Capitolo trentatré
Il sabato mattina andarono allo zoo. Douglas disse al figlio che Barbara era un’amica conosciuta al lavoro. Ma la preoccupazione per quel primo incontro si rivelò superflua, perché il piccolo accolse l’amica del padre come fanno tutti i bambini, con un interesse pieno di meraviglia per i primi dieci minuti, cui seguì una cordiale indifferenza. Barbara però sapeva che il piccolo Douglas era un esame da superare per conquistare l’amore e l’affetto del padre, e fece tutto il possibile per accattivarselo.
Cavalcarono gli elefanti e i cammelli. Andarono all’acquario e alla gabbia del rinoceronte. Alla fine, Barbara si lasciò convincere dal bambino a visitare il rettilario. Riemersero con il piccolo Douglas che le teneva la mano per rassicurarla, dicendole che non doveva aver paura dei serpenti, perché l’avrebbe difesa lui.
Lo zoo era quasi deserto. Pochi londinesi erano in grado di pagare il biglietto per visitare gli animali rimasti e gli edifici danneggiati dalle bombe. E la legge marziale aveva fornito altri svaghi all’esercito d’occupazione. Douglas e Barbara guardarono il bambino girare sulla piccola giostra. C’era solo lui. Dava velocità correndole di fianco, poi saltava a bordo per pochi giri.
«Lo portiamo allo zoo, e lui ignora gli animali, preferendo le altalene e le giostrine».
«Gli piace stare con te, non importa dove» disse Barbara.
«Huth odia il padre. È una sua ossessione». Oltrepassarono le panchine di legno appena verniciate di giallo e con sopra scritto «solo per gli ebrei». I soldi e la manodopera destinati all’odio non si esaurivano mai.
«Perché?».
Un aereo ultraleggero li sorvolò, inclinandosi precipitosamente e compiendo un giro per accertarsi che a Regent’s Park non fosse in corso una riunione sediziosa. Da quando era entrata in vigore la legge marziale, il cielo era affollato di Stork ad ala alta. Controllavano in continuazione gli spazi aperti e i tetti, oltre a fare la spola tra le varie piste d’atterraggio ricavate frettolosamente dai rettilinei del Mall, di Edgware Road, di Western Avenue, di Old Kent Road e del Clapham Common.
«Huth desidera più ammirazione di quanta il padre gliene possa concedere».
Si mise a piovere. Douglas e Barbara si ripararono a ridosso di un chiosco. Le minuscole vetrine erano piene di confezioni di cioccolata e sigarette da esposizione, impolverate e sporche. Sulla serranda abbassata campeggiava un cartello: «Niente sigarette, niente cioccolata, niente spiccioli per il telefono». Il cartello era divelto e chiazzato da mesi di pioggia. Ne era passato di tempo da quando bisognava annunciare la fine delle scorte di cioccolata o sigarette.
«Sei arrabbiato per qualche motivo?».
«No».
«Preoccupato?».
«No» ripeté Douglas, ma era turbato. Si sentiva come se gli fosse stato ordinato di scavarsi la fossa. «Mi hai detto che Mayhew ti ha chiesto di andare a Shepherd Market a cercare la pellicola. Ma Mayhew non aveva idea della sua esistenza fino a quando non gliel’ho detto io».
Lei tacque. La pioggia diminuì e il piccolo Douggie riprese a girare sulla giostrina.
«Penso che tu stessi agendo per conto del tuo governo» proseguì Douglas. «E penso che il giovane Spode lavorasse per voi».
«Non sono una spia, Douglas. Un tipo dell’ambasciata mi ha chiesto di andare all’appartamento di Shepherd Market. Ha detto che dovevo ritirare la pellicola. Non so altro, devi credermi». Lo afferrò per il braccio e lui annuì.
«Il giovane Spode che uccide il fratello... non aveva senso. Le liti di famiglia non scoppiano per dei documenti segreti: si innescano per le mogli fedifraghe o per le eredità».
«Allora chi ha ucciso Spode?».
«Non potevo credere che il giovane Spode l’avesse liquidato, per poi mettersi a fotografare una parte delle infinite pagine di calcoli, con il cadavere del fratello ai piedi».
«Non è stato lui?».
«Sono stato tratto in inganno dall’ipotesi che i due fossero lì insieme, semplicemente perché erano fratelli. Ma se si tralascia la parentela, la verità viene a galla. Il morto aveva in tasca un biglietto ferroviario. Non ci sono treni dal Devon a Londra di primo mattino. Spode non veniva dalla stazione. Era già passato dall’appartamento, per consegnare i calcoli da fotografare al fratello».
«Ma il giovane Spode ha ammesso di averlo ucciso».
«Spode ha detto qualcosa in merito al fatto che il fratello fosse privo di protezioni. Ho pensato che si riferisse al conforto e al riparo offerti dalla fede cattolica».
«E invece?».
«Invece si riferiva agli scudi termici e biologici. Si riferiva alle protezioni fornite agli uomini che lavorano a questo esperimento nucleare. Spode stava dicendo che era colpa sua se il fratello era morto per le radiazioni. Stava dicendo di aver commesso qualche errore nel laboratorio di Bringle Sands».
Lei tacque a lungo, poi disse: «Sì, il giovane Spode ha fotografato i documenti che dovevano essere inviati a Washington. Si è messo in contatto con l’ambasciata per offrire la pellicola. Non so altro, tesoro».
Douglas la afferrò per la vita. Voleva dirle che le credeva, ma non gli riuscì di trovare un modo che non fosse goffo o accondiscendente.
«Perché mai uccidere l’altro Spode?» si chiese Barbara.
«Qualcuno l’ha fatto entrare nell’appartamento, Barbara. Quel posto veniva usato per gli incontri segreti delle cellule della Resistenza. Niente mi toglie dalla testa che Mayhew sapesse».
«Ma non hai risposto alla mia domanda, dolcezza. Che motivo aveva Mayhew? Perché uccidere il miglior fisico atomico d’Inghilterra quando c’erano buone opportunità di mettere mano sulle ricerche che stava svolgendo? Pensi che Mayhew lavori per i tedeschi?».
«Non ne ho idea. Sospetto che abbia incontrato Huth, in segreto. Ma non riesco a crederlo un traditore. Collaboratore, be’, forse, ma non traditore».
«E perché il giovane capitano dell’Abwehr avrebbe passato la capsula di veleno a Spode?».
«Il capitano pensava che volessi prendere in consegna Spode, per farlo torchiare dal Sicherheitsdienst. L’SD avrebbe scoperto ogni dettaglio sui progressi del programma di ricerca atomica dell’esercito, e qualche segreto sgradevole sulla collaborazione tra l’Abwehr, Mayhew e la Resistenza».
«Povero Spode».
«Mi piaceva».
Cessò di piovere e un altro ultraleggero li sorvolò lentamente. Proseguirono fino alla gabbia del leone, con il piccolo Douglas che teneva entrambi per mano.