Capitolo venti

«Quando ero un giovane ispettore di sottodivisione, il sabato sera mi capitava spesso di finire invischiato in qualche rissa tra ubriachi. Ma questa è tutta un’altra storia. Trovarmi davanti un ragazzone deciso ad ammazzarmi a coltellate supera ogni immaginazione». Douglas si rilassò sulla poltrona migliore e sorbì la minestra calda.

«E secondo te lo Standartenführer Huth non c’entra?» chiese Barbara Barga.

«Huth non ha certo bisogno di scomodarsi tanto per farmi fuori. Se gli va, ora che ha l’autorità per sottoscrivere l’elenco dei primi ricercati, può spedirmi in un campo di concentramento vita natural durante».

Lei rabbrividì. «E se avesse voluto spaventarti?».

«Quanto a questo, mi spaventa già parecchio, anche senza ricorrere a un sicario armato di pugnale». Barbara fece il giro della poltrona e si chinò a baciarlo.

«Povero caro» disse. «Un’altra scodella di minestra?».

«No, grazie, sono a posto».

«Resto dell’idea che ti serva uno scotch». Infilzò una fetta di pane con un forchettone per abbrustolirlo. «Sei sconvolto».

Douglas le tolse il pane e il forchettone e si protese per avvicinarlo alla fiamma sibilante del fuoco a gas. Gli tremava la mano.

«In Inghilterra, abbrustolire il pane è roba da uomini» sentenziò. Era il suo modo di dire che non voleva essere trattato come un invalido.

«Oppure è così che il maschio inglese si impadronisce subdolamente del fuoco» ribatté lei, per dimostrare che aveva capito.

«È questa l’idea che ti sei fatta degli uomini inglesi?».

«Di alcuni di loro... qui la gente è depressa e irrequieta, non ti pare, Douglas? La mancanza di certezze ci rende ambigui e inaffidabili». Tacque, chiedendosi se non l’avesse offeso.

«Siamo sempre stati così» rispose Douglas, ridimensionando la sua critica. «Ma se è questo che pensi, perché mai rischi la vita con...?». Evitò di pronunciare i nomi di Mayhew, Benson e Staines.

«Oh, cielo, come sei discreto. Con te, l’onore di una dama è al sicuro».

La fetta di pane prese a fumare. Douglas la girò, esponendo l’altro lato alla fiamma. «Non mi hai risposto».

«Diciamo che non so resistere al fascino di un nobile britannico».

Douglas subodorò che ci fosse dell’altro, ma non volle insistere. La radio trasmetteva musica da ballo, in diretta dal salone del Savoy Hotel. Carrol Gibbons suonava il suo famoso pianoforte bianco. Rimasero qualche minuto in ascolto della cantante che intonava Anything goes.

Barbara sfoderò del burro pallido e macchiato, fatto in casa e gustoso, da spalmare sul pane abbrustolito. «In realtà io non sono una di loro, Doug» disse all’improvviso. «Ma con i miei articoli posso essere d’aiuto a Mayhew e agli altri... e, dal mio punto di vista, questa è una storia che nessun buon giornalista si lascerebbe sfuggire».

«Ma come hai fatto a contattarli? E perché mai dovrebbero fidarsi di te?».

«Il mio ex marito lavora per il dipartimento di stato a Washington».

Ah, ecco, un ex marito! pensò Douglas.

«Aiuta gli uomini del contrammiraglio Connolly ad orientarsi in città».

«Quante possibilità ha Connolly?».

«È...». Sul punto di fare un commento frivolo, Barbara si rese conto che Douglas voleva una risposta seria. «Non molte, Douglas. Il Congresso non si fida dei capi militari. Ha avuto a che fare con troppi di loro in Sudamerica. Se a Washington ci fosse Churchill, o persino Lord Halifax, o un nome che hanno già sentito prima...». Attese per vedere come Douglas accoglieva quella considerazione pessimistica. Lui annuì. «Il colonnello Mayhew ritiene che sottrarre il re alla custodia tedesca valga qualsiasi rischio» proseguì lei.

«È quel che mi ha detto. Ma sei stata proprio tu a mettermi in guardia da Mayhew e gli altri».

«E lo rifarei». Gli strinse la mano con affetto. «Quando Mayhew dichiara di voler correre qualsiasi rischio, intende dire che non esiterebbe a mettere a repentaglio anche la tua vita».

«Non ti piace?».

