PER UNA TEOLOGIA DELL’UNIVERSALE CONCRETO

Gli scritti di valore non temono l’usura del tempo. La prolusione che il giovane professor Ratzinger tenne all’università di Bonn il 24 giugno 1959 ha l’indubbio merito di cimentarsi con una problematica cruciale per la disciplina della teologia fondamentale – e, di conseguenza, per l’assetto complessivo del discorso teologico –, sia dal punto di vista storico che sistematico[39].
Al cuore dell’annuncio cristiano non c’è una verità esoterica, ma un annuncio che Dio rivolge a tutti (52). La consapevolezza che la comunità cristiana ha sempre difeso del nesso intrinseco della fede alla verità[40]conferisce alla Chiesa il compito di esplicitare le condizioni di universalità del proprio credo nel suo fondamento singolare[41]. Chi, come Ratzinger, può vantare una stretta familiarità con la storia del dogma, sa che si tratta di una sfida che, sin dalle origini, connota tutti i momenti salienti della intelligenza della fede, in particolare la vicenda della fissazione del Simbolo della fede[42]. Sotto il profilo teorico-speculativo, il punto nevralgico è costituito dal rapporto tra l’istanza dell’universale e l’evidenza propria della storia. Per citare il caso più emblematico, rappresentativo di una tentazione sempre risorgente, il pensiero gnostico si qualifica come una risoluzione dell’essenza del cristianesimo sul piano universale astorico di una verità da conseguire razionalmente. Più di recente, anche il dibattito sollevato dalle tesi moderniste ha revocato in dubbio l’idoneità del vincolo storico-culturale della fede cristiana a legittimarne la pretesa di universalità. D’altra parte, il nucleo cristologico del Credo non può essere fatto valere solamente su di un piano contenutistico-dottrinale, poiché la teologia sorge proprio in corrispondenza all’esplicitazione del rilievo sistematico (razionale) di tale nucleo. Nel contesto di un conclamato pluralismo culturale e religioso la verità cristiana non può ridursi ad espressione particolare di una sensibilità religiosa generale, e nemmeno rifugiarsi dietro il pretestuoso alibi di voler scampare al fanatismo di coloro che scambiano per il tutto la porzione del divino di cui fanno esperienza.
Per i cristiani, la nominazione di Dio è inseparabile da una esperienza: quella che germina e prende forma nella storia di Israele e trova in Gesù di Nazaret la sua realizzazione escatologica. Come può questa testimonianza suscitare l’interesse di ogni cercatore della verità?
Là dove Ratzinger afferma che la grandezza e la serietà della rivendicazione della fede cristiana possono apparire solo attraverso il legame con ciò che l’uomo ha compreso già prima, in una qualche forma, come l’Assoluto (52), lascia intendere non soltanto la possibilità di un “sapere di Dio” previo all’incontro effettivo con Cristo, ma il carattere di anticipazione che l’esperienza umana assume in rapporto all’inaudito della fede. Proprio a questa consapevolezza fa riferimento la problematica della theologia naturalis.