Capitolo trentuno
Le previsioni dello Standartenführer sul generale Kellerman si rivelarono esatte ed errate in egual misura. Quel giorno, Kellerman andò a pranzo con il Generalmajor Georg von Ruff, primo ufficiale dell’Abwehr in Gran Bretagna. Che quei due valorosi notabili non avessero fatto la gavetta, risultava evidente dalla scelta di incontrarsi nella sala all’ultimo piano del ristorante di pesce Wheeler’s, su Old Compton Street, a Soho. A loro avviso, bastava indossare soprabiti civili sopra le divise ed evitare di farsi vedere insieme nei rispettivi uffici, per passare inosservati. Ma l’ultimo degli investigatori del loro staff sarebbe stato in grado di spiegare che una sala privata, prenotata in qualsiasi ristorante di Soho a nome di «Herr Braun e amici» nei primi giorni di legge marziale, avrebbe attirato comunque l’attenzione, anche se gli assistenti non si fossero presentati con delle voluminose valigette di pelle, segno distintivo degli alti ufficiali tedeschi. Anche se i due generali non avessero indossato gli stivali.
Kellerman fece la pace con i suoi nuovi capi, da uomo duttile e abile nell’assecondare le correnti. La predizione secondo cui nulla sarebbe stato fatto per aiutare il sergente Harry Woods, invece, si rivelò errata. Alle tre del pomeriggio, Douglas Archer ricevette una telefonata dall’assistente personale di Kellerman, che lo invitava – sempre che ciò non collidesse con i suoi impegni lavorativi e che lui non ne fosse impossibilitato – a passare qualche minuto con il generale, al piano di sopra. Poi, ripensandoci, l’assistente aggiunse che avrebbe presenziato anche il sergente Harry Woods.
Harry Woods era praticamente illeso, considerati i metodi della Gestapo. Ciò non impedì a Douglas di restare sconvolto, quando lo vide. Aveva il volto tumefatto e un occhio talmente gonfio da non riuscire quasi ad aprirlo. Spostò il peso sulla sedia con una smorfia, mantenendo una gamba tesa e immobile, come per attutire il dolore al ginocchio.
«Salve, Harry» disse Douglas, dopo aver salutato il generale Kellerman.
«Salve, soprintendente» rispose lui, in un sussurro.
«Si accomodi, soprintendente Archer».
Alla riunione era presente anche lo Sturmbannführer Strauss. Sedeva in un angolo, le braccia incrociate sopra un fascicolo floscio. Taceva. Kellerman andò alla finestra e l’aprì, per poter ammirare il fiume. «Ha fatto una sciocchezza, sergente Woods».
«Se lo dice lei» fu la riluttante risposta di Harry.
«Lo dico, eccome» ribatté Kellerman. Si rivolse ai presenti. «Lo dice anche il soprintendente Archer, e chiunque voglia essere onesto con lei. L’hanno maltrattata?».
Harry Woods non rispose. Kellerman si avvicinò a Strauss, gli tolse il fascicolo dalle mani e andò alla scrivania per prendere gli occhiali. Lesse il verbale d’arresto alla luce della lampada da tavolo. Indossava l’uniforme grigia immacolata, con «Reichsführung-SS Londra» ricamato sul bordo del polsino, le foglie di quercia argentate del Gruppenführer sul colletto e le medaglie sulla casacca: sembrava un altro. L’elegante tessuto grigio argento scintillava alla luce della lampada, come anche gli stivali, lustrati ad arte. Tuttavia, in uniforme, il generale mostrava una certa goffaggine: andò con la mano al panciotto, dove normalmente teneva l’orologio e la penna stilografica, e si scontrò con la casacca abbottonata. Continuava a tastare i bottoni delle quattro tasche per accertarsi che fossero chiuse, secondo l’impeccabile stile militare. Inoltre, assecondando le regole di abbigliamento delle SS dal grado di SS Oberführer in su, aveva applicato gli speroni agli stivali. Nel timore di incastrarli, teneva i piedi ben divaricati, e camminava con una falcata esageratamente lunga.
Finì di leggere il verbale e chiuse il fascicolo di scatto. «Allora, Woods, l’hanno maltrattata?».
Harry si produsse in un lento sussurro. Kellerman fu costretto ad accostarsi, per capire quel che diceva. «Bagni freddi e privazione del sonno».
