VI

Fuggire

“Tra poche ore partirò”. Questo affermò Salvatore De Panè alla sua famiglia riunita nello studiolo, all’alba di quel giorno di festa. Erano i primi giorni di Giugno. Nella sua mente aveva aspettato anche troppo, ma lasciare la sua famiglia in quel periodo, dopo la perdita della figlia minore, sarebbe stato un atto senza tatto e amore paterno.

Nei giorni precedenti, aveva avvertito il notaio Marco Calegna della sua intenzione. Con l’aiuto del marchese Castillo, oltre a condividere la decisione di affidare la famiglia al capitano Olivier, aveva organizzato la sua fuga, avvertendo solo la moglie, che non era in grado di ribellarsi, come sapeva avrebbero fatto le sue figlie.

Sua moglie Beatrice non si oppose. Erano mesi che viveva rintanata in casa, vagando nel silenzio e assecondando tutti.

Non vi erano più fermagli o cappellini alla moda sui lunghi capelli castani della baronessa, che non era più riuscita a riprendersi da quella notte di Marzo in cui era morta Agnese.

“Cosa vuol dire che partirete, padre?” domandò Matilde confusa.

“Ho deciso di allontanarmi dalla città prima che mi vengano a sgozzare o che facciano di nuovo male a una di voi. Vostra madre conosce da tempo questa mia decisione. Non cercate di ribellarvi, non servirà a farmi cambiare idea” rispose Salvatore.

“Dove andrete?” chiese Ginevra, visibilmente preoccupata.

“Ho chiesto di avvertire del mio arrivo a Roma nei prossimi giorni, poi vedrò. Avrete mie notizie quando riuscirò a stabilirmi. Ora voglio che lasciate questa stanza e facciate esattamente le stesse cose di ogni giorno. I nostri nemici non devono sospettare che io sia andato via oppure prenderanno prima me e poi voi tutte. Andate adesso e lasciatemi solo con Ginevra. Devo comunicarle una cosa in privato.”

Ginevra osservò il padre preoccupata di quella segretezza. Di rado parlava con lei privatamente, sebbene fosse la figlia a cui era più legato.

“Siedi. Tu sei la mia figlia maggiore, e forse quella che mi assomiglia di più. Tua madre non è più in grado di prendere decisioni dopo la morte di Agnese. Matilde e Rosalia sono troppo piccole per comprendere cosa accade. Tu sei brava a tenere i segreti, per questo ora ti farò presente di alcune cose...” le confidò il padre.

“Ignoro a cosa vi riferiate” cercò di fuorviare il discorso la ragazza.

“Sarò pure malato, ma non sono stupido. Lo so che la mia istruzione non ti è mai bastata, figlia mia. So dei libri che leggevi fin da quando avevi meno di dieci anni. Pensavi che non mi accorgessi quando sparivano da questo studiolo? Tuttavia, non è questo che mi preoccupa, né, ora come ora, mi sentirai farti una scenata a riguardo, perché forse il tuo peccato di andare contro il mio volere potrebbe aiutarci. Tu sei al corrente di quello che possiede la nostra famiglia. Hai letto mappe e documenti, conosci, grazie ai libri, nozioni che tua madre o i contadini non potrebbero mai gestire. Non lascio a te, però, la gestione delle nostre terre e dei nostri averi ora che partirò. Voglio solo che tu ne faccia parte. Devo dirti una cosa: il fatto che io stia partendo vuol dire che sono riuscito a ottenere protezione grazie al marchese Castillo. Lui è una delle poche persone a cui voglio che tu ti rivolga in caso di problemi quando non ci sarò, così come a Calegna. Ti raccomando di non fidarti di nessuno al di fuori di loro. Me lo prometti?”

“Sì, padre, ve lo prometto, ma così mi preoccupate.”

“Come dicevo, nostro cugino mi ha suggerito una persona di fiducia che vi proteggerà durante la mia assenza, ma come sempre tutto ha un prezzo. Da domani sarà il capitano Rodrigo Olivier a occuparsi di voi” rivelò il barone alla figlia con tono fermo.

“Cosa? State scherzando!”

Ginevra sobbalzò dalla sedia. Era visibilmente contrariata e i suoi movimenti divennero nervosi.

“Ginevra cerca di comprendere, è l’unico modo...”

Il padre cercò di fermare il nervosismo della ragazza. La sua reazione era più che plausibile. In fondo, il capitano era uno spagnolo e ciò che stava accadendo era colpa dei suoi connazionali.

“Ma è uno spagnolo, padre. Ci farà ammazzare tutti!” continuò Ginevra, battendo i pugni sul tavolo.

“Visto! Neanche tua madre si rende conto di chi sia. Invece tu hai studiato e comprendi. Non importa, però, che sia un militare e spagnolo. Il capitano è una persona di fiducia e vi proteggerà. Dobbiamo fidarci.”

“Cosa vi ha chiesto quello spagnolo?” chiese ripugnante Ginevra.

“Io non avrei mai concesso la mano di nessuna di voi, se non per vostro volere. Non era mio interesse. Tu, infatti, non sei mai stata forzata a prendere marito...” rispose il padre.

“Vuole Matilde? Ma è una bambina!”

