11.

Il biglietto lo aspettava adagiato sul tavolino all’ingresso della sua casa di Milano, di lato al telefono.

Ha chiamato il Debe, ciao Albamaria.

Il Casteggi lo lesse senza nemmeno prenderlo in mano.

De Benedictis, per gli amici: Debe.

Da quando l’aveva sostituito nell’incarico presso l’ospedale di Bellano non s’erano più sentiti. Il collega gli aveva detto di ritenerlo a sua disposizione per qualunque necessità gli fosse sorta, «Anche qualche piccola sostituzione, come hai fatto tu con me», tuttavia già al secondo giorno di pensione l’aveva avvisato che stava per partire.

«Faccio il giro dell’Europa!» gli aveva detto con entusiasmo.

Poi aveva ridimensionato il programma.

Intendeva dire che portava finalmente la moglie a fare quella luna di miele che ai tempi delle nozze non era riuscito a offrirle perché gli mancavano i dindini.

Musei, chiese, pinacoteche.

«Tutto quello che vuole.»

Tutto quello che la donna aveva desiderato vedere e che nel corso degli anni aveva segnato con scrupolo su un quadernetto al fine di non dimenticare niente.

In aggiunta a musei e compagnia cantante anche qualcosa di più… più vivace, divertente, le cose che lui, pur senza bisogno di taccuini, non aveva mai dimenticato.

Ci sarebbe voluto un mese abbondante, aveva calcolato il De Benedictis.

Adesso quel mese era passato, il Debe aveva chiamato, forse non vedeva l’ora di raccontare per filo e per segno tutto quello che lui e la moglie avevano visto e fatto, e poi sapere come se la cavasse, come si trovasse in quell’ambiente così diverso dal suo solito.

Bene, disse il Casteggi rispondendo a sé stesso.

Al collega l’avrebbe detto più tardi, al momento non aveva voglia di rompere il silenzio che regnava in casa.

Doveva riflettere.

Cercare di capire se quella profumiera, quella dell’orzaiolo, si fosse messa tutta in ghingheri per fare colpo su di lui oppure fosse solo una civettuola di paese che si accontentava di far sospirare gli uomini, soprattutto se forestieri.

Con quella mano priva di fede al dito con la quale s’era abbassata da sé la palpebra aveva voluto mandargli un messaggio oppure era stato un gesto casuale?

E quell’altra cosa, quella frase che le era sfuggita?

Piccola ma ben fornita!

Difficile capirlo, continuare a pensarci non sarebbe servito a niente.

Davanti a sé, rifletté il Casteggi, aveva due sole strade.

La prima era lasciar perdere, quelle avventure cominciavano a perdere lo smalto.

Però… quella frase…

Quella frase, rinforzata dal ricordo dell’occhiata che aveva lasciato cadere nella scollatura, non la smetteva di risuonargli in testa con la forza di un richiamo che a volte assumeva le tinte forti di un palese invito.

Quindi c’era la seconda strada, farsi avanti.

Con metodo, eleganza, cautela.

Conosceva la tattica, sperimentata in anni di successi.

Doveva studiare una mossa che obbligasse la profumiera, per il momento non riusciva a ricordarne il nome, a esporsi un pochino, chiarire un po’ di più le sue intenzioni.

Ecco, forse, aderire all’invito di passare nel suo negozio con la scusa dei regali di Natale e…

In quel momento il telefono squillò.

Il Casteggi gli lasciò fare tre squilli, giusto il tempo di ripensare all’idea che gli era venuta e giudicarla buona.

Poi andò a rispondere.

La voce del Debe sprizzò allegria.

«Come va stakanov?»

Il Casteggi rise.

Assicurò, rassicurò.

Tutto a posto, tutto bene, nessun ripensamento.

Prima o poi, magari una sera, durante le prossime festività natalizie, si sarebbero trovati a cena per raccontarsi le rispettive novità.

Non gli disse che aveva trovato e affittato un appartamentino da sogno a Varenna.

Non gli sembrò necessario.

Anzi, in verità, gli sembrò meglio che non lo sapesse per niente, onde evitare che una volta o l’altra glielo chiedesse per passarci qualche giorno con la moglie.

Era stato egoista oppure irriconoscente?

Non se lo chiese neppure.

In fondo quelli erano affari solo suoi.