XX.
IL TRAGHETTATORE

Era più prudente che le monache non sapessero, soprattutto Zelda. Si sarebbe allarmata. Barattiero voleva agire indisturbato, con discrezione, cercando di raccogliere informazioni senza mettere in agitazione tutto il monastero di San Giacomo.

Raccontò che la badessa di San Lorenzo gli aveva dato un ulteriore incarico: controllare come amministratore e architetto lo stato dei lavori di ampliamento.

Zelda Mastropiero accettò di buon grado la spiegazione e lo trascinò in una lunga ed estenuante ispezione ai cantieri elencando le lacune e le pecche dei lavori mal svolti. Si comportava già come la nuova badessa. Con la morte di Persede era venuta a mancare la sola possibile avversaria.

Nicolò approfittò di quei primi contatti per raccogliere informazioni. I manovali erano uomini semplici, venivano dalle valli del Cansiglio, alcuni addirittura da Bergomum. Arrivavano all’alba e lasciavano il lavoro al tramonto sulle peate con le quali trasportavano anche i materiali da costruzione e i legnami smistati alla foce del Medoacus magnum. La notte dormivano nelle cavane alla foce del fiume.

Interrogati, risposero che non avevano notato movimenti strani, se non l’aumentare, giorno dopo giorno, delle barche che trasportavano i malati delle febbri pestilenziali.

Doveva andare alla ricerca degli abitanti della notte.

Intorno all’hospitium, dietro il monastero, era andata crescendo una moltitudine di mendicanti, sbandati, ex militari che erano stati cacciati dai locali al coperto per far posto ai malati che arrivavano sempre più numerosi.

Si erano accampati lungo la muraglia, improvvisando ricoveri con frasche, canne, tavole di legno e stracci macilenti.

I corpi rannicchiati, contorti, sporchi di fango si confondevano con la vegetazione, esseri quasi mostruosi, metà umani, metà cespugli.

Barattiero provò a fare domande generiche su eventuali movimenti notturni, ricevendo solo occhiate stranite e gorgoglii indecifrabili.

In mezzo a quella umanità dalle fattezze animalesche, fu attratto da uno spettacolo insolito.

Nei pressi di una rientranza del muro sorgeva una specie di capanna, ordinata e, si poteva quasi dire, pulita. Quattro canne robuste piantate ai quattro angoli, ai lati teli pendenti; la paglia ricopriva il tetto. La terra era ben battuta e all’ingresso era cresciuta persino una pianta di limonium. Stonava quasi in mezzo a quell’abbandono.

Giungeva in quel momento una donna avvolta in un velo scuro che trasportava due secchi di legno pieni d’acqua. A Barattiero venne naturale offrirle il suo aiuto. La donna alzò il capo sorpresa e sospettosa. Il volto era scavato, la pelle bruciata dalla salsedine, i capelli stoppacciosi cadevano rigidi sulle spalle, ciononostante era impossibile non notare che quel volto doveva essere stato di una bellezza limpida e commovente. Gli occhi chiari, i lineamenti regolari, la giovane età rivelavano un passato assai diverso dalla realtà in cui era costretta a vivere ora.

«Vi ringrazio, signore». Aveva una parlata che rivelava origine colte, forse aristocratiche. I movimenti erano lenti, misurati, pieni di dignità. Non aveva nulla in comune con la masnada che la circondava.

Studiò le vesti raffinate di Barattiero.

«Vi hanno mandato da Venetia per accertare le condizioni dell’hospitium? Hanno bisogno di aiuto, i malati sono troppi, le sorelle sono poche. Mi sono offerta, non mi hanno voluta». Scosse la testa. «Non si fidano, dicono che nella mia testa giocano i folletti dei boschi». Rise.

«Passate le notti qui fuori?» domandò Barattiero.

«E dove altrimenti?».

Capì di aver fatto una domanda sciocca.

«Avete mai visto nella notte apparizioni strane intorno al monastero?».

«Chi siete?».

«Il parente di una monaca che è stata trovata annegata nel pozzo».

«Ne ho sentito parlare… che cosa cercate?».

«La verità».

«Avete sbagliato strada. In questi luoghi» indicò il convento, «non la troverete mai».

«Sapete allora indicarmi il sentiero giusto?».

Si ravviò i capelli con un gesto quasi vezzoso, forse il ricordo di un passato lontano.

«Io stessa ho perduto la strada… una volta era chiara, dritta, poi tutto si è confuso. Dietro queste mura regna il caos, la menzogna…».

«Sembra che conosciate bene la vita di un monastero» azzardò Barattiero.

La donna si accoccolò davanti alla capanna.

«Ero monaca anch’io, una volta. Vivevo nella luce, poi all’improvviso il buio ha oscurato ogni cosa e mi sono persa». Guardò lontano verso la laguna. «Basta un attimo, lui è lì in agguato… conosco bene i tormenti, le lotte di queste poverette».

«Avete lasciato la tonaca?».