«Somiglia troppo al mio ex marito» replicò lei, e Douglas apprezzò entrambi i giudizi.

Il colonnello Mayhew arrivò alle nove e quindici. Entrò nel soggiorno angusto scuotendo la pioggia dal soprabito in Melton. «Buonasera, Archer». Si tolse il cappotto. «Ora che il coprifuoco costringe Boodles and Whites a chiudere presto, uno come me non sa più dove passare la serata».

Barbara e Douglas sfoderarono un sorriso educato. Sapevano entrambi che Mayhew non era mai stato il tipo da passare le serate nei locali per soli uomini. «Cosa le è successo al collo?».

«Un giovanotto ha cercato di pugnalarmi».

«Mio Dio. Ed è quasi riuscito ad ammazzarla, a quanto pare. Chi era?».

«Uno dei suoi scagnozzi, direi».

«Io non ho scagnozzi» ribatté Mayhew, freddamente. «Avete un cavatappi per questa?». Estrasse una bottiglia di vino dalla tasca del cappotto.

Barbara aveva già il cavatappi in mano.

«Ah, il pragmatismo americano» commentò Mayhew. Con una perizia da sommelier, tolse la capsula, infilzò la sommità del tappo e lo estrasse senza scuotere la bottiglia. «Non ho scagnozzi» ripeté, sollevando la bottiglia in controluce, per controllare che la posa non si fosse mossa. «E non ho neanche dei sicari».

«Aveva la tasca piena di questi» disse Douglas, porgendogli un volantino.

Mayhew lo prese per un angolo, con evidente disgusto. «Cosa sono queste macchie?». Lo restituì a Douglas.

«Sangue. Il tipo è morto stecchito».

Mayhew aveva maneggiato il volantino con la stessa cura mostrata per la bottiglia di bordeaux, dalla quale a quel punto versò il vino.

«La gente vuole fare qualcosa» intervenne Barbara «anche se si tratta solo di distribuire volantini con slogan come questo. Sente di dover manifestare l’odio per i tedeschi».

«Ecco» commentò Mayhew «gli americani! Impetuosi, impazienti e pieni di energia». Le porse il vino, poi servì il soprintendente.

«Alla salute» brindò Douglas. Bevvero. «Io mi occupo di risolvere i reati. Gli inglesi hanno il diritto alla protezione dagli omicidi, dai furti e dalla violenza. Devo dire a chi subisce torti simili che non mi piace lavorare per i tedeschi?». Si toccò il collo. Era dolente e cominciava a pulsare.

«Non si scaldi tanto, vecchio mio. Nessuno critica la polizia, e nessuno sano di mente direbbe mai che i pompieri sono sleali perché spengono gli incendi sotto il regime tedesco».

«Magari qualcuno l’avesse spiegato al ragazzo che mi ha aggredito stasera».

«Lei è un caso particolare». Mayhew posò il bicchiere, tese le mani per scaldarle al fuoco e le strofinò vigorosamente. «Tutto quel parlare di “Archer dello Yard”... cosa che lei di certo si sarebbe risparmiato». Sorrise brevemente, come le stelle del cinema davanti a un fotografo. «Ma le persone in vista sono sempre dei bersagli. Nessuno tra le comparse, i ballerini o i musicisti che montano quegli spettacoli speciali per la Werhmacht al Palladium riceve lettere minatorie. Maurice Chevalier invece sì, insieme alle altre stelle di prim’ordine».

Barbara tese il bicchiere vuoto. Mayhew le versò altro vino. «Tutto questo è pura teoria, colonnello. Ora bisogna che interveniate per impedire che qualsiasi appartenente alla Resistenza tenti di uccidere Douglas» disse.

«Cosa vorrebbe che facessi, mia cara signora? Che rivelassi al mondo che Douglas Archer è ormai un membro effettivo della Resistenza?».

«Cristo santo, colonnello. Intende esporlo come un pupazzo, un bersaglio a disposizione del primo astioso o svitato di passaggio?».

«Farò tutto quel che lei e il soprintendente volete. Ma credo che una breve riflessione vi porterà a comprendere che sarebbe assai più pericoloso che lo si ritenesse un membro della Resistenza, che non...». Lasciò la frase in sospeso.

«Il colonnello ha ragione, Barbara. Dovrò solo stare attento».