Douglas ebbe un sussulto al pensiero di Harry, quasi in età da pensione e in condizioni di salute precarie dovute al duro lavoro, alle bevute eccessive e alla poca attività fisica, che veniva immerso nell’acqua ghiacciata e mantenuto sveglio a forza. Pochi avrebbero resistito a una simile tortura.
«Bagni freddi e privazione del sonno» ripeté Kellerman, incrociando le braccia e annuendo con enfasi. «Ebbene, si tratta della pratica abituale nell’esercito tedesco... non si lamenti troppo, sergente». Si batté il ventre. «Qualche settimana in un centro di addestramento reclute farebbe bene a tutti, eh?». Si volse verso Douglas con un sorriso, ma Douglas sedeva con i piedi incrociati, e si fissava intensamente una scarpa.
Kellerman pareva incapace di star fermo. Si avvicinò a passo di marcia a Strauss e gli sventolò davanti il fascicolo. «Ma quello che non capisco è perché questo agente di polizia dovrebbe essere trattenuto sotto la sua custodia, Strauss!».
Strauss scattò in piedi e batté i tacchi. «Herr Gruppenführer...» esordì. In circostanze diverse, sarebbe stato comico vedere Strauss fare un profondo inchino e usare un epiteto tanto ossequioso, ma, data la situazione, nessuno rise. «Il prigioniero è stato posto sotto la mia custodia stamattina. L’agente in servizio che...».
«Non c’è tempo per un’inchiesta ufficiale» tagliò corto Kellerman. «La faremo partire in un secondo momento. In realtà, la squadra rastrellamenti non doveva affatto prelevare questo agente di polizia da casa sua. Il che non giustifica lo sciocco tentativo di fuga, ma teniamolo a mente. Secondo poi...». Kellerman si afferrò le dita come se altrimenti non fosse capace di contare. «... Se lo si deve porre sotto processo per il tentativo di fuga da un centro di detenzione dell’esercito, allora il processo spetta all’esercito».
Strauss tacque.
«Allora, Strauss?» lo pungolò Kellerman, in piedi, dandosi una tiratina al bordo della casacca.
«L’ufficio legale delle SS ha dichiarato che il sergente Woods si trova sotto la protezione legale offerta ai membri delle SS» disse Strauss. «L’ufficio legale dell’esercito ha concordato. Quindi l’agente in servizio l’ha preso in custodia».
«Maledetti burocrati» strepitò Kellerman, rabbioso. «Ci impicchereste tutti, pur di tenere in ordine le vostre carte. Strauss, come fa a non capire che l’esercito l’ha presa in giro? Lei si è reso complice dell’arresto illegittimo di uno dei nostri investigatori migliori... le è chiaro o no?».
Strauss fece un altro buffo inchino, come una bambola meccanica. «Sì, Herr Gruppenführer».
«E la smetta di chiamarmi Herr Gruppenführer».
«Certo, Gruppenführer».
«Mandi questo prigioniero alla Feldgendarmerie. Anzi, vada con lui, Strauss, in caso non lo rilascino “in attesa di indagine”».
«Cosa faccio se alla Feldgendarmerie lo trattengono in custodia, Gruppenführer?».
«Rimane con lui, Strauss». Kellerman si sfiorò le tasche per controllare che fossero chiuse. Toccò la spalla di Strauss, che tornò a sedersi. Poi si rivolse a Douglas. «Prima di incrociare le lame con i nostri amici dell’esercito, assicuriamoci di sapere cosa stiamo facendo». Attraversò la stanza, mise una sigaretta tra le labbra di Harry e la accese. Harry cominciò a fumare senza neanche sollevare lo sguardo per vedere da dove venisse. «Perché quelli dell’Abwehr sono i nostri capi del momento» puntualizzò Kellerman, sorridendo dell’assurdità di quella situazione. «Il sergente Woods è stato indiscreto, caparbio e affrettato. Ha avuto a che fare con dei delinquenti, ma questo non rende tale anche lui... sta prendendo nota, Strauss?».
«Certo, Gruppenführer».
«Avremo bisogno di una dichiarazione relativa al fatto che non è uscito dal seminato nel corso della sua indagine sulle organizzazioni terroristiche».
«Vogliamo rivelare all’esercito dettagli su un’indagine ancora in corso?» chiese Douglas, vedendo dove si andava a parare.
