Capitolo trentotto
Bringle Sands e la foce del fiume Frane sono perfettamente visibili dal ciglio della scogliera a strapiombo. Il vento che soffia dal mare indebolisce la boscaglia, inibisce gli alberi ed erode la parete della scogliera. Di conseguenza, lo stretto sentiero che conduce alla spiaggia è disseminato di segnali di pericolo.
La tratta ferroviaria corre a meno di un chilometro, verso l’interno. Si snoda dolcemente tra i terreni coltivati che si estendono da Bringle e Bringle Sands a Frane Halt, prima di congiungersi alla linea maestra e proseguire a est, verso Exeter e Londra.
Ma gli uomini nella cabina di manovra non vedevano nulla al di là del riflesso delle leve luccicanti e della strumentazione, o dello scintillio del fuoco di carbone. Il re era disteso su una brandina, Harry Woods dava sfoggio della sua capacità di dormire in piedi e Danny Barga sedeva in un angolo, le mani strette intorno alle ginocchia e la testa ciondoloni.
«Tè?» chiese sottovoce il segnalatore a Mayhew e Douglas. Aveva già sistemato un bollitore di latta sbreccato sulle braci.
Douglas accettò con un cenno del capo e si spostò, mentre l’uomo aggiungeva carbone alla fiamma.
«Cade dai vagoni» disse, indicando la cesta. Era un omino con il torace stretto, la carnagione pallida e i capelli castani lisci. Stupiva l’agilità con cui tirava le grosse leve segnaletiche alte quasi quanto lui. Come molti veterani della Grande Guerra, aveva cucito i nastri delle medaglie sul risvolto della divisa da ferroviere di serge nero: «Mutt e Jeff» – medaglia al valor militare e medaglia interalleata della vittoria. Esibirle era uno sconsolato atto di sfida.
«Che diavolo di ora è?» chiese Mayhew insonnolito, troppo stanco per sbottonare il cappotto e consultare l’orologio da taschino d’oro. Prima che gli altri potessero rispondere, si girò per guardare l’orologio ferroviario appeso sopra i finestroni.
«Dovrebbe cercare di dormire un po’, colonnello» disse il segnalatore. Douglas temette per un secondo che l’uomo avesse riconosciuto Mayhew, poi si rese conto che quello era l’appellativo con cui molti veterani chiamavano gli estranei di un certo ceto.
La risposta di Mayhew fu interrotta dall’improvviso scampanio di segnalazione: due squilli, una pausa, due squilli. Il segnalatore si protese per ripetere il segnale sullo stantuffo sotto il blocco di controllo. Sorrise a Mayhew. «Non si spaventi, governatore. È solo un locomotore. Sicuramente si tratta del vecchio Bob Swanick, che guidava il treno che ho fermato per farvi scendere». Spostò il blocco di controllo sulla posizione di via libera, in modo che apparisse nella successiva cabina di manovra lungo la linea.
Il bollitore prese a sbuffare dolcemente. Lui scaldò una vecchia teiera marrone e aprì la porta per gettare l’acqua nel vento gelido che soffiava all’esterno. «Freddo becco, stanotte» commentò.
«Mai provato prima» aggiunse Mayhew, chiudendo bene il collo del trench.
«Allora avrebbe dovuto essere con me nel 1915» osservò il segnalatore. «Plugstreet, secondo Natale di guerra. Un tempo da lupi, altroché!».
La campana suonò due volte. Il segnalatore rispose con un doppio trillo e spostò il blocco su «treno in transito». «Ha oltrepassato la cabina di Charlie. Se trasporta qualcuno dei vostri, si ferma qui».
Mayhew si alzò e premette il viso contro le finestre, senza distinguere altro che i segnali ferroviari.
«Fucilieri reali scozzesi» disse il segnalatore.
«Prego?» borbottò Mayhew, senza voltarsi.
«Sesto battaglione dei fucilieri reali scozzesi. A un certo punto abbiamo avuto Winnie al comando».
Mayhew grugnì. Teneva le mani a coppa intorno al viso per vedere il locomotore. Di colpo ne sentirono il rumore al di sopra del mugghiare del vento. Passò, sprigionando una pioggia di scintille e l’odore acre del fumo. Mayhew si morse il labbro e controllò nuovamente l’orologio. Il segnalatore diede un paio di colpi allo stantuffo, accingendosi a versare l’acqua nella teiera. «Allora, in quale mucchio si trovava, lei?».
