinti con il simbolo del quartier generale del Gruppo d’armata tedesco L (Distretto di Londra): un grezzo Tower Bridge che sormontava una L in stile gotico. I soldati erano in assetto da battaglia, con le pistole mitragliatrici a tracolla. Disposero velocemente la barriera chiodata, progettata per forare pneumatici, in modo da ridurre il traffico nelle due direzioni a una sola corsia. La camionetta del posto di blocco era parcheggiata ai piedi della statua di Carlo I. I tedeschi imparavano in fretta, pensò Douglas, perché quello era proprio uno dei punti da cui la polizia metropolitana gestiva il traffico del centro di Londra. Un altro gruppo di soldati stava allestendo una barriera alle loro spalle.
Sylvia non parve preoccuparsi, disse soltanto che avrebbero fatto prima se avessero svoltato su Whitehall Place e poi si fossero diretti verso l’Embankment.
«No» rispose Douglas. «Per prima cosa, chiudono le vie laterali!».
«Mostrerò il mio lasciapassare» disse lei.
«Sei completamente impazzita? L’edificio di Scotland Yard ospita l’SD, la Gestapo e tutti gli altri. Forse per te non conta, ma per i tedeschi quel lasciapassare è praticamente il pezzo di carta più prezioso che si possa elargire a uno straniero. Ti sei assentata senza inviare un certificato medico, e ti sei tenuta il lasciapassare. Se avessi letto il regolamento tedesco che hai sottoscritto, sapresti che è un atto paragonabile a un furto, Sylvia. Ormai, il tuo nome e numero di lasciapassare saranno sull’elenco dei ricercati dalla Gestapo. Ogni singola pattuglia da Land’s End a John o’Groats ti starà dando la caccia».
«Cosa dovrei fare?». Persino a quel punto la sua voce restava relativamente tranquilla.
«Non ti agitare. Ci sono uomini in borghese che registrano i comportamenti sospetti».
Stavano fermando tutto e tutti; auto di servizio, autobus a due piani; persino un’ambulanza, intanto che il comandante del posto di blocco esaminava i documenti del conducente e del malato. I soldati ignoravano la pioggia che lucidava gli elmetti e scuriva i giubbotti, mentre i civili si assiepavano all’ingresso del Whitehall Theatre in cerca di riparo. In cartellone c’era una rivista, Da Vienna a Londra, in cui delle ragazze discinte si esibivano nascondendosi dietro a dei violini bianchi.
Douglas afferrò il braccio di Sylvia e, prima che lei potesse protestare, estrasse un paio di manette che le agganciò ai polsi con tale violenza da farle male. «Che diavolo stai facendo?» gridò lei, ma Douglas la stava già trascinando oltre le persone in fila. Si levò qualche borbottio di protesta, mentre lui si faceva largo a gomitate. «Comandante di pattuglia!» gridò, imperioso. «Comandante di pattuglia!».
«Cosa vuole?» chiese un giovane Feldwebel, un sergente brufoloso con il pettorale di metallo che contraddistingueva la polizia militare in servizio. Non era in assetto da battaglia e Douglas ne dedusse che fosse un caposezione. Sventolò il lasciapassare della SIPO e parlò rapidamente in tedesco. «Sono un poliziotto! Devo sottoporre questa ragazza a interrogatorio. Ecco il mio lasciapassare».
«E i documenti della ragazza?» chiese il giovane, impassibile.
«Dice di averli persi».
L’altro non reagì, se non per prendere il lasciapassare di Douglas ed esaminarlo con attenzione prima di spostare lo sguardo dalla foto alla faccia.
«Si sbrighi» lo incalzò Douglas, facendo suo il principio secondo cui nessun poliziotto militare sia in grado di distinguere tra la cortesia e il senso di colpa. «Non ho mica tutto il giorno».
«Mi hai rotto il cazzo di polso» disse Sylvia. «Guarda qua, brutto bastardo». Il Feldwebel scoccò un’occhiata prima a lui, poi alla ragazza. «Il prossimo!» gridò.
«Muoviti» disse Douglas, e oltrepassò la barriera a precipizio, trascinandosi dietro Sylvia. Si fecero strada nel traffico in attesa di controllo. Erano entrambi fradici ed evitarono di parlare, mentre un pullman di lusso oltrepassava Admiralty Arch e si immetteva su Trafalgar Square. I finestrini erano gremiti di facce di giovani soldati. Dall’interno si percepiva la voce amplificata della guida turistica che si esprimeva in un tedesco scolastico. I giovani sorridevano della sua pronuncia. Un ragazzo fece un cenno di saluto a Sylvia.
Qualche piccione bagnato si scostò starnazzando mentre attraversava la piazza flagellata dalla pioggia. «Ti rendi conto di quel che hai appena detto?» chiese Sylvia. Si stava ancora massaggiando i polsi, nel punto in cui si era escoriata la pelle.