«Pensandoci bene, questa è la cosa migliore che potesse accadere» osservò Mayhew. «A quel che mi dice, nessuno ha pensato che si trattasse di un complotto». Sorseggiò il vino. «D’ora in poi, i tedeschi la considereranno uno dei loro uomini più fidati».

«E se il prossimo tentativo di uccidermi andrà a segno» proseguì Douglas «i tedeschi mi faranno una statua. Davvero allettante, colonnello».

Mayhew si aprì in un sorriso contagioso e, a dispetto dei propri sentimenti, Douglas ricambiò. «Così va meglio» disse il colonnello. «Quando il re sarà tornato in libertà e avrà reso una dichiarazione che ratifichi il ruolo del contrammiraglio Connolly, tutto troverà una sua collocazione».

«Dove andrà il re?» chiese Barbara.

«Dovremo deludere parecchia gente. I canadesi lo vogliono a Ottawa, credo. Ma, politicamente parlando, sarà più utile a Washington DC. D’altro canto, Sua Maestà forse vorrà raggiungere il fratello alle Bahamas, o andare a Bermuda».

«Brindo a quel giorno» disse Barbara.

«E all’esclusiva per Barbara Barga» aggiunse Mayhew, attento a non sottovalutare mai i legittimi interessi di ogni parte in causa.

«Ma non accadrà» rispose Barbara. Bevve. «Oppure sì?».

«Siamo in contatto con un certo Georg von Ruff, un Generalmajor del personale dell’Admiral Canaris, capo dell’Abwehr, ossia il controspionaggio militare. Un generale, badi bene, ma fa parte di un gruppo di convinti antinazisti. Ha lasciato intendere che esiste persino un piano per assassinare Hitler».

«E lei gli crede?» intervenne Douglas.

«Sì. Questi uomini appartengono alle migliori famiglie tedesche, sono soldati di carriera, della vecchia scuola. Non hanno tempo da perdere con il partito nazista e con quei ruffiani delle SS».

«Tra l’esercito di occupazione tedesco e le SS non corre buon sangue» riconobbe Douglas.

«E noi dobbiamo insinuarci in questa spaccatura» insisté Mayhew. «Ma ringrazio la provvidenza di dover cercare un terreno comune con questi prussiani piuttosto che con quei sanguinari delle SS».

«Siamo sicuri che entreranno in azione?» chiese Barbara. «O sono solo chiacchiere?».

«Ci sono in gioco degli interessi personali» rispose Mayhew. «L’esercito osteggia con forza questa nuova idea secondo cui la Gran Bretagna dovrebbe essere governata da un Reichskommissar piuttosto che da un comandante in capo. Vogliono mantenere il controllo qui da noi e ritengo che sia nostro interesse che ciò accada. Qualsiasi sferzata al prestigio di Kellerman, e alle sue SS, va automaticamente a loro beneficio».

«La fuga del re metterebbe senz’altro in ridicolo le SS» disse Douglas. «Probabilmente Kellerman verrebbe fatto fuori».

«E lei diceva che a Huth non dispiacerebbe, giusto?».

«Sì. Ma rimane da capire il genere di aiuto che ci offrirebbe».

«Mettere Huth a parte del nostro segreto potrebbe indurlo a tradirvi» osservò Barbara.

«È qui che entra in gioco il soprintendente Archer» disse Mayhew. «Lascerà trapelare qualcosa con Huth e ci dirà come reagisce».

«Si può fare» concordò Douglas.

«Stai attento, Doug» disse Barbara.

Lui le strinse la mano per rassicurarla.

Mayhew si alzò. «Ebbene, questo sarà il prossimo passo, Archer. Decida lei come compierlo». Si guardò nello specchio dall’elaborata cornice sopra il camino. «Non forzi la mano, troppo rischioso. Basterà un accenno». Si accigliò, scrutando il suo riflesso e tirò le estremità del cravattino a pallini per stringere il nodo. «Simpsons, a Piccadilly, ha una piccola riserva di calzamaglie: lana, anteguerra. Ieri ho fatto scorta. Sarà un inverno terribilmente rigido».

«Io invece starò seduto sui carboni ardenti» motteggiò Douglas.

Mayhew sorrise. «Be’, buonanotte. Si metta in contatto quando avrà una risposta. Non devo certo ricordarle cosa accadrà se falliremo».

«No».

«Ebbene, faccia il bravo e si tenga alla larga dalle riviste patinate per una settimana o giù di lì».

Douglas annuì. Sapeva che il colonnello Mayhew adorava avere l’ultima parola.