Mayhew si voltò a guardarlo girare il tè nella teiera marrone. Il segnalatore gli restituì lo sguardo. «È stato in guerra, o no?».
«Oh, certo» rispose Mayhew circospetto. «Ero nel novantanovesimo reggimento Württembergers nel 1918, e il mio amico, qui, faceva parte dello staff personale del Kaiser Guglielmo».
In imbarazzo per il sarcasmo tagliente di Mayhew, Douglas disse: «Gentile da parte sua privarsi di parte della razione di tè».
«Apprezzo l’umorismo» ribatté il segnalatore, come in risposta alle scuse implicite di Douglas. Trafficò con la teiera, poi si rivolse a Mayhew. «Se nel 1918 ci fossimo liberati una volta per tutte dei suoi maledetti Württembergers, oggi non saremmo in questo accidenti di pasticcio».
I due si fronteggiarono, poi Mayhew rise. «Verissimo, vecchio mio» disse, calando le mani sulle spalle dell’altro.
«Il tè del sergente maggiore» disse il segnalatore. «Un sacco di latte condensato e una quantità tale di zucchero che il cucchiaino ci rimane piantato dentro».
«Posso avere il mio scuro e senza zucchero?» chiese Douglas.
«Ma certo, amico» rispose il segnalatore, con la quieta affabilità che gli inglesi riservano agli estranei e ai pazzi. «Se le piace così». Guardò il pesante cappotto che Mayhew aveva prestato a Douglas, e decise che doveva aver servito nella marina reale. Al calore del fuoco, dal tessuto sprigionò uno strano odore. Forse lo sentiva anche il segnalatore, un aroma pungente. Douglas si chiese dove se ne fosse impregnato il cappotto.
L’infusione del tè e i rituali annessi richiesero cinque minuti, peraltro scanditi dalle campane e dai segnali di un treno merci in transito.
«Ci sono cinquanta diverse campane» dichiarò il segnalatore, tutto orgoglioso. Porse a Mayhew la tazza di porcellana più elegante – il Giubileo d’argento del 1935 di Re Giorgio V, e un cucchiaino d’argento. «E adesso che sono arrivati gli unni, tocchiamo le settanta».
«Venti in più?».
«Per tenerci informati su cosa e dove sono; pattuglie militari che costeggiano i binari, treni che trasportano munizioni per rifornire le batterie costiere...».
«Treni che trasportano carbone...» aggiunse Mayhew maliziosamente. Erano amici, ormai, quei due veterani, e Douglas era stato escluso dal loro mondo.
«Vengono fermati a ogni raccordo, e i ragazzi riempiono un paio di secchi». Porse a Douglas il tè scuro in una tazza di smalto sbreccato. «Dovrebbe vedere i sacchi che Charlie porta al villaggio. Ovviamente, Charlie è nuovo: un primo facchino, temporaneamente assegnato al ruolo di segnalatore».
Mayhew accolse con un cenno ponderato la rivelazione sul vero ruolo di Charlie.
«Va bene il tè, capo?» chiese il segnalatore a Douglas.
«Ottimo» rispose lui. Di colpo sentirono scricchiolare i ripidi gradini di legno e la porta si aprì facendo entrare una raffica gelida. Il fuoco ruggì, assorbendo l’aria fredda. Mayhew e Douglas trasalirono visibilmente. Il segnalatore rise. «Non vi preoccupate, è solo Sid. Sa che a quest’ora faccio il tè. Senti l’odore, vero Sid?» disse al nuovo arrivato.
Sid era un uomo con le spalle larghe, i capelli di un bruno innaturale e i baffi ben curati. Indossava il berretto e il cappotto nero dell’uniforme da ferroviere, rattoppato con perizia sui gomiti e sui bordi. Guardò la brandina su cui il re stava riposando, Harry dritto in piedi, il respiro profondo abbastanza nasale da rivelare che dormiva, e la sagoma accasciata di Danny Barga. «C’è una gran folla, stasera» commentò. Posò il berretto sulla mensola con un gesto accurato ed elegante, probabilmente a beneficio dei visitatori ben vestiti, e prese la tazza di tè che gli veniva offerta. Fece un cenno a Douglas e Mayhew e strinse la tazza tra le mani per scaldarle.
Poi si rivolse a Mayhew. «Parlando di calcio, signore, che ne dice dei Wolverhampton Wanderers?».
