Capitolo sei
Fu così che, mentre il generale Kellerman, HSSPF (alto ufficiale delle SS e capo della polizia) per la Gran Bretagna, giocava a fare da anfitrione per gli alti ufficiali di Londra, il suo ospite d’onore si trovava in un obitorio alle spalle di Baker Street con indosso un grembiule bianco da macellaio, immerso nell’osservazione del cadavere di Peter Thomas, squartato da Sir John Shields, rinomato patologo.
Era un edificio piccolo e tetro su Paddington Street, arretrato quanto bastava da permettere ai carri funebri e alle ambulanze di scaricare i loro fardelli oltre le porte di quercia che, agli occhi dei passanti, non avevano nulla di minaccioso. All’interno, l’obitorio aveva ricevuto una quantità tale di mani di vernice verde scuro e marrone che le pareti di mattoni erano ormai lisce e scintillanti, come le scale di pietra e il pavimento di legno lucido. Le lampadine a basso voltaggio creavano dei piccoli coni di luce gialla, tranne nel punto in cui una lampada di ottone con il coprilampada verde era stata avvicinata al ventre pallido di Peter Thomas.
C’erano nove persone: Huth, Sir John Shields e il suo assistente, Douglas Archer, un tipo dell’ufficio del coroner, un impiegato, due operai dell’obitorio in grembiule di gomma e galoche, e un piccolo, frenetico maggiore della polizia tedesca, arrivato da Amburgo quello stesso giorno. Prendeva appunti e continuava a chiedere la traduzione di brani del referto di Shields. Intorno al tavolo anatomico c’era una vera folla, e Douglas cedette volentieri il suo posto in prima fila. Non amava certe incursioni truculente, e persino dopo aver distolto lo sguardo, il suono del coltello, del seghetto e dei liquidi gorgoglianti gli fece venire la nausea. «Emorragia, emorragia, emorragia!» sentenziò Shields, indicando con il coltello. Si avvicinarono tutti per scrutare le interiora del morto. «Non mi piace l’aspetto del suo fegato» disse Shields, afferrandolo, liberandolo con il coltello e accostandolo alla luce. «Cosa ne dice, dottore?». La sua voce riecheggiò nell’obitorio buio.
L’assistente punzecchiò il fegato e lo esaminò a lungo con una lente di ingrandimento. Shields si chinò per annusare il cadavere.
«Mi spieghi» lo sollecitò Huth, impaziente.
«Malato» disse il medico. «Interessante. Non ho mai visto niente del genere. Mi chiedo come il tipo fosse ancora in vita».
Il piccolo maggiore tedesco scribacchiava sul taccuino. Poi, anche lui volle guardare il fegato con la lente d’ingrandimento. «Quanto vicino alla morte era, dato il fegato malandato?» chiese, in attesa della traduzione di Huth.
«Non amo rispondere a questo genere di domande» obiettò Sir John. «Si può andare parecchio avanti con un fegato danneggiato... dovreste vedere i soci del mio circolo!». Rise.
«Evitiamo le battute» disse Huth. «Era malato?».
«Senza dubbio alcuno».
«Malattia mortale?».
«Non gli avrei dato più di un paio di mesi. Lei cosa dice, dottore?».
L’assistente di Sir John si dichiarò d’accordo, inspirando rumorosamente dal naso e scuotendo piano il capo.
Huth passò il braccio intorno alla spalla del maggiore e lo tirò da parte, lontano da orecchi indiscreti: rimasero a parlottare.
Sir John trovò il gesto decisamente ineducato e manifestò apertamente il suo fastidio.
Huth tornò al tavolo anatomico e disse a Sir John che desiderava che tutti gli organi interni venissero confezionati, in modo da poterli spedire a Berlino con il volo del giorno dopo da Croydon.
«In tal caso, non ho motivo di restare» osservò Sir John Shields.
«Non si offenda, Sir John» disse Huth, sfoderando un fascino levigato che Douglas non aveva ancora visto. «A Berlino nessuno può vantare la sua perizia e la sua esperienza. Desidero ardentemente che lei e il suo collega proseguiate con l’autopsia, e che possiate fornirci un referto domattina».
Sir John respirò a fondo e si erse in tutta la sua altezza, come Douglas l’aveva visto fare spesso in tribunale, prima di devastare qualche avvocato presuntuoso. «Non eseguirò ulteriori indagini su questo cadavere se non avrò a disposizione gli strumenti di un laboratorio di ospedale, con tanto di personale e attrezzature».
Huth annuì, senza replicare.
Sir John non aveva finito. «Anche in quel caso, il lavoro sarà lungo. Tutti gli ospedali di Londra sono oberati fin quasi al collasso, e questo per motivi che non starò a elencare, onde non mettere in imbarazzo lei o il suo collega dell’esercito».
Huth annuì, serio. «Certo. Ecco perché ho fatto in modo che l’ospedale delle SS su Hyde Park Corner le metta a disposizione i suoi laboratori. Ho qui due auto e un’ambulanza, e terremo libera una linea telefonica, affinché lei possa richiedere dell’altro personale o ulteriori attrezzature».
Sir John fissò a lungo Huth, prima di rispondere. «Vorrei poter credere, generale di brigata, che un simile spiegamento di risorse militari tedesche sia un riguardo nei miei confronti. Tuttavia, ho il sospetto che si tratti piuttosto della misura del suo interesse per questa morte in particolare. Pertanto, gradirei che facesse un poco di chiarezza sulle circostanze, condividendo quel che sa già».
«Standartenführer» lo corresse Huth. «Standartenführer, non generale di brigata. Sir John, posso solo dirle che detesto i misteri quanto e più di lei, soprattutto quelli relativi alle morti inspiegabili».
«Epidemia?» lo pressò Sir John. «Malattia contagiosa? Virus? Peste? Pestilenza?». Alzò un poco la voce. «Mi sta dicendo di aver già visto una cosa simile?».
«L’hanno già vista alcuni membri del mio staff» riconobbe Huth. «Quanto a pesti e pestilenze, ci troviamo al cospetto di qualcosa che potrebbe rivelarsi talmente letale, che neanche la Peste nera terrebbe il passo con le conseguenze. Almeno, questo sostengono i miei esperti».