Capitolo trentanove
All’alba, uno dei mezzi da sbarco era ancora sulla spiaggia, la rampa d’accesso accartocciata intorno all’autoblindo saltata in aria durante l’imbarco. Alcuni cadaveri galleggiavano dolcemente sul mare piatto, mentre altri giacevano rattrappiti sulla sabbia. Ovunque regnavano i detriti della guerra: elmetti d’acciaio, giubbotti di salvataggio, corde, un fucile e centinaia di bossoli d’ottone che scintillavano alle prime luci del mattino.
Nello stabilimento di ricerca dell’esercito tedesco di Bringle Sands, i tre edifici che ospitavano altrettanti laboratori erano ridotti a gusci anneriti, su cui i pompieri dell’esercito continuavano a gettare acqua. L’infermeria era sovraffollata, e l’unico chirurgo presente operava senza posa, mentre le ambulanze facevano la spola con l’ospedale tedesco di Exeter.
La popolazione civile della zona fu prontamente ricompensata. Alle otto e trenta del mattino successivo, ventisette uomini del posto furono fucilati per aver aiutato il nemico o perché non erano riusciti a rendere conto dei loro movimenti nelle ventiquattro ore precedenti. Altre centosessantadue persone furono trasferite in un complesso dalle parti di Newton Abbot, prima tappa del viaggio verso i campi di lavoro in Germania.
Quasi il trenta percento del commando subì dei danni, metà dei quali mortali. Ma i Marine portarono a termine la loro missione. Guidati da un gruppo della Resistenza che aveva studiato lo stabilimento di ricerca di Bringle Sands per settimane, invasero l’intera area dopo solo venticinque minuti di combattimenti. Seguendo le istruzioni di Ruysdale, distrussero gli edifici e le attrezzature di primaria importanza, e trasferirono una gran quantità di documenti sui loro semicingolati.
Ora, un’équipe di scienziati tedeschi si aggirava tra le rovine per registrarne la radioattività, mentre le squadre di recupero si occupavano delle vittime. Non c’erano prigionieri da interrogare, perché persino i feriti gravi furono riportati sulle navi. Waley fu ucciso da un colpo di mortaio giunto quasi alla fine, poco prima della ritirata dei Marine. Il maggiore Dodgson morì nell’imboscata organizzata alla perfezione da Huth, mentre il suo amico Hoge ne uscì senza un graffio e salì a bordo dell’ultimo mezzo da sbarco fumando un sigaro. L’uomo che chiamavano Ruysdale si scoprì stranamente indifferente e per niente spaventato dalla battaglia. Fece il suo lavoro con calma, impiegando il tempo necessario per ispezionare i laboratori. Poi salì a sua volta sull’ultimo mezzo da sbarco. Con lui c’era l’anziano professor Frick. I due si erano già incontrati all’Istituto di Fisica Teoretica di Copenhagen.
Douglas Archer passò le prime ore dell’alba in una cella minuscola e scomoda sotto una delle caserme della Feldgendarmerie di Bringle Sands. Faceva molto freddo, e fu lieto di indossare il pesante cappotto che Mayhew gli aveva prestato. Fu svegliato più o meno alle otto del mattino dal catenaccio che scorreva. Il generale Kellerman fece il suo ingresso. Portava l’uniforme delle SS, con tanto di cappotto doppiopetto e spada. Piombò nella cella angusta come un rapace satollo, salutò Douglas con un allegro «buongiorno» e si grattò il mento rosa rasato di fresco, diffondendo un forte odore di colonia.
«Ovviamente» esordì «quando ho saputo che era stato preso in custodia mi è quasi – me ne perdoni – venuto da ridere. “Razza di Dummkopf” ho detto “avete arrestato uno dei miei ufficiali migliori”».
«Ma non mi hanno rilasciato» disse Douglas.
«No» rispose Kellerman, che sorvolò sulla reazione poco partecipe di Douglas. «Hanno voluto che io accertassi la sua identità».
«Si potrebbe mangiare qualcosa?».
Kellerman oltrepassò la soglia. «Caffè e colazione per questo ufficiale» disse al giovane SS sull’attenti in corridoio, la cui ricomparsa con un vassoio di cibo fu talmente immediata da indurre Douglas a sospettare che Kellerman avesse organizzato tutto in anticipo. Con quell’uomo, però, non si poteva mai sapere.
«Il suo amico, il sergente Woods, è stato rilasciato».