Mayhew lo scrutò un attimo, in silenzio. Il segnalatore li teneva d’occhio entrambi. Mayhew rispose: «Intende i Woolworth contro i Wolverhampton Wanderers? I Woolworth tutta la vita, amico mio. Quale furfante punterebbe sui Wolves quando si sa che i Wollies hanno la vittoria in tasca?».
Sid rise. Era un trucchetto diffuso. Pochi tedeschi riuscivano a pronunciare Wolverhampton Wanderers, senza che una delle w si trasformasse in una v. L’ulteriore difficoltà introdotta da Mayhew nello scioglilingua fece abbassare la guardia a Sid, che sarebbe rimasto a bocca aperta se avesse saputo quanti tedeschi ai vertici dell’esercito di occupazione a Londra avrebbero superato la prova a pieni voti. L’uomo si accomodò su una cassa e si tolse gli stivali di gomma.
«Allora?» lo incalzò Mayhew con impazienza.
«C’è un viavai di barche sulla spiaggia, vicino alla foce del fiume. Barche speciali, mezzi da sbarco, stando alle descrizioni. Guai ad avvicinarsi, o sparano». Guardò i due, per dare rilievo a quella notizia drammatica. Harry Woods e Danny Barga erano svegli e attenti.
«Uno dei facchini dice di aver sentito dei colpi di mitragliatrice – parecchi – nella caserma dell’esercito tedesco di Bringle Sands».
Mayhew scambiò un’occhiata con Douglas, sollevato all’idea che il commando avesse raggiunto l’obiettivo.
«Parecchi colpi di mitragliatrice» ripeté Sid. «Ha provato a prendere la via principale, ma i tedeschi l’hanno rimandato indietro. C’è una bomba inesplosa da qualche parte».
«No, sono i nostri» disse Mayhew. «Un tipo in divisa da poliziotto e un paio di uomini in uniforme dell’esercito. Un espediente per chiudere la strada. I colpi probabilmente provenivano dai fucili a ripetizione; i civili li scambiano facilmente per mitragliatrici».
«Non riuscirete a fermare i rinforzi tedeschi con un poliziotto e un paio di tizi vestiti da soldati» osservò Sid, irritato perché il facchino si era fatto ingannare da quegli impostori.
«Certo che no. I piani per ostacolare i rinforzi sono ben altri. Ma il posto di blocco basterà a trattenerli mentre le nostre squadre bombardieri penetrano all’interno».
«A Bringle ci sono stati dei morti: donne, bambini e vecchi, insieme ai tedeschi». Sid si massaggiò i piedi gelati.
«Meglio non diffondere questa storia» disse Mayhew. «Sappiamo bene entrambi che il coprifuoco tiene tutti a casa. È un’altra favola del suo facchino?».
«È andato laggiù in bicicletta».
«Faccia in modo che tenga la bocca chiusa, o comincerò a pensare che parteggia per i tedeschi. Ora, che mi dice di Frane Halt?».
«Sono arrivati i soldati americani. Una mezza dozzina. Hanno un’autoblindo... un coso curioso, una specie di carro armato con le ruote davanti. L’avranno portato in barca. Alcuni soldati stanno seguendo i binari. In questa direzione. Ecco quel che volevo dirle».
«Harry» disse Mayhew. «Prenda il comando di questo posto. Nessuno si muove di qui, mentre Archer e io scendiamo per andare incontro agli americani».
Danny Barga gli scoccò un’occhiataccia, ma tacque. La caviglia slogata gli faceva ancora male.
Douglas e Mayhew costeggiarono i binari e dopo pochi minuti videro i soldati. «Alt!» gridò Mayhew.
«Orsacchiotti!» disse uno di loro.
«Picnic» replicò Mayhew.
«Sono il maggiore Dodgson» dichiarò il più alto dei tre. Da Bringle Sands salirono tre lampi che illuminarono l’orizzonte. Appena comparve il terzo, tre esplosioni riecheggiarono nei campi bui.
«Colonnello Mayhew».
«Siamo a sua disposizione, colonnello. Dov’è il re?».
«Nella cabina di manovra, poche centinaia di metri più in là, lungo i binari».
«Andiamo, allora».
Mayhew gli posò la mano sul braccio. «C’è qualcosa che dovrebbe sapere, maggiore. Il re non è in grado di camminare».
«Prego?».
«Il re è malato, maggiore. Dovrete far venire un veicolo».
«No, il piano è di farlo scendere da questa sponda del fiume. È un sentiero ripido. Non c’è veicolo che possa affrontarlo». Altri lampi, seguiti dalle esplosioni.