«Oh, per l’amor del cielo» esclamò Kellerman, irritato. «La giovane signora è morta. Recuperiamo qualche informazione su di lei. E questo non rivelerà nulla di quel che vogliamo tenere nascosto. Lei saprà qualcosa sulla giovane... è stata la sua segretaria per quasi sei mesi».
«Sì, signore» disse Douglas. Ebbe la sensazione che il generale Kellerman gli stesse indicando un modo di proteggere gli amici della Resistenza di Harry, ma gli parve impossibile.
Kellerman gli si mise alle spalle. Era uno dei suoi giochetti sconcertanti, e Douglas non sapeva mai se fosse il caso di girarsi a guardarlo o meno. Stavolta non lo fece. «Sto cercando di aiutare il sergente Woods» ribadì Kellerman. Douglas sentì l’odore del brandy che aveva bevuto a pranzo.
«Sì, generale» disse.
«Mi sente, sergente Woods? Sto cercando di aiutarla».
Harry annuì, senza sollevare lo sguardo, e si portò la sigaretta alle labbra.
«Se la sua indagine ha avuto inizio perché la ragazza lavorava in questo edificio, lo dica, senza nascondere nulla. Dovrà descrivere le mansioni di Woods agli ordini dello Standartenführer Huth». Kellerman si avvicinò a Harry Woods e gli diede un paterno colpetto sulla spalla.
«Vuole che controlli con lo Standartenführer?» chiese Douglas.
Kellerman rispose in un sussurro. «Ho chiesto allo Standartenführer una dichiarazione che favorisse il rilascio di Woods. Temo che, a tuttora, il dottor Huth non si sia neanche reso disponibile per una conversazione telefonica in merito». Sospirò.
«Procediamo immediatamente con la dichiarazione?» chiese Strauss, che preferiva fare domande di cui conosceva già la risposta.
«In tedesco. Metà degli occupanti di questo edificio non è in grado di leggere una sola parola d’inglese, e a Berlino tutto quel che è in inglese viene messo da parte e dimenticato. Il soprintendente Archer tradurrà per il suo collega. Giusto, Archer?».
«Certamente, signore» rispose lui, benché entrambi sapessero bene che, apponendo nome e firma su ogni foglio della traduzione, Douglas non avrebbe più potuto dichiararsi estraneo al contenuto del documento. Di fatto, era come sottoscrivere la sua stessa deposizione. Un vero colpo basso. Per liberare Harry, Douglas era praticamente costretto a esporre Huth. Intanto, Kellerman avrebbe sorriso serafico a tutti gli interessati, continuando a recitare il ruolo di pagliaccio dal cuore tenero.
«Portiamo Harry in una sala interrogatori?» chiese.
«Usate l’ufficio del mio segretario» disse Kellerman. «Così avrò modo di aiutarvi a buttar giù il testo».
Lavorarono sodo per tutta l’ora successiva e Kellerman fece una telefonata all’ufficio dell’Abwehr a Piccadilly. Compilarono un gran numero di scartoffie, ma per le sei del pomeriggio Harry Woods tornò in libertà. All’ultimo momento, Kellerman decise che in quella fase del procedimento la dichiarazione non fosse necessaria, e la mise sotto chiave.
Magistrale, pensò Douglas, ripercorrendo gli eventi. Kellerman ora poteva rimproveare l’Abwehr per l’arresto illecito di Harry Woods, e persino per l’illecito rilascio, in caso lui si fosse comportato male. E, riportando Woods sotto la custodia dell’esercito, poteva affermare di essersi mosso per aiutare quest’ultimo a coprire i propri errori. Inoltre, aveva ottenuto da Douglas e Harry Woods una dichiarazione firmata in presenza di testimoni che, se usata con sagacia, avrebbe intralciato l’indagine di Huth a suo carico.
Ma se, in barba all’enorme spazio di manovra conferito all’esercito dalla legge marziale, Kellerman aveva surclassato l’Abwehr con tanta perizia, cosa ne sarebbe stato di Mayhew e della sua rete di notabili? Quanto ci sarebbe voluto prima che il generale scoprisse che lo stesso Abwehr era in combutta con gli uomini che lui aveva definito «criminali terroristi»? Fritz Kellerman era veramente l’amabile vecchio benefattore che sembrava? O la verità, come tante verità, si nascondeva altrove?