«Mi ha mandato un messaggio».
«È il caso che lo ringrazi di averle salvato la vita». Si chinò ad annusare il caffè e fece una smorfia.
«Mi ha buttato a terra quando è cominciata la sparatoria» disse Douglas.
Kellerman lo scrutò a lungo, come per leggere qualcosa nel suo sguardo, poi annuì. «Esatto».
«E lo Standartenführer Huth è stato arrestato».
«Pare che lei sia al corrente di molte cose».
«Nient’affatto, so solo quello che Harry Woods mi ha raccontato quando stamattina ha tentato di farmi uscire».
«Sono addolorato per i suoi genitori» disse di punto in bianco Kellerman. «Il professor Huth, padre dello Standartenführer, è uno studioso di fama».
«Ma perché?». Douglas bevve il caffè.
«Ah, non ha capito cosa stava succedendo, mio caro soprintendente. Lei è un ufficiale acuto e leale, non le si può sollevare alcun rimprovero, di sicuro non nelle forze di polizia che io dirigo». Kellerman sorrise. Quando fu certo che le implicazioni di quella osservazione fossero state colte, proseguì. «Pare che lo Standartenführer stesse conducendo una crociata malvagia contro l’esercito tedesco. Ritengo che fosse disturbato dal potere che l’esercito ha acquisito con l’instaurazione della legge marziale». Lo disse come gli sfuggisse il senso di tanto risentimento.
«Davvero?». Douglas lesse tra le righe di quell’osservazione: erano stati l’esercito e Kellerman a cospirare contro Huth. «E quale forma avrebbe assunto questa crociata malvagia, signore?».
«Quella di una collaborazione priva di scrupoli con il suo amico, il colonnello Mayhew, in una cospirazione che prevedeva la sottrazione del vostro re alla custodia nella Torre di Londra. E anche in questo attacco terroristico, il cui tragico epilogo è sotto i suoi occhi. Capisco, e solidarizzo con il colonnello Mayhew, chiaramente guidato da sentimenti patriottici e dalla lealtà al suo re». Si lisciò nervosamente la casacca. «Assai lodevole». Annuì. «Ma mi risulta difficile giustificare lo Standartenführer Huth e il suo ruolo in questo disgraziato complotto».
«È sicuro che vi fosse implicato?».
«Quando capita una cosa simile... una cosa che porterebbe il disonore su tutta la Wehrmacht, è necessario ricorrere a misure speciali. Di conseguenza, al colonnello Mayhew è stata offerta la libertà, in cambio della incondizionata collaborazione con il tribunale». Il generale Kellerman fece scorrere le dita sulla tracolla di cuoio lustro e sfiorò l’elsa della spada, per assicurarsi che tutto fosse in ordine. «A farlo decidere, ovviamente, è stata la tragica morte del suo sovrano».
«Ovviamente» concordò Douglas. I due si scambiarono un sorriso: quello di Douglas era stanco e malinconico, quello di Kellerman rilassato e sicuro. Così, Mayhew aveva ottenuto la libertà aiutando Kellerman e l’esercito a sbarazzarsi di Huth. O era quel che volevano far credere? «Lo Standartenführer Huth subirà un processo?».
«Già fatto» rispose il generale Kellerman. Sospirò e diede un colpetto alla spada, che risuonò nel fodero. «Il tribunale volante è arrivato neanche un’ora dopo gli ultimi spari. Il colonnello Mayhew ha testimoniato immediatamente. Lo Standartenführer Huth è stato condannato a morte. Sarà giustiziato stamattina».
Douglas fu colto dalla nausea. Versò dell’acqua calda in quel che restava del caffè e bevve.
«Non deve preoccuparsi. Lei ha subito un processo absente reo. Inutile dire che è stato scagionato. Meglio così. Raramente si risponde due volte della stessa accusa».
Douglas notò che l’altro aveva tralasciato di dire che la doppia condanna era impossibile. «Grazie, signore» disse.
«Lo Standartenführer Huth ha chiesto il permesso di vederla, Archer. A dispetto di quel che penso della sua condotta, provo una certa pena per quel poveretto. Andrà?».
«Se me lo concede, signore».
«Date le circostanze, credo non ci sia nulla di male».
«Immagino che vorrà ascoltare il colloquio».
«Ogni lasciata è persa, Archer. Sono certo che conosca il proverbio». Kellerman sorrise, ma stavolta non si sforzò di apparire cordiale e amichevole.