«In tal caso, servono due dei suoi uomini più forti per portarlo a braccia».
Il colonnello Mayhew riprese la via della cabina di manovra.
«Mi pare l’unico modo» concordò Dodgson.
Furono raggiunti all’improvviso dal suono di spari lontani e il cielo sopra Bringle Sands fu illuminato a giorno da un paio di bengala. «Tocca a voi» disse il maggiore Dodgson ai due soldati che lo accompagnavano. «La ritirata della squadra principale deve essere cominciata prima del previsto. Nel giro di quindici, venti minuti, questa strada sarà molto pericolosa. Diamoci una mossa».
Douglas non aveva mai assistito a una battaglia prima di allora e non era preparato alla confusione e al disorientamento. Durante i primi scontri a fuoco, entrambe le parti avevano limitato l’uso delle munizioni. Ma ora, mentre il commando si ritirava verso le barche, i colpi si intensificarono e la notte scura si trapuntò di esplosioni, mentre le squadre bombardieri entravano in azione distruggendo le attrezzature di primaria importanza all’interno dei laboratori.
I due soldati che trasportavano il re si fermarono e quasi caddero nel campo spugnoso, quando un proiettile tracciante schioccò come una frusta sopra le loro teste. Rimasero immobili il tempo di recuperare il fiato, poi afferrarono il re e si misero a cercare i nastri che contrassegnavano il ripido viottolo che costeggiava la scogliera. Douglas li raggiunse subito. Sentì l’uomo sul ciglio del burrone gridare: «Forza, ragazzi! Le barche aspettano. Da questa parte, da questa parte».
Douglas cercò Harry. Portava la torcia che aveva avuto cura di schermare di carta rossa e gli stava alle spalle. «Douglas» disse «non così veloce, non ti sto dietro».
«Fumi troppo, Harry» rispose Douglas, a sua volta col fiato corto e felice di cogliere l’occasione per riposarsi un attimo.
I bengala esplodevano senza sosta, crepitando e scoppiettando in cielo, mentre loro stavano sospesi sul baratro scuro. I tedeschi sull’altro argine del fiume avevano tentato due volte di illuminare la scena con i riflettori mobili, ma le lampade erano state fulminate, insieme ai manovratori, da una sventagliata di colpi di fucile automatico. La luce però si accese di nuovo. Douglas si chiese come l’essere umano potesse essere tanto coraggioso o imprudente.
«Forza, ragazzi» disse la voce maschile nel buio.
Il proiettore fu puntato verso di loro, un bagliore accecante che gelò l’erba e circonfuse di aureole delicate gli alberi e i cespugli. Da qualche punto del sentiero partirono degli spari, ma non era facile maneggiare i grossi fucili automatici intanto che si cercava di restare in equilibrio sul viottolo, che in alcuni punti era reso sdrucciolevole dalla pioggia e dal vento. Douglas sentì uno sparo e l’urlo di qualche poveretto che aveva perso la presa e stava scivolando sul pendio roccioso, urtato dal suo stesso equipaggiamento e strangolato dalla tracolla.
«Mi sono storto la caviglia» disse Harry. Il riflettore li lasciò al buio, il raggio che si spostava sul sentiero.
Fu allora che Douglas si rese conto che la voce che li incitava aveva un accento tedesco. Era la voce dello Standartenführer Huth. Prima che potesse dare l’allarme, partì una raffica di colpi. Il frastuono gli ferì le orecchie e sentì salire una vibrazione da sotto i piedi, mentre i proiettili si conficcavano nel terreno, squarciavano la vegetazione e strepitavano nell’aria umida.
Le grida dei soldati sovrastavano il rumore delle mitragliatrici, che però aumentò fino a quando i proiettili esplosero a tale velocità da sembrare un’unica carica detonante.
«Torna indietro, Douglas». Era la voce di Harry.
Douglas vide la luce scorrere sul re e sui due uomini che lo stavano trasportando. Scomparvero in una nube di zolle sollevate dalle mitragliatrici che seguivano il raggio. Corse avanti, ma fu atterrato da un placcaggio al volo che lo lasciò senza fiato. Quando si riprese, era tutto finito. C’erano cadaveri riversi ovunque. Il tempismo dei tedeschi era stato perfetto: solo sei uomini del commando ripararono in mare. Il sentiero era costellato dei corpi straziati di almeno venticinque loro commilitoni. Tra i morti, il maggiore Dodgson, Danny Barga e Re Giorgio VI, Imperatore d’India.