«Sono scappata, non potevo più restare rinchiusa, stavo morendo. Mi sono rifugiata nei boschi, per anni ho vissuto libera, respirando l’aria di Dio. Quando sono giunta qui sembrava un paradiso, ora con i malati di peste e il monastero tutto è cambiato». Bevve un sorso d’acqua e ne offrì a Barattiero. «È inutile che cerchiate la verità, a cosa serve?».

«A dare pace all’anima di quella povera sorella».

Fece una smorfia. «Non c’è mai pace per l’anima di una monaca, neanche dopo morta».

«Nessuno mi può aiutare dunque?».

«Nessuno» ripeté la donna. «La notte rapisce le menti, le trascina in un abisso tra incubi e gemiti… i soli che non dormono sono i rospi, gracidano, gracidano per ore e ore… provate a chiedere a lui, al rospo» e indicò in direzione del boschetto di canne prima delle saline.

Barattiero la guardò smarrito. Forse erano le parole di una persona che aveva perduto il senno. Che cosa voleva dire a proposito del rospo?

Si avviò verso il canneto con poca convinzione. Mentre si avvicinava al boschetto fu avvolto da una zaffata densa, collosa, che sapeva di anguilla putrida. Nonostante non fosse l’ora canonica, dalle piscinule giungeva un gracidare acuto, disperato, che faceva gelare il sangue. Pareva il grido di aiuto di un infante martirizzato.

S’inoltrò tra le frasche; la puzza nauseabonda si fece più intensa.

Quando arrivò allo specchio d’acqua, lo spettacolo che gli si presentò lo fece rabbrividire.

Un uomo alto, possente, immerso fino alle ginocchia nella melma, raccoglieva dall’acqua un rospo con una abilità sconcertante, poi tenendolo stretto nel palmo della mano gli incideva il ventre con un coltellino e dal corpo pulsante, ancora vivo, faceva scivolare via la pelle con un colpo secco, come si fa con le murene. La carne sanguinolenta veniva gettata in un secchio, la pelle invece appesa a seccare a un filo teso tra due rami. Tutto intorno alla piscinula era uno sventolare di pelli di rospo maculate che ondeggiavano come panni stesi. Il fetore era insopportabile.

Quando l’uomo vide Barattiero avvicinarsi, così agghindato e con passo maldestro, interruppe il suo passatempo, sorpreso.

«Cosa cercate?».

«Il rospo».

«Eccomi, sono io Batrax». Così dicendo si strofinò le mani sulle vesti, per darsi una ripulita. Barattiero sperò che non si avvicinasse troppo.

«Mi hanno detto che voi di notte dormite poco…».

«Siete venuto per indagare sulle mie abitudini notturne?». Prese il secchio pieno di rospi spellati e lo vuotò in una tinozza. Barattiero avrebbe preferito non assistere alla loro fine, invece fu subito scontentato.

Con un enorme pestello di legno Batrax cominciò a far poltiglia dentro il recipiente con tutta la forza che aveva.

«Li spremo, come l’uva. Il succo di rospo è molto richiesto dagli speziali… è miracoloso per le fistole e i bubboni…». La poltiglia cominciò a schizzare dappertutto. «Dunque, che cosa cercate?».

«Sto indagando su strane apparizioni notturne intorno al monastero…».

«Spiriti, lemuri…?».

Barattiero decise di uscire allo scoperto.

«Una monaca è morta in circostanze poco chiare, la badessa di San Lorenzo vuole scoprire la verità».

«Sicara Caroso» esclamò Batrax. «L’ho conosciuta. È lei che mi ha salvato dalla forca. Avevo già il cappio al collo, mi avevano accusato di violenza contro quella santa monaca che rispettavo più del mio Rubio» e così dicendo estrasse dalla tasca un rospo, largo, gonfio, ben pasciuto, con la pelle di un’insolita colorazione rossiccia e un’inquietante espressione ridanciana sul muso. Lo accarezzò sulla testolina e l’animaletto parve gradire, dimenandosi tutto.

«Lo vogliamo raccontare al nobiluomo cosa accade qui intorno di notte?» chiese con voce suadente all’amico.

«Che cosa sapete esattamente?».

Batrax scosse la testa. «Io vedo, deduco, ipotizzo…».

Parlava in modo forbito, doveva aver avuto un passato assai diverso dalla sua occupazione odierna.

«Ho un debito di riconoscenza con la vostra badessa». Batrax andò a sedersi su un ciocco d’albero. «Se non avesse parlato sarei morto…». Tentennò. «Badate bene, io non giudico nessuno, per me quella poveretta resta una santa donna… non so cosa le sia accaduto, è tutto molto strano, compreso il rospo che le hanno trovato in gola» disse guardando negli occhi il suo, «ma tu ci andresti Rubio a infilarti nella gola di una giovane monaca? Magari in un altro pertugio sì, ma in gola…» e scoppiò a ridere.

Barattiero ebbe l’impressione che si stesse prendendo gioco di lui.

«Alcune monache si allontanano dal monastero in piena notte?» domandò a bruciapelo.

«Forse».

«E qualche barcaiolo svolge un utile servizio di traghettatore?».

«Forse».

«E se avessi necessità dei suoi servigi, dove potrei trovare questo novello Caronte?».

Batrax accarezzò il suo rospo come in attesa di un consenso, e alla fine si decise.