Tipico delle donne, pensò Douglas, dare inizio a una conversazione insidiosa su un argomento già dimenticato.
«Uno dei pezzi di carta più importanti che i tedeschi producono per gli stranieri; questo, hai detto».
«Piantala, Sylvia» rispose lui. Si guardò alle spalle per controllare che fossero a distanza di sicurezza dalla pattuglia, poi le tolse le manette, liberandole il braccio.
«È questo che siamo, secondo te: stranieri! I tedeschi hanno il diritto di trovarsi qui e noi siamo gli intrusi del cazzo che devono servire e riverire».
«Piantala, Sylvia» ripeté Douglas. Detestava sentire una donna imprecare in quel modo, anche se, in quanto poliziotto, aveva fatto l’abitudine a quel linguaggio.
«Toglimi le mani di dosso, maledetto bastardo della Gestapo». Lo respinse con la mano aperta. «Ho amici che non muoiono di paura e non si mettono a tremare tutti davanti agli unni. Ma cosa vuoi saperne, tu? Niente! Sei troppo impegnato a fare il lavoro sporco al posto loro».
«Per caso hai parlato con Harry Woods?» buttò lì Douglas, nel vano tentativo di alleggerire quella discussione.
«Sei patetico, lo sai? Patetico!».
Era graziosa, ma con la pioggia che le ammassava i capelli in ciocche, il rossetto sbafato e l’impermeabile della misura sbagliata, da sempre troppo corto, Douglas di colpo la vide come non l’aveva mai vista. E la vide come sarebbe diventata di lì a dieci anni: una virago ostile con la voce acuta e un caratteraccio. Si rese conto che non avrebbe mai funzionato, tra loro. Ma i genitori di lei erano morti sotto un bombardamento pochi giorni prima della scomparsa di sua moglie, ed era stato naturale per entrambi cercare l’uno nell’altro un sollievo disperato che avevano scambiato per amore.
Quello che in un primo momento Douglas aveva letto come il fascino dello sprezzo giovanile, ora gli sembrava egoismo intransigente. Si chiese se non ci fosse un altro, magari parecchio più giovane, ma decise di non indagare, sapendo che lei avrebbe risposto di sì, anche solo per irritarlo. «Siamo entrambi patetici, Sylvia, facciamocene una ragione».
Si erano fermati accanto a uno dei leoni di Landseer, che scintillava nero come ebano lucido sotto la pioggia battente. Erano praticamente soli, perché ormai anche il più temerario dei militari tedeschi aveva messo via la macchina fotografica esentasse per andare a cercare riparo. Sylvia teneva una mano in tasca, e con l’altra liberò la fronte dai capelli bagnati. Esibì un sorriso privo di gioia, gentilezza o compassione. «Non essere sarcastico quando parli di Harry Woods» disse, aspra. «È l’unico amico che ti rimane, lo sai?».
«Lascia stare Harry» ribatté lui.
«Hai capito che è dei nostri, vero?».
«Cosa?».
«La Resistenza, idiota». L’espressione che gli si dipinse in volto bastò a farla scoppiare a ridere. Una donna che spingeva una carrozzina con un sacco di carbone sopra, si girò a guardarli in tralice, prima di allontanarsi in fretta.
«Harry?».
«Harry Woods, vice di Archer dello Yard, pupillo della Gestapo, piaga di chiunque si permetta di spernacchiare il conquistatore. Proprio così, mio caro: quell’uomo osa lottare contro i maledetti unni». Andò alla fontana e contemplò il proprio riflesso sull’acqua bassa.
«Hai bevuto, eccome».
«Solo l’inebriante elisir della libertà».
«Attenta a non esagerare» disse Douglas. Vederla in quello stato era quasi comico. Forse era una reazione alla paura che aveva provato al posto di blocco.
«Prenditi cura del nostro amico Harry» disse lei con veemenza «e dagli questo, con tutto il mio amore».
Tirò fuori dalla tasca la mano che brandiva il lasciapassare della SIPO. Prima che lui potesse fermarla, sollevò il braccio e gettò il documento nell’acqua al centro della fontana. La pioggia colpiva il marciapiede di pietra con tanta violenza che le gocce rimbalzavano e spruzzavano, creando un grigio campo di granturco. Lei lo attraversò in fretta, fino ai gradini che conducevano alla National Gallery.
Il lasciapassare bordato di rosso si distingueva a malapena mentre affondava sotto l’acqua screziata dalla pioggia e andava a depositarsi tra le monetine dei turisti, i portarullino Agfa e le carte di gelato. Se fosse rimasto lì, probabilmente sarebbe stato notato da qualche alto ufficiale, che poi avrebbe fatto un putiferio per tutto il dipartimento. Douglas esitò per un paio di minuti, ma era già talmente zuppo che immergersi nell’acqua fino alle ginocchia non avrebbe fatto molta differenza.