“No, Ginevra! Mi ha chiesto, e io ho acconsentito, a dargli la tua mano. Il capitano Olivier non vuole Matilde, ma te. Ha espresso solo questo desiderio. Non vuole neanche una dote.”

“No!” urlò ancora la ragazza. “Com’è possibile? Lo sposerò solo quando le campane al Duomo suoneranno a morto e io sarò chiusa in una bara!”

“Non essere così impulsiva, Ginevra. Comprendi la situazione. Non ci sei solo tu a questo mondo!” urlò il nobile, ordinandogli di sedere calma.

“Quell’uomo mi odia. Pensa che io sia stupida. Quando dovrei sposarlo, oggi? Non lo farò mai senza di voi!”

“Lui ha detto che i patti sarebbero stati la vostra mano e fedeltà sin quando non sarò tornato. In caso contrario, nessuna protezione, né una possibilità di fuga dalla morte. Devi accettarlo” concluse il barone con tono serio.

***

Dopo la conversazione con il padre, Ginevra scoppiò a piangere in silenzio. Si fermò solo quando giunse il momento di dire addio al barone. Fu l’ultima a farlo.

“Ginevra non dimenticare ciò che ti ho detto. Se non lo farai, saremo tutti morti” sussurrò il barone De Panè prima di fuggire.

La ragazza rimase ferma a osservare il padre andare via, e con lui la sua libertà.

Prima che la carrozza arrivasse al cancello, il capitano Rodrigo raggiunse la dimora, fermandola per dare al barone un breve messaggio.

“In città sono scoppiati nuovi tumulti. Non prendete la strada principale. Deviate tra le vie verso il porto, è più sicuro. Possiate tornare presto!” disse il capitano al barone, avvicinandosi alla finestra della carrozza.

Dopo quest’avvertimento, Rodrigo continuò dritto il suo tragitto verso il castello. Ginevra, a quella vista, da lontano urlò alle sue sorelle di rientrare in casa e chiudere la porta. Il capitano non doveva entrare. Non era ancora pronta ad accettare quella nuova vita.

Rodrigo arrivò appena in tempo per evitare che Ginevra lo facesse entrare. Il portone era grande, in legno, e la luce del giorno andava via via a sfumare a causa di un temporale che, tra le nuvole nere, nascondeva la terra all’orizzonte.

“È inutile che mi sbarriate la porta. Vostro padre mi ha dato le chiavi, Ginevra!” affermò, spingendo e aprendo la porta.

La ragazza era lì davanti a lui e lo osservava con uno sguardo pieno di odio.

“Voi, avete costretto mio padre, con l’inganno di proteggerci, a darvi la mia mano. Che cosa volete, un invito a entrare?” urlò Ginevra.

“Io non ho costretto nessuno. È stato lui a chiedermi aiuto, quasi supplicante. Ho solo chiesto ciò che volevo. Il fatto che coincida con qualcosa che sapevo non avrei mai potuto avere per vostra grazia, così come la motivazione del mio gesto, non è cosa che vi debba interessare.”

“Non vi aspettate di entrare in casa mia e dettare legge ora che mio padre non c’è. Non vi aspettate che non mi ribelli al vostro volere. Non farò mai ciò che mi dice uno spagnolo, un assassino” disse Ginevra, cercando di spingerlo fuori dalla porta, ma lui le strinse un braccio tanto forte da lasciarle il segno.

“Non è una cosa che mi aspetto e non è una cosa che rispetterò”.

Il capitano mollò la presa e andò via, inchiodando Ginevra con lo sguardo.

***

Le lotte continuarono, come la carestia. Non vi fu un nobile o un contadino che a causa di quella guerra civile non soffrì la fame. Anche nelle terre della baronia De Panè si soffriva di quei problemi, sebbene le minacce al barone padre fossero cessate.

L’ostruzionismo dei Malvizzi non era stato fermato.

Il capitano Olivier si recava tre volte a settimana al castello, poco fuori dalla città, per un controllo amministrativo. Tuttavia, fu quasi impossibile per lui incontrare colei che i contadini chiamavano “la dama sfuggente”, ovvero Ginevra che in quei giorni scompariva, senza che nessuno sapesse dove si nascondesse.

In realtà, non andava lontano. Rimaneva in casa a origliare gli ordini di Rodrigo, per comprendere se di lui ci si potesse fidare. Purtroppo, però, questo non cambiava la situazione. Pochi contadini erano rimasti fedeli ai De Panè. Metà delle terre della baronia erano bruciate, l’altra metà poco coltivate, cosa che portava molti problemi economici. Si faceva ciò che si poteva. Rintanati quasi tutti in campagna, i frutti di quelle terre si vendevano poco, per cui bisognava trovare un rimedio.

Sebbene fossero passate settimane dalla sua partenza, del barone non vi era notizia, tranne un messaggio portato a voce da un vecchio amico che l’aveva incrociato nel suo viaggio verso Venezia. Almeno la sua famiglia sapeva che era ancora vivo, ma comunicare con loro senza una sicura protezione rappresentava un rischio di vita.

I Malvizzi, infatti, non passarono facilmente sopra quell’atto. Lo presero, anzi, come un incitamento di caccia a tutti coloro che erano fuggitivi. Chiunque fosse stato trovato, anche all’estero, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento che in città. Era meglio tacere.