«È un pescatore del Litus Mercedis, ha tre figli piccoli, il pane non basta mai. Viene ogni mattina a portare il pesce al convento. E ogni tanto fa qualche viaggio notturno. Lo riconoscerete subito: è piccolo, con i capelli bianchi come un vecchio, e stupido».

 

Lo aspettò sul molo alle prime luci dell’alba. Barattiero era stanco, le ossa gli dolevano, ogni momento si chiedeva se tutto quel cercare avrebbe portato a dei risultati. Pensò che era una dolorosa penitenza per ottenere perdono dalla badessa… oppure per aver condotto una vita vuota, senza mai pensare alla sua anima.

Non sapeva spiegare perché ma era affezionato a Sicara Caroso. Forse per la sua bellezza inquieta e la solitudine che la circondava. Non aveva nessuno a cui appoggiarsi a parte quella monaca sempliciotta di nome Brasca. Non proveniva da una famiglia nobile, non poteva contare su padri e fratelli come molte altre badesse. Aveva solo lui vicino, come presenza maschile, un semplice procuratore.

Dopo una lunga attesa vide farsi largo, tra le peate dei manovali, un sandolo malridotto carico di reti da pesca. Ne scese un giovinotto robusto e corto di gambe, con lunghi capelli candidi che arrivavano fino alle spalle. Cominciò a scaricare ceste colme di pesce.

«Sono in vendita?» lo approcciò Barattiero.

«Sono per le muneghe» brontolò l’uomo.

«Che fortuna avere uno come voi al loro servizio». Il pescatore non rispose, continuando a scaricare. «Mi hanno detto che portate altra mercanzia oltre al pesce».

Solo allora il giovane alzò lo sguardo, truce.

«Cossa ti vol?».

«Avrei necessità di un trasporto, un pesce grosso, che esce solo di notte».

Si guardò attorno, sospettoso.

«L’è un pesse caro impestà, quelo».

«Lo so, lo so, ma i denari non mancano se il pesce arriva fresco fresco a destinazione». Barattiero spinse di lato le ceste e gli fece cenno di allontanarsi di qualche passo.

«Bisognerebbe trasportarlo da San Giacomo a Venetia» aggiunse.

«Quando?».

«Stanotte».

«Se paga prima».

«D’accordo».

«Alora… feme trovar il pesse là, nel mezzo dele canne, dopo compieta».

Barattiero annuì.

«Da solo» si raccomandò il pescatore, «e coi schei in man».

 

Un cielo nero, compatto, carico di un umidore che pesava sul fiato. Avvolto in un mantello scuro che gli copriva anche la testa, Barattiero poteva assomigliare a una monaca.

Scese fino alla riva, era appena suonata compieta, e si appostò tra le canne lì dove gli aveva indicato il pescatore. Si percepiva nell’aria una calma insolita. Nemmeno i lamenti degli appestati. Un leggero fruscio, poi un fischio come il richiamo di un cacciatore. Si avventurò nella fanghiglia. Il sandolo lo attendeva al limitare della riva. Appena salito, il barcaiolo spinse il remo per allontanarsi verso la laguna aperta. Quindi, senza mai smettere di remare, si volse verso il viaggiatore.

«Metè i schei nela bisacia, soto el paiolo».

Barattiero eseguì.

«Alura sorela, dove andemo? Dai frati di San Cipriano?». Il pescatore bofonchiò una specie di risata che lasciava trapelare quanta consuetudine vi fosse con coloro che si servivano di quei viaggi.

«Andate verso Venetia» sussurrò Barattiero.

L’uomo si sporse per vedere meglio le fattezze dell’ospite ma senza indagare troppo.

Quando ormai si trovavano al largo, lontani da ogni approdo, Nicolò si scoprì la testa.

«Fate da molto questo servizio?» chiese con voce stentorea.

Il barcaiolo vacillò, si aggrappò al remo, si piegò in avanti e riconobbe Barattiero.

«Cos’ela sta monada… dove xe la munega?».

«È morta».

«Ve porto indrio».

«No, andate avanti. Dobbiamo discorrere un poco, noi due».

«Mi no digo gnente».

«Non credo che al monastero continuerebbero a comperare il vostro pesce se sapessero che traghettate le monache dai loro amanti».

Il barcaiolo tacque e riprese a remare.

«Da quanto fate questo servizio?».

«No so, da tanto».

«Ti ricordi di una monaca magra, un viso dolce…».

«Col scuro no se vede el muso, e po’ a mi no m’importa».

«Si chiamava Persede, è morta annegata».

Il barcaiolo borbottò una specie di bestemmia.

«Hai portato anche lei?».

«Qualche volta».

«E dove la portavi, dai frati di San Cipriano?».

Il barcaiolo scosse il capo.

«E allora dove?».

«No so, no ricordo».

Barattiero sfilò alcune monete e le buttò nella bisaccia.

«Dove l’accompagnavi?».

«A Venetia».

«Bene, adesso conducimi esattamente dove lasciavi la ragazza».

L’uomo piegò il busto sul lato, fece ruotare il remo e il sandolo indirizzò la prua verso l’isola di